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#FertilityDay: perché non ha funzionato la campagna italiana per la fertilità

#FertilityDay: perché non ha funzionato la campagna italiana per la fertilità

La campagna italiana per il #FertilityDay è stato un flop a livello comunicativo. Queste le principali ragioni e le migliori reazioni del Web

Di campagne istituzionali a tema fertilità ne vengono realizzate in tutta Europa, considerati i tassi di nascita (molto bassi) e l’età media (molto alta) che potrebbero costringere presto a fare i conti con una crisi demografica. Mentre alcune hanno fatto scuola per l’originalità e l’efficacia con cui è stato trattato un tema così delicato – è il caso dello spot danese che invitata “a farlo per la mamma –altre hanno generato, però, polemiche e confusione.

Così è successo, per esempio, con la campagna voluta del Ministero della Salute italiano per il #FertilityDay. Nell’occhio del ciclone sono state soprattutto le scelte comunicative con cui si è provato a dare risonanza alla giornata del 22 settembre 2016 e alle iniziative dedicate, così si legge sul sito ufficiale, volte ad «aumentare soprattutto nei giovani la conoscenza sulla propria salute riproduttiva e fornire strumenti utili per tutelare la fertilità». 

Cosa non ha funzionato nella comunicazione del #FertilityDay?

Per chi si fosse perso campagna e relativa polemica, il grosso della comunicazione sul #FertilityDay gravitava intorno a un sito istituzionale e una pagina Facebook da cui doveva essere diffusa, con contenuti ad hoc, la mission dell’iniziativa.

Il sito istituzionale

Sul sito per esempio – prima che risultasse irraggiungibile e venisse poi “rifatto” nell’aspetto e nei contenuti – si provavano a sfruttare i vantaggi della gamification, chiedendo ai visitatori di interpretare il “ruolo” di un ovulo o di uno spermatozoo e provarsi nella lotta a tutte le minacce, – dall’alcol alle sigarette – che mettono in pericolo la fertilità. Più di una cosa sembra non aver funzionato, però, in un approccio che in ogni caso provava a creare coinvolgimento. L’eccessiva infantilità anche nella scelta dell’identità visiva – un cuore rosso e uno spermatozoo stilizzato – che ha reso fin troppo “didascalica” e quindi fuori target l’operazione #FertilityDay.

Le cartoline del #FertilityDay

Le polemiche, però, sono piovute soprattutto sulle cartoline scelte dal Ministero per la campagna social sul #FertilityDay. Sia l’apparato visivo che il copy hanno fatto discutere in questo senso. Nel primo caso si trattava di immagini stereotipate, anonime, prive di qualsiasi appeal estetico e che in qualche caso giocavano con facili allusioni, dalla buccia di banana alla cenere che sta per cadere da una sigaretta, alludendo ai problemi dell’infertilità maschile. Quanto al copy, due sembrano essere stati i problemi principali della campagna per il #FertilityDay: aver affrontato il problema della fertilità come se si trattasse di una questione quasi esclusivamente femminile e, soprattutto, aver scelto la strada di una negative campaign.

La maggior parte dei testi alludeva, infatti, al famoso orologio biologico che renderebbe sconsigliabile una gravidanza troppo in là negli anni e alla maternità (la maternità, appunto, non la genitorialità) considerata come un’alternativa “di prestigio” a qualsiasi altra scelta di vita o professionale.

In questa cornice negativa, alcol, fumo e altri vizi diventano “nemici” di qualsiasi scelta procreativa: anche il tono di voce assunto dal Ministero della Salute, insomma, sembra dei meno adatti tanto alla sensibilità del tema, quanto alle grammatiche della comunicazione social, tanto più che una certa retorica dei testi e delle immagini – la fertilità intesa come bene comune, l’utero paragonato a una culla, delle scarpette da neonato avvolte nel tricolore – ha richiamato alla memoria un passato indesiderabile di campagne da regime assolutistico.

L’obiettivo era quello di “provocare”, come hanno affermato i responsabili della campagna. E se ci si può interrogare, allora, sull’efficacia a livello comunicativo di una strategia che miri alla provocazione, non si può dire certo che la campagna sul #FertilityDay sia passata inosservata, sui social soprattutto, dove ha scatenato la reazione di centinaia di utenti.

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Alcune delle cartoline per la comunicazione social del #FertilityDay.

Com’è nato il “caso” #FertilityDay: il ruolo degli influencer

Chi si stia chiedendo perché la polemica sul #FertilityDay sia scattata ben prima della data in questione, quella del 22 settembre 2016, e apparentemente non in concomitanza con il lancio del sito o l’apertura della pagina Facebook (esistevano già da circa un mese), dovrebbe guardare alle interazioni ricevute in quei giorni dal post con cui Roberto Saviano, dal suo account ufficiale, bollava come “medievale” la scelta comunicativa del Ministero della Salute. Le cartoline del #FertilityDay sono diventate, così, presto virali, non perché gli utenti ne condividessero i messaggi, ma perché, come succede sempre di fronte ai grandi fatti di cronaca, d’opinione e di costume, i social diventano la piazza sui tutti si sentono in dovere di esprimere la propria opinione.

Il #FertilityDay? Lo “rivisitano” i meme…

Alla campagna per il #FertilityDay è toccata, così, persino la sorte tipica di tutti i contenuti dati in pasto alla Rete e alla creatività degli utenti. Centinaia sono i meme taggati con l’ hashtag #FertilityDay: per la maggior parte immagini ironiche che riprendono il contenuto e il visual della campagna e ne fanno mashup e remix con situazioni paradossali o iconiche di un certo immaginario “pop”, quale quello televisivo o cinematografico.

La Chiesa Pastafariana Italiana (l’organo “ufficiale” dell’omonima religione parodistica, ndr) ha rifatto sulla sua pagina Facebook la campagna per un #FertilityDay ispirato alla retorica decisamente più edonistica e godereccia dei fedeli del dio spaghetti. E persino piccole “star” dei social come il piccolo George d’Inghilterra, in versione fake ovviamente, hanno voluto dire la loro sulla chiacchieratissima campagna per la fertilità.

…e le star dei social

A completare il quadro delle reazioni social al #FertilityDay ci ha pensato, poi, la creatività di chi i social li usa da sempre come mezzo espressivo. Dai The Jackal a Il Terzo Segreto di Satira – che sul tema ha creato un video diventato anch’esso presto virale – nessuno si è lasciato scappare l’occasione per contribuire, con un po’ di autoreferenzialità, al dibattito sul #FertilityDay.

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Il post su Facebook dei The Jackal a tema #FertilityDay.

Il real time marketing sul #FertilityDay

Neanche le aziende si sono fatte scappare, per finire, l’occasione: come la notte degli Oscar e il “caso” petaloso, così, il #FertilityDay è diventato una parentesi ideale per il real time marketing. C’è chi ha giocato sull’ambiguità del verbo sfornare, come Althea, leader nella distribuzione di sughi pronti, e chi con il concetto stesso di fertilità, come Pratiko, noto brand di bricolage e giardinaggio. Ceres e Doimo, invece, hanno usato una chiave ironica, prospettando un futuro prossimo di astinenza dalle bevute in compagnia alle future mamme e offrendo la consolazione, senza tempo, di un comodo divano ad aspettarle.

Che ne è stato del #FertilityDay?

Come ben sa chi si occupa di comunicazione, una campagna ben riuscita è in grado di “ripensarsi” a partire dai primi feedback che riceve dai destinatari. E in questa direzione sembrava doversi muovere anche quella per il #FertilityDay dopo le polemiche social e dopo il tweet al vetriolo della Ministra Lorenzin.

Un approccio meno provocatorio, meno “colpevolista”, meno pedagogico: a questo facevano pensare le nuove scelte del Ministero della Salute, che aveva optato, per esempio, per l’identità visiva dell’iniziativa per un più neutro nodo rosso.

Un nuovo capitolo nella ‘saga’ delle polemiche sul #FertilityDay, però, si è aperto a poche ore dal fatidico 22 settembre 2016. Una nuova cartolina, infatti, ripropone la questione degli stili di vita che potrebbero danneggiare la salute riproduttiva degli italiani. Anche in questo caso la scelta è per una campagna al negativo, giocata sulla contrapposizione, lessicale in primis, tra buoni e cattivi e sui campi semantici della promozione vs condanna.

Inutile sottolineare ancora – come hanno fatto notare diversi esperti del settore – che una campagna istituzionale che premi qualcuno (chi scelga la strada della maternità, in questo caso) e metta alla gogna qualcun altro (chi un figlio non lo vuole o non può permetterselo) è una campagna fallimentare per definizione, perché crea reattanza più che convinzione, tanto più se il mittente è un soggetto come uno Stato che ha per dovere l’inclusione.

Quello che fa specie, però, nella “nuova” campagna per il #FertilityDay è soprattutto l’incapacità di andare oltre gli stereotipi della famiglia “normale” (formata nella cartolina da giovani belli, felici e biondi) e di tutto ciò che nel peggiore dell’immaginario comune si contrappone a essa, che nel caso specifico sembra acquistare addirittura una venatura razzista.

#FertilityDay nuova cartolina

La nuova cartolina del Ministero della Salute per il #FertilityDay.

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