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Scrollytelling: come raccontare una storia scorrendo una pagina web

Scrollytelling: come raccontare una storia scorrendo una pagina web

Ogni giorno percorriamo chilometri scorrendo le pagine web. Lo scrollytelling può diventare, così, una risorsa per il giornalismo digitale.

Quanti chilometri percorriamo ogni giorno semplicemente “scrollando” (navigando, cioè, in verticale e in orizzontale) le pagine web? Per provare a misurarli arriva Scroll-o-meter, un’estensione per chi usa Google Chrome che traduce in chilometri o miglia, appunto, i normali spostamenti su siti e pagine web. Una volta istallata essa rileva le dimensioni dello schermo e tiene conto dei movimenti – verso l’alto e il basso, ma anche in laterale – di mouse, tastiera, touchpad e simili. La nota curiosa dell’estensione, ideata da due giovani creativi appassionati di coding e web, è che si può scegliere di visualizzare un maratoneta nella parte inferiore del proprio schermo che si muoverà al ritmo e con la velocità dei propri scroll e che segnalerà all’utente il raggiungimento di “traguardi” importanti.

Scrollytelling: come raccontare una storia scorrendo una pagina web

Scroll-o-meter, l’estensione di Chrome per misurare quanti chilometri facciamo scrollando le pagine web.

Un’applicazione divertente che punta a premiare, anche solo simbolicamente, l’utente per il tempo speso navigando fino in fondo una pagina web? Non solo. Scroll-o-meter è la metafora più evidente della (ri)scoperta dello scrollytelling, ovvero l’arte di raccontare storie attraverso lo scroll.

Cos’è e come funziona lo scrollytelling?

Senza lasciarsi spaventare dal neologismo, infatti, lo scrollytellig (da to scroll, “scorrere”, e telling, “raccontare”) prova a usare l’estensione spaziale della storia come elemento narrativo in sé. Che sia di solo testo, infatti, o che contenga anche elementi visivi e multimediali, una storia occupa naturalmente uno spazio nella cornice della pagina web in cui è ospitata, se parliamo di storie destinate all’online. La sfida, per chi voglia puntare al totale coinvolgimento dei lettori – tanto più in un ambiente sovraffollato e dove, è stato sottolineato più volte, i tassi di attenzione sono tra i più bassi – è, allora, sfruttare lo stesso elemento spaziale come elemento di narrazione.

Due precisazioni, però, vanno fatte a riguardo. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, innanzitutto non è sempre vero che i pezzi brevi sono quelli che funzionano di più sul web. In alcuni casi, i testi più lunghi sono quelli che generano engagement migliore con l’utente (in termini di tempi di lettura, condivisioni, etc.). Alcuni studi avrebbero confermato, poi, come gli utenti preferirebbero “scrollare” una pagina fino in fondo per leggere interamente un articolo, piuttosto che dover cliccare su pulsanti che lo indirizzino verso un’altra pagina, forse a causa dei tempi di caricamento raddoppiati in questo caso.

Un esempio di scrollytelling che ha fatto scuola

Lo scrollytelling può essere, allora, un’ottima opzione quando si ha una una storia molto lunga da raccontare o quando la si vuole arricchire di elementi multimediali come immagini, video, audio, infografiche. Tra gli esperimenti che hanno fatto scuola, in questo senso, quelli del New York Times. In “Snow Fall”, per esempio, la valanga che nel 2012 ha interessato il Tunnel Creek (nello stato di Washington, ndr) è raccontata non solo attraverso la ricostruzione giornalistica, ma anche con foto originali, video, testimonianze di chi era presente sul luogo, una mappa interattiva, a portata di scroll. Non si tratta solo di fornire un’informazione “push” al lettore che non ha bisogno, per esempio, di andare a cercare il luogo in cui è avvenuto il disastro ambientale perché ha già a disposizione una mappa che glielo indica. Si tratta, invece, di rendere interattiva e personalizzabile l’esperienza di lettura: è solo attraverso un suo comando del mouse, infatti, che l’utente può andare avanti nella lettura o decidere di terminarla o saltarne un pezzo.

Lo scrollytelling può rappresentare una soluzione ideale anche nei casi in cui si debbano spiegare questioni complesse, di materia tecnica o di non immediata comprensione per chi non sia del settore. La struttura a imbuto (prima le informazioni più generiche e, man mano che si scorre la pagina, quelle più dettagliate e tecniche) e la possibilità di scegliere cosa e quanto leggere, infatti, si adattano alle esigenze di un giornalismo di long-form.

Lo scrollytelling al servizio di un giornalismo di dati

La possibilità di giocare con le soluzioni grafiche, infine, fa dello scrollytelling una risorsa strategica per quelle occasioni, sempre più frequenti, in cui si ha a che fare con dati, rilevazioni, statistiche che hanno bisogno di essere rese leggibili e attraenti. Alcuni studi hanno dimostrato, infatti, che i lettori preferiscono essere guidati attraverso i contenuti, specie se si tratta di dati e simili, e non avere semplicemente un “punto d’accesso” a essi. Progetti di data journalism che usano lo scroll come originale risorsa narrativa sono, per esempio, quello del Tampa Bay Times  che analizza il problema del razzismo nelle scuole pubbliche della Florida con una serie di infografiche dalla facile lettura e dal chiaro appeal visivo o quello del Wall Street Journal che affronta con strumenti simili l’impatto a livello nazionale e non della crisi demografica africana. Senza contare una svariata serie di iniziative che combinano gli strumenti del visual journalism e i principi dello scrollytelling per fare giornalismo esplicativo: dalla conformazione del sistema solare alle origini e lo sviluppo dello Stato Islamico, ci sono tantissime cose da imparare a portata di scroll.

Ciò di cui è meno immediato accorgersi, invece, è come lo scrollytelling richieda un approccio collaborativo e sinergico tra le diverse professionalità che operano nell’ambiente giornalistico: redattori, designer, sviluppatori sono tutti protagonisti quando c’è da raccontare una storia a prova di scroll. Anche per questo c’è chi ha visto nello scrollytelling una delle issue, come la riscoperta della serialità, che potrebbero guidare il giornalismo digitale ben oltre la crisi di credibilità e l’impossibilità di trovare modelli di business efficienti.

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