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Neuromarketing: esempi pratici di applicazione alla comunicazione e al design

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Gesa Lischka presenta alcuni esempi sull'applicazione delle conoscenze di neuromarketing alla comunicazione e al design

Quali tecniche e strumenti di neuromarketing possono essere funzionali all’ottimizzazione della comunicazione pubblicitaria? E in che modo possono contribuire al miglioramento del design di prodotti e del packaging? Gesa Lischka è stata una delle speaker internazionali presenti a Certamente 2016. Durante l’evento, la CEO e co-fondatrice di Kochstrasse  agenzia tedesca di marketing – ha presentato per quel che riguarda il neuromarketing esempi di successo dell’azienda, riguardanti in modo particolare l’applicazione delle tecniche neuroscientifiche al design e alla comunicazione.

Nel corso dell’intervento la speaker ha ricordato che, per quel che riguarda le intenzioni d’acquisto e il comportamento del consumatore, i risultati degli esperimenti neuroscientifici possono essere molto diversi da quello che ci si aspetta e spesso rivelano sorprese molto interessanti sulle motivazioni inconsce degli individui.

L’esperta ha esordito con una simpatica e breve introduzione sulla sua vita e sul suo lavoro, facendo un confronto tra le reazioni che ha il pubblico quando si presenta come cristiana a quelle che ha quando introduce qualcuno al neuromarketing. In entrambe le situazioni le persone sembrano inizialmente molto diffidenti, dimostrando una certa riluttanza nei confronti del discorso che credono potrà scaturire da quei due argomenti. Tuttavia, la CEO ha trovato una chiara similitudine tra cristianesimo e neuromarketing perché, in entrambi i casi, «bisogna mettere in pratica ciò che predichiamo». Ed è proprio questo ciò che Gesa cerca di fare all’interno della sua agenzia, dove mette in pratica il motto secondo cui «ogni conoscenza è inutile se non viene applicata alla pratica».

Per accedere all’inconscio del consumatore sono sicuramente necessarie determinate conoscenze e una base teorica; la speaker a tal proposito ha spiegato che la situazione ideale sarebbe quella di implementare un processo composto da una sequenza di fasi, partendo da ciò che definisce come neuro-check up. In questa prima fase si cercherebbe di identificare le conoscenze e gli studi neuroscientifici che potrebbero essere utili per risolvere problemi come l’ottimizzazione di un prodotto, di un packaging o di un brand .
In un secondo momento, andrebbero identificati i motivi impliciti che porterebbero i consumatori ad acquistare un prodotto di quel marchio e che spesso, quindi, vanno oltre la qualità o le caratteristiche essenziali. In questa fase potrebbero, dunque, esserci diverse sorprese perché non sempre i risultati coincidono con le previsioni. Una volta identificati tutti questi elementi essenziali, spesso ci si trova di fronte alla necessità di cambiare l’intera strategia comunicativa precedentemente adottata, mettendo in atto una fase di allineamento strategico.

Raccolti tutti i dati necessari, si dovrebbe quindi procedere con il processo di design e, dunque, con la creazione della campagna o del packaging. La quinta e ultima fase del processo sarebbe poi quella di verifica del design, attraverso tecniche neuroscientifiche che permetterebbero di testare la reazione degli individui ai cambiamenti effettuati.

Passando all’aspetto pratico, invece, il primo strumento del neuromarketing cui la relatrice ha fatto riferimento è il priming . Quest’ultimo consiste in un effetto psicologico per cui l’esposizione ad un determinato stimolo condiziona la percezione o la risposta a stimoli successivi.

Neuromarketing il passaggio dalla teoria alla pratica

Dalle slide presentate da Gesa Lischka nel suo intervento a Certamente 2016

Per spiegarlo, Gesa ha presentato un’immagine formata da lettere e numeri in due file, dimostrando che quando guardiamo la prima riga il nostro cervello identifica le lettere A B C, mentre quando spostiamo lo sguardo verso la seconda riga tende a leggere la sequenza 12 13 14. Nonostante il secondo elemento di entrambe le righe sia esattamente uguale, tendiamo a identificare numeri quando si trovano in mezzo ad altri numeri e lettere quando inserite in mezzo ad altre lettere.

Questo perché il nostro cervello è impostato in modo tale da farci «interpretare tutto ciò che vediamo a seconda del contesto». Quando guardiamo il codice visuale presente nell’immagine, corrispondente contemporaneamente alla lettera B e al numero 13 , una volta che «entriamo nella ‘stanza dei numeri’ o nella ‘stanza delle lettere’ non possiamo vedere nient’altro», proprio perché, nel cercare di interpretare la riga di numeri, ad esempio, siamo condizionati dall’esposizione alla riga superiore (quella delle lettere), che abbiamo visto per prima.

Il marketing non può, dunque, fare a meno di considerare questo tipo di processi, come attesta il primo caso presentato dalla speaker, relativo all’uso dell’effetto priming per aumentare le vendite del marchio tedesco di prodotti di bellezza Wellness and beauty“. Ai consumatori è stato chiesto cosa piacesse dei prodotti del brand ed essi hanno fatto riferimento ad elementi come le fragranze esotiche dei bagnoschiuma o degli shampoo, ma anche alla forma del packaging (“ying-yang form”).

Per capire che tipo di motivazioni implicite portassero i consumatori ad acquistare un determinato prodotto è stato realizzato un tipo particolare di intervista che permette di accedere a delle risposte coscienti ma anche ad alcune incoscienti. Questo è stato possibile chiedendo agli individui di selezionare un insieme di immagini che secondo loro potesse in qualche modo essere collegato al prodotto. Dai dati è emerso che i soggetti associavano il brand non solo a benessere e bellezza, come voluto dall’azienda, ma anche a pulizia, azione e cibo.

Nell’esempio riportato dalla relatrice, analizzando anche il packaging dei competitor , è emerso che in genere gran parte dei prodotti di igiene, come i bagnoschiuma, ha una forma predefinita e questa, anche a livello inconscio, porta il consumatore ad associare il prodotto alla sua principale funzione: quella di igiene personale e pulizia. Il design originale del marchio analizzato, invece, arricchito da immagini come frutta o acqua, portava ad associare il prodotto anche a freschezza e pulizia.

L’azienda in realtà cercava tutt’altro: si aspettava che il consumatore associasse il prodotto soltanto all’idea di benessere e che quindi, vedendo il packaging, fosse indirizzato direttamente ed esclusivamente a concetti correlati a questo, in modo da differenziarlo rispetto alla concorrenza, maggiormente incentrata sull’idea di igiene personale.

Ricordando l’effetto priming, menzionato in precedenza, si è cercato di fare in modo che i clienti, pensando al prodotto, venissero ricondotti direttamente alla “stanza del benessere“, così da associare il prodotto ad altre dimensioni. La soluzione finale è stata il cambio completo del packaging, attraverso un insieme di elementi che hanno contribuito a creare un immaginario collegato alla bellezza e al benessere.

La relatrice ha concluso la presentazione di questo caso parlando del neuromarketing in generale, aggiungendo che questa particolare scienza non solo «aiuta a spiegare il motivo per cui alcuni prodotti non hanno successo», ma «aiuta anche a spiegare il design al cliente». Gesa Lishcka ha sottolineato proprio l’importanza di quest’ultimo elemento, evidenziando come alcuni clienti talvolta siano reticenti dinanzi ad un cambio completo del design del prodotto (forma, materiale o etichetta), ma il neuromarketing aiuta a spiegare il motivo della necessità di cambiamenti radicali. La scelta del design è, infatti, spesso qualcosa di molto soggettivo, ma i risultati offerti dal neuromarketing mostrano una base più solida per motivare la strategia adottata.

Esempi pratici di neuromarketing | Gesa Lischka
Esempi pratici di neuromarketing | Gesa Lischka

La relatrice, oltre a questo ed altri casi presentati durante il suo intervento, ci ha parlato nel corso di un’intervista ai nostri microfoni di quello che considera probabilmente l’esempio di maggior successo della sua agenzia di neuromarketing. Si tratta di un brand tedesco di prodotti alimentari che ha implementato una strategia di neuromarketing per la creazione di un nuovo packaging per il prodotto. In questo caso, afferma Gesa Lischka, «siamo riusciti a convincere il cliente a cambiare il design originale per adottarne uno nuovo, decisamente innovativo per il mercato alimentare […], inoltre abbiamo suggerito di inserire l’immagine di una donna intenta a consumare il prodotto e questa non è una cosa molto comune in Germania».

La CEO ha affermato che normalmente vengono inseriti nel packaging soltanto immagini del prodotto; tuttavia, come è stato riscontrato nelle fMRI (risonanza magnetica funzionale), ai soggetti piaceva questo cambiamento e «di conseguenza anche l’intenzione di acquisto è aumentata notevolmente».

Con l’esposizione dei diversi casi, la relatrice è riuscita a rendere il suo intervento a Certamente 2016 una perfetta illustrazione dell’apporto delle neuroscienze al marketing e ha permesso di intuire le potenzialità che ulteriori investimenti in ricerca nel campo possono portare al settore del marketing.

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