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Viral marketing

Significato di Viral marketing

Viral marketing Quelle di Viral marketing sono strategie di promozione di un prodotto o servizio, di un brand, di un’iniziativa che sfruttano gli effetti di rete e, più nello specifico, la propensione delle persone a condividere spontaneamente con le proprie cerchie opinioni, consigli, notizie originali.

Marketing virale: da cosa deriva l’espressione

Non a caso il riferimento è all’epidemiologia: nel marketing virale, come nella diffusione di un virus, il contagio avviene da un individuo infetto – un individuo, cioè, che sia già venuto a contatto con il contenuto di brand o il messaggio pubblicitario in questione – a un individuo sano, secondo una curva di crescita esponenziale ma solo apparentemente infinita, dal momento che è il numero di persone potenzialmente contagiabili a essere finito. Nonostante il riferimento esplicito a questo meccanismo virale, l’espressione viral marketing è spesso fraintesa e utilizzata in senso lato. Non di rado, infatti, viene definita virale qualsiasi iniziativa di marketing di successo e che abbia una certa popolarità, anche se ha dietro meccanismi completamente diversi dal passaparola tra gli utenti. Nei veri esempi di viral marketing, invece, il buzz è l’unico mezzo tramite cui si propaga il messaggio di brand e, se è vero che non può mancare un investimento aziendale, questo consiste esclusivamente nella costruzione del giusto messaggio, ovvero del contenuto che abbia una naturale shareability.

Come strutturare una campagna di viral marketing

Va da sé, proprio in considerazione di questo, che una campagna di viral marketing non è – e non potrebbe essere – meno strutturata, meno accuratamente studiata di altre tipologie di campagne. Anche in questo caso ci sono obiettivi da stabilire fin dall’inizio e metriche da definire in modo tale da poter controllare l’andamento della campagna ed eventualmente aggiustarne il tiro anche in fieri. L’investimento iniziale sulla realizzazione di un contenuto accattivante e che le persone abbiano voglia spontaneamente di condividere, infatti, potrebbe essere anche molto consistente in termini finanziari.

Cosa fa di un contenuto un (buon) contenuto virale

Soprattutto se si considera che quando si parla di contenuto, nell’ambito di una strategia di viral marketing, si sta facendo riferimento in realtà a un messaggio che può avere le più diverse forme. I video, i meme , le GIF virali sono solo gli esempi più immediati di contenuti aziendali che diventano facilmente popolari in virtù della loro semplicità di lettura e di una certa familiarità degli utenti a formati come questi.

Il viral marketing, però, può vivere anche di installazioni fisiche e happening nelle piazze o nelle stazioni delle città, tanto che una classificazione più rigida vedrebbe guerrilla marketing e ambient marketing come sottoinsiemi del viral marketing. Anche le tante challenge che vedono gli utenti sfidarsi sui social a colpi di secchiate d’acqua ghiacciata, pose da manichino, doppiaggi improbabili delle proprie serie preferite (com’è avvenuto per esempio per la promozione della nuova stagione di Gomorra) possono essere considerate delle forme di marketing virale, indipendentemente che l’obiettivo sia la promozione di un prodotto, di un servizio o di un brand o che queste abbiano invece scopo sociale.

Non di rado, del resto, il viral marketing viene utilizzato dal no profit o dai soggetti culturali, non tanto per la presunta economicità ma perché per natura più coinvolgente: diverso dai soliti contenuti pubblicitari e più originale, il messaggio di una campagna virale gioca di effetto sorpresa, riesce a vincere quella sorta di riluttanza degli utenti verso i contenuti pubblicitari e se ne guadagna l’attenzione; in un passo appena successivo, se le persone a cui è arrivato sono il target giusto, non solo il contenuto virale sarà condiviso spontaneamente, ma genererà un ricordo positivo e con più probabilità muoverà all’azione. Va da sé insomma che, nonostante non ci sia una scienza precisa della viralità, com’è costruito il messaggio è uno dei fattori più importanti per la riuscita di una campagna di viral marketing: l’idea di fondo è trovare quel messaggio che faccia dire “non posso non vederlo” al più alto numero di persone.

Riprendendo il più classico schema della comunicazione di Jakobson, però, la letteratura sul tema sottolinea la rilevanza anche del contesto e del mittente per la (buona) riuscita di una strategia di marketing virale. Tradotto ciò significa che, oltre alla natura del contenuto, anche l’aver scelto il momento e l’ambiente giusto contano perché questo riesca a diventare virale. In particolare, se si parla di ambienti, quelli digitali – e più nello specifico i social –, per via delle dinamiche al loro interno e perché ambienti in cui il meccanismo della condivisione è fondante, sono stati considerati da più voci come il luogo prediletto per il viral marketing. Allo stesso modo una delle più classiche spiegazioni teoriche della viralità ha a che vedere con il fatto che il contenuto diventato virale sia passato per individui con un forte social networking potential, ossia per utenti con molte connessioni, influenti presso la propria cerchia e in grado quindi di dare una spinta importante alla diffusione di un contenuto. Senza che si trasformi, esplicitamente, in un investimento di influencer marketing , insomma, chi voglia assicurarsi il successo della sua campagna di viral marketing potrebbe confezionare contenuti che risultino d’appeal soprattutto e in primo luogo per opinion leader o trend setter per esempio.

Esempi di viral marketing

Uno dei primi esempi di viral marketing sfrutta proprio questo principio, ovverosia il rivolgersi a opinion leader e altre figure che abbiano una certa capacità di influenza per promuovere e rendere popolare un prodotto innovativo, come era allora il primo modello di Playstation. Era il 1995 e Sony ideò una complicata campagna omnichannel che prevedeva, appunto, il ruolo attivo di alcuni gamer esperti nel convincere gli altri ad acquistare e provare la nuova console.
Un altro esempio di scuola quando si tratta di marketing virale è quello di Hotmail: il servizio mail gratuito divenne oltremodo popolare nella seconda metà degli anni Novanta, investendo semplicemente in un’intestazione che ricordava a chiunque ricevesse un messaggio inviato tramite una casella del gruppo la possibilità di approfittare in prima persona di una email gratuita («Get your free e-mail at Hotmail» era, infatti, la tagline associata a ogni messaggio). Come si accennava, anche l’Ice Bucket Challenge può essere considerata una campagna di marketing virale a scopo sociale: in quel caso l’obiettivo era, infatti, raccogliere fondi contro la sclerosi multipla.ice bucket challenge viral marketing

Più di recente anche la parabola dell’uovo più famoso di Instagram si è rivelata un’operazione di viral marketing e, anche questa volta, lo scopo è stato sensibilizzare rispetto a un tema di rilevanza sociale come la salute mentale.

Lo spot “Alexa Has Lost Her Voice”, e la collegata campagna che coinvolgeva alcuni famosi influencer , sono diventati virali dopo il Super Bowl 2019 come un vero e proprio pezzo d’intrattenimento con protagonista l’assistente vocale di casa Amazon.

Alexa Loses Her Voice Super Bowl Commercial from Amazon
Alexa Loses Her Voice Super Bowl Commercial from Amazon

In qualche caso, comunque, il viral marketing è stato sfruttato persino per gestire crisi reputazionali: tutti ricordano la mancanza di pollo che fece chiudere oltre novecento KFC a Londra, con gli utenti disperati che allertarono addirittura le forze dell’ordine, e altrettanto nota è la campagna stampa con cui il fast food chiese scusa ai suoi clienti per quell’imperdonabile mancanza di pollo e i disagi che aveva causato.

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La campagna stampa con cui KFC chiede scusa per la mancanza di pollo nei suoi punti vendita londinesi è un ottimo esempio di come il viral marketing possa aiutare anche a superare le crisi reputazionali.

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