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Viewability e minacce al mercato pubblicitario digitale

Viewability e minacce al mercato pubblicitario digitale

Perché il tema della viewability preoccupa tanto i player del mercato pubblicitario? E qual è il nesso con le frodi e il traffico non valido?

Che la viewability fosse un argomento caldo non è una novità. Secondo una recente indagine pubblicata da eMarketer e condotta su un campione di 205 pubblicitari professionisti statunitensi, il tema della viewability è considerato preoccupante per ben il 69% degli intervistati, immediatamente seguito dai fattori della misurazione e attribuzione del traffico pubblicitario digitale. Curiosamente, l’avanzare delle frodi pubblicitarie e la limitatezza di inventory display di qualità, due delle più complesse minacce della pubblicità online, sono considerate di minore entità. Perché, dunque, i webmarketer temono la viewability e perché questo tema preoccupa tanto i principali player del mercato pubblicitario?

La ragione risiede nel fatto che il concetto di viewability è strettamente connesso al tema del traffico non valido (IVT, Invalid Traffic) o anche traffico non umano (NHT, Non-Human Traffic), inteso come traffico generato da fonti non valide, come ad esempio dispositivi soggetti a hijacking o malware.

È chiaro, però, che un contenuto pubblicitario erogato verso fonti non valide non è in grado di generare visualizzazioni da utenti reali e dunque queste ultime non sono da considerare di valore. Una minaccia, questa, che dovrebbe preoccupare tutto il settore pubblicitario perché si tratta di un vero e proprio caso di frode: il traffico non valido è traffico di scarsa qualità, con impression artificiosamente gonfiate per fare aumentare il cpm , pregiudicando gli investimenti degli inserzionisti e al tempo stesso gli interessi e la credibilità degli editori.

Secondo il report Advertising Benchmark T1 – 2016 pubblicato da comScore, il traffico non valido tende ad aumentare, puntando soprattutto a fonti di traffico non valido sofisticate, più difficili da rilevare. Non solo: il traffico non valido proviene maggiormente da inventory video rispetto a pubblicità display. Questo è dovuto principalmente al fatto che i video generano CPM più elevati e per questo le attività fraudolente tendono a gonfiare i costi in tempi decisamente più ridotti. Non vanno, poi, sottovalutati altri due dati particolarmente preoccupanti: i tassi di viewability sono maggiori nei casi di spazi pubblicitari acquistati direttamente rispetto all’acquisto in modalità programmatic; inoltre, oltre la metà degli annunci pubblicitari erogati in tutto il mondo risulta ancora non visualizzabile. Un simile scenario colpisce, pertanto, due degli elementi principali del panorama pubblicitario dei nostri giorni: da un lato l’affidabilità dei video, dall’altro ogni forma di acquisto RTB (Real Time Bidding), perché contraddistinto da una assenza di trasparenza che lascia ampi margini di manovra alle frodi.

La lotta alle frodi pubblicitarie coinvolge tanto i media buyer quanto i seller. Per quanto riguarda i primi, è indispensabile focalizzarsi su una scelta accurata dei partner in grado di erogare le campagne con strumenti verificabili, limitando così gli sprechi e ottimizzando gli investimenti. Anche la qualità delle inventory acquistate deve essere opportunamente vagliata, soprattutto se si tratta di acquisti in modalità programmatic. Esistono svariate soluzioni – e partner – in grado di fornire pianificazioni pubblicitarie affidabili e visualizzazioni reali anche in modalità RTB. Non ultimo, i media buyer dovrebbero disporre di strumenti avanzati per il monitoraggio delle campagne, in modo da rilevare e limitare le forme più sofisticate di IVT, così da non sprecare impression e assicurarsi una corretta erogazione del contenuto pubblicitario. Sul fonte contrapposto, i media seller devono essere in grado di adattare strategie efficaci per il controllo e il monitoraggio delle inventory in maniera continuativa: solo in questo modo possono salvare la propria reputazione (e le performance) di tutto l’ecosistema pubblicitario odierno.

Non è escluso, infine, che il dibattito si orienti verso l’elaborazione di nuove metriche e nuove modalità di attribuzione a tutela di una corretta e trasparente erogazione del contenuto pubblicitario. È indicativo in tal senso il dibattito sul concetto di audibility, un tema che riguarda soprattutto i contenuti video e che è stato già sposato da un colosso come GroupM. L’erogazione di contenuto pubblicitario video, infatti, va analizzata anche nella sua fruizione audio. Nelle attività di misurazione, infatti, occorre contemplare il monitoraggio dell’audio ai fini di una corretta valutazione del grado di coinvolgimento dell’audience e del tipo di esperienza generata dal contenuto pubblicitario. L’obiettivo della trasparenza è stato appena tracciato, ma risulta chiaro per tutti i player che si tratta di un percorso inevitabile per la salvaguardia e l’affidabilità dell’intero ecosistema pubblicitario.

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