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Crisis management sui social tra best practice e case study

Crisis management sui social tra best practice e case study

Quali sono le best practice per una buona strategia di crisis management sui social? Alcuni case study e le lezioni da imparare da essi.

Un annuncio ritenuto inadeguato, una scelta di testimonial sbagliata, dei prodotti difettosi o delle pratiche di business poco etiche: considerando la velocità con cui si diffondono le notizie online occorrono davvero pochi minuti per far scoppiare una crisi reputazionale.

E se l’ideale è lavorare sempre in ottica di prevenzione, esistono invece delle situazioni meno prevedibili o che comunque, una volta entrate nel flusso di conversazioni online, devono essere gestite in maniera adeguata da parte del brand per cercare di risolvere il problema o per lo meno limitare i danni. Bisogna in questo senso definire un buon piano di crisis management sui social, tenendo conto di alcune pratiche fondamentali per gestire situazioni di crisi.

Come gestire una crisi sui social?

  1. Avere un piano ben definito

    Premessa di base per gestire le situazioni di crisi qualora si presentino è avere già delle linee guida da seguire, stabilite preventivamente e condivise con i referenti coinvolti nella gestione dei canali online, in modo da poter rispondere in tempo reale a eventuali problemi, recensioni o commenti negativi pubblicati. Oltre alla definizione delle regole, è importante individuare i punti deboli dell’azienda e gli scenari più critici che potrebbero eventualmente verificarsi, in modo da evitare che la crisi possa avere effetti irreversibili.
  • Rispondere in maniera chiara, onesta e ponderata

    Di fronte a un’ondata di critiche e di conversazioni online negative, una risposta vaga che non approcci il problema in maniera diretta può essere pericolosa. Comunicare la posizione del brand nei confronti del problema in maniera chiara, onesta e tempestiva è importante, ma bisogna anche analizzare le conversazioni che si sono diffuse sul marchio, individuare in maniera precisa il motivo delle critiche e riflettere bene prima di rispondere.
  • Monitorare le conversazioni e fare degli screenshot

    Come sottolineato in precedenza, l’ascolto delle conversazioni online sul brand, la sentiment analysis e la rilevazione delle critiche o accuse che sono alla base di una polemica sui social sono necessari per poter rispondere di conseguenza. In questo senso, risulta imprescindibile la funzione screenshot (“salvare schermata“), come consiglia la social media director di Qode Social, Kelly Samuel, in un articolo pubblicato sulla rivista Forbes. Tra le pratiche menzionate, l’esperta spiega perché il salvataggio non solo dei commenti negativi, ma anche dei profili di chi li condivide possa essere così importante. Infatti, avendo un archivio di questo tipo di dati e andando ad analizzarlo in maniera accurata potrebbero, per esempio, uscire fuori situazioni di concorrenza sleale in cui l’autore dei commenti in questione è un soggetto legato in qualche modo a un’azienda competitor.
  • Attivare le funzioni di filtro di parole offensive sui social

    Spesso si generano delle conversazioni negative attorno al brand contenenti parole offensive, con accuse che non necessariamente corrispondono alla verità ma che possono danneggiare la reputazione del brand. Nel caso di Instagram, l’attivazione del filtro che consente di oscurare i commenti che contengono delle parole offensive lasciati sulle foto del brand può essere una buona alternativa all’eliminazione di questi ultimi. Quasi tutti i canali social hanno ormai un filtro simile che può variare leggermente a seconda della piattaforma, ma che consente di ridurre (anche se solo parzialmente) la “pubblicità negativa” attorno al brand, permettendo comunque all’utente di pubblicare il commento.
  • Mantenere aggiornati i propri utenti

    Condividere con il proprio pubblico il modo in cui si intende risolvere il problema è una strategia molto efficace per gestire al meglio una situazione di crisi sui social. Essere trasparenti sui tempi e i modi con cui si intende agire di solito è una caratteristica apprezzata dal pubblico, che così si sente rassicurato.
  • Monitorare gli effetti sul lungo termine

    Una volta arginata la situazione di crisi e recuperata la fiducia del proprio pubblico, è importante mantenere sempre alto il livello di attenzione. Il rapporto di fiducia deve mantenersi saldo nel tempo e per questo bisogna continuare a monitorare le reazione degli utenti e i commenti sui social. Tra le buone pratiche di crisis management sui social rientra il controllo della situazione affinché non si ripetano nel futuro gli stessi errori.

Crisis management su social: alcuni case study e le lezioni da imparare

Ci sono alcuni casi noti che possono insegnare importanti lezioni sulla gestione di crisi, vale a dire su cosa fare ma anche su cosa non fare di fronte a un problema che coinvolga l’azienda o i relativi prodotti.

Il caso KFC

Partiamo dal giorno in cui diversi ristoranti di pollo fritto della catena KFC in Inghilterra hanno chiuso temporaneamente proprio per mancanza di pollo: un incidente, questo, che ha provocato disagio a diversi consumatori, per non parlare poi del danno all’immagine del brand statunitense. Infatti, i fan di KFC hanno espresso il loro disappunto sui social immediatamente.

Crisis management il caso KFC

In effetti, il disagio è stato tale da costringere la polizia di Londra e di Manchester a ricordare ai cittadini, tramite account Twitter ufficiale, che la chiusura temporanea di KFC per mancanza di pollo non rappresentava un motivo valido per contattare la polizia.

Chiaramente ogni situazione è diversa e il tono di voce usato per rispondere a ogni momento di crisi deve variare in base al problema in questione.

Crisis management caso KFC

Fonte: The Sun

Tuttavia, data la stranezza di tutta la situazione generatasi, il brand ha deciso di rispondere di conseguenza, ammettendo ovviamente la colpa ma con un tocco di comicità. Sui social, come anche sulle riviste The Sun e Metro, l’azienda ha pubblicato l’annuncio pubblicitario con il classico “secchio” di pollo KFC, ma vuoto, spiegando molto banalmente che quella appena trascorsa era stata «una settimana infernale» e chiedendo scusa per l’accaduto, con onestà e semplicità che sono piaciute molto agli utenti. Infatti, dopo la pubblicazione dell’annuncio, si sono moltiplicate le congratulazioni da parte dei fan di KFC e di altri utenti per l’intelligente scelta comunicativa e di crisis management sui social e non solo.

Il caso Pepsi

In una campagna di Pepsi lanciata nell’aprile del 2018, l’attrice Kendall Jenner era la protagonista in uno spot al cui interno c’erano dei richiami al movimento “Black lives matter“. L’attrice offriva una bibita a uno degli agenti di polizia, riuscendo in questo modo a dissipare la tensione tra le autorità e i manifestanti. Immediatamente gli utenti hanno espresso il loro malcontento nei confronti di un annuncio accusato di banalizzare una questione sociale molto sensibile, “risolvendola” con una lattina di cola.

Anche in questo caso la risposta del brand è stata rimuovere il video, pubblicando un messaggio di scuse online nei confronti dei consumatori di Pepsi e dell’attrice: «Pepsi stava cercando di trasmettere un messaggio mondiale di unità, pace e tolleranza. Chiaramente, abbiamo mancato il bersaglio e ci scusiamo per questo. Non intendevamo banalizzare alcuna tematica importante. Stiamo rimuovendo il contenuto e sospendendo qualsiasi altro lancio. Ci scusiamo inoltre per aver messo Kendall Jenner in questa situazione».

Ovviamente in questo caso lo stile e il tono di voce del mea culpa di Pepsi è stato ben diverso da quello di KFC, data la serietà dell’argomento e, nonostante certi danni reputazionali siano difficili da riparare, l’ammissione degli errori commessi in maniera tempestiva e aperta è spesso l’unico modo per evitare ulteriori polemiche e restaurare la fiducia dei consumatori.

Il caso VOLKSWAGEN

Altro caso di reputational crisis è quello di Volkswagen che il 18 settembre 2015 è stata travolta dallo scandalo dei controlli truccati sulle emissioni di gas sui motori diesel. Questo scandalo può essere utilizzato esempio per verificare e studiare i comportamenti digitali degli utenti e dell’azienda stessa in un classico momento di crisi. I dati diffusi da ‘Digimind’ rivelano che, confrontando gli insight provenienti dai social di Volkswagen nei giorni precedenti allo scandalo (4-16 settembre 2015) con quelli dei giorni immediatamente successivi (17-29 settembre 2015), il volume delle menzioni dell’azienda era aumentato di più del 50%, arrivando a quasi 120.500 menzioni in 15 giorni.

A cambiare sono stati anche gli argomenti della discussione. Se prima della crisi le keyword più utilizzate erano legate ai modelli della casa automobilistica e il sentiment era decisamente positivo, subito dopo lo scoppio del caso le parole frequenti associate all’azienda tedesca sono state “scandalo” e “emissioni”, con un focus sui topic dei motori, dell’inquinamento e dell’imbroglio. Anche il sentiment relativo si è trasformato in un trend decisamente negativo, passando dal 19% prima dello scandalo al 69% nei giorni successivi.

Dal punto di vista della gestione della reputational crisis, gli account Facebook e Twitter di Volkswagen USA sono rimasti tutti in silenzio stampa per una settimana intera, fino alla dichiarazione ufficiale delle dimissioni di Michael Horn, CEO negli Stati Uniti; gli account globali hanno invece continuato la condivisione di contenuti nonostante lo scandalo in atto. Tuttavia, il 27 settembre 2015 Volkswagen ha lanciato un sito di informazioni che in realtà si è rilevato abbastanza povero di contenuti rispetto alle domande dei consumatori.

Oggi il gruppo Volkswagen ha rafforzato il proprio impegno quanto a sostenibilità e tutela ambientale. Tuttavia, in casi estremi come questo che vanno a intaccare seriamente la fiducia di consumatori e di tutti gli stakeholder , oltre ad un piano di crisis management sui social è stata necessaria una strategia a lungo termine che ha comportato cambiamenti in tutto il modello di business. In questo senso, il brand ha deciso anche di avviare una strategia di rebranding per cercare di riparare ai danni reputazionali causati, con una strategia di comunicazione che rispecchiasse il cambiamento più profondo che il brand ha deciso di intraprendere.

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