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Advertising digitale: la minaccia di Unilever di tagliare gli investimenti dove circolano odio e fake news

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Unilever minaccia di tagliare gli investimenti su piattaforme di advertising digitale come Facebook e Google dove circolano contenuti offensivi e pericolosi

L’annuncio è di quelli che, se si realizzassero, potrebbero sconvolgere il mondo dell’advertising digitale: Unilever – la multinazionale di Magnum, Dove, Findus, solo per nominare alcuni dei brand più famosi di cui è proprietaria – sarebbe disposta a tagliare gli investimenti su piattaforme come Facebook e Google fino a quando queste non prendano una posizione netta contro fake news, hate speech , contenuti offensivi.

La preoccupazione di Unilever per i contenuti non adatti ai bambini e un precedente illustre di brand safety

A rivelarlo è stato il CMO del gruppo all’annuale appuntamento a Palm Desert con l’Interactive Advertising Bureau-IAB. Nell’occhio del ciclone sembrerebbero esserci soprattutto i contenuti espliciti e non a misura di bambini che circolano sulle principali piattaforme digitali, spesso non adeguatamente contrassegnati e sottoposti solo a un controllo automatizzato e parziale. Non è difficile capire, del resto, perché da Unilever siano particolarmente preoccupati degli «ambienti che non proteggono i nostri bambini» – queste le parole del rappresentante della multinazionale – o dei contenuti che, peggio, provano a monetizzarne la presenza: del gruppo fanno parte molti brand i cui prodotti (dai dolciumi ai prodotti per l’alimentazione e l’igiene nella prima infanzia, ndr) sono rivolti proprio a un target di minori.

È insomma innanzitutto un problema di brand safety: nessun’azienda vorrebbe vedere associato il proprio nome o i propri prodotti a contenuti in contrasto con la mission e la storia aziendale o con i valori di cui si fa portatrice. Per questo considerare il contesto in cui viene collocata la pubblicità è essenziale anche quando si fa advertising digitale.

Unilever, del resto, ha un precedente importante: lo scorso anno, nella stessa occasione, P&G  – un’altra tra le più importanti multinazionali e che si contendono il titolo di high spender in marketing e pubblicità – aveva minacciato di tagliare il budget allocato al digitale, proprio perché ambienti come Google o Facebook si dimostravano spesso poco sani per il brand e i suoi consumatori. Casus belli era stata la collocazione di alcuni contenuti pubblicitari riguardanti i prodotti dei brand di P&G vicino a messaggi riconducibili direttamente a gruppi terroristici come l’ISIS. In quell’occasione il gruppo, oltre a tagliare di circa 100mila dollari il proprio budget digitale senza apparenti effetti negativi sulle vendite, aveva fatto delle precise richieste ai big del digitale: standard più chiari e precisi in materia di viewability (una metrica che, semplificando, ha a che vedere con la visualizzabilità dell’annuncio, ndr), un watchdog indipendente che vigilasse sulle metriche prese in considerazione dalle piattaforme per la digital advertising e, più in generale, maggiore controllo e maggiore trasparenza sui contenuti.

Perché la responsabilità aziendale dovrebbe incontrare l’impegno delle piattaforme di advertising digitale

Proprio la mancanza di trasparenza, del resto, riecheggia nella nuova minaccia di Unilever alle piattaforme per l’advertising digitale. Facebook, Google e co. rischiano di diventare «una palude», ha sottolineato il gruppo, e ogni brand ha il diritto di non investire in contenuti e messaggi che sono opposti a ciò che si prova a veicolare. C’è persino un richiamo al tema della responsabilità aziendale: da anni Unilever e i brand del suo gruppo investono in progetti di più ampio respiro che abbiano un impatto positivo sulla società e l’accusa – poi non tanto velata – alle compagnie digitali sembra essere quella di non essersi dimostrate buone alleate in questo. Nonostante non si possa ignorare come, nel tempo, proprio grazie alla mutua collaborazione tra marketer, investitori e piattaforme, siano stati fatti importanti passi avanti. Di recente, per esempio, Youtube ha stabilito nuovi criteri per la monetizzazione attraverso i canali e ha punito i creatori di contenuti discutibili, violenti o pericolosi come quelli che riguardavano la Tide Pod Challenge.

Nella minaccia di Unilever di sospendere i suoi investimenti in advertising digitale, comunque, un peso rilevante sembra averlo anche la fiducia di clienti o potenziali tali. «Non possiamo stare in un ambiente in cui i consumatori non si fidano di quello che vedono online», avrebbe aggiunto infatti il CMO del gruppo. Oltre ai contenuti violenti, insomma, anche le fake news potrebbero frenare l’appetibilità delle piattaforme digitali per marketer e investitori. Tanto più che, in diverse occasioni, dietro la diffusione di notizie false o non verificate si è mossa l’ombra della manipolazione politica. Non si può dire però, in questo senso, che compagnie come Google o Facebook non abbiano intrapreso, e già da tempo, la loro lotta contro le fake news, con strumenti diversi e anche se con risultati ancora non perfettamente misurabili.

Di certo c’è che, se davvero Unilever smettesse di investire in advertising digitale o anche solo limitasse l’investimento, l’intero settore non sarebbe immune dalle conseguenze. Come si accennava, infatti, il gruppo è uno dei due più gradi investitori in pubblicità con 129milioni di dollari di spesa nel 2017, di cui circa un terzo allocato al digitale.

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