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Molte app tracciano la posizione degli utenti: come vengono usati questi dati?

App tracciano la posizione degli utenti per rilevare dati

Diverse app tracciano la posizione degli utenti. Come vengono utilizzati questi dati e che informazioni rivelano sui consumatori?

È ormai risaputo da gran parte dei consumatori che diverse app tracciano la posizione degli utenti che le installano sul proprio smartphone, ma a quale scopo? E che tipo di dettagli sulla loro vita privata possono essere rilevati sulla base di tali dati? La richiesta di consenso di accesso alla posizione da parte di un’app viene fatta solitamente al fine di offrire dei servizi personalizzati sulla base della localizzazione dell’utente (come servizi meteo, suggerimenti di parcheggio o notizie geolocalizzate). Esistono, quindi, chiaramente innumerevoli vantaggi per gli utenti che condividono la propria localizzazione, ma non sempre si riflette su che utilizzo viene fatto effettivamente dei dati raccolti da queste app e, secondo un articolo pubblicato dal New York Times, in alcuni casi emergerebbero questioni legate alla privacy che non possono essere ignorate.

DIVERSE APP TRACCIANO LA POSIZIONE DEGLI UTENTI: chi sfrutta Questi dati E A COSA SERVONO?

L’intera routine di una settimana comune può essere monitorata nel dettaglio, con il tracciamento di ogni movimento da casa a lavoro o all’università, passando per la palestra, prima di andare dal dottore o fare la spesa al supermercato, per esempio, rilevando dati di diverso tipo, come gli orari di uscita e di rientro oppure i percorsi effettuati su autostrada o piste ciclabile e quindi viaggiando in auto, in bici o a piedi: basta avere uno smartphone, strumento che ormai accompagna quotidianamente individui di ogni età.

Dunque, le app tracciano la posizione degli utenti, poiché frequentemente essi scaricano applicazioni che richiedono il consenso per accedere alla localizzazione per rendere più personalizzati i servizi offerti. Tra le più comuni, è possibile menzionare le applicazioni legate al meteo che forniscono, appunto, informazioni sulla base della posizione geografica; un altro esempio è rappresentato da applicazioni che forniscono notizie locali. Sebbene allora sia noto che le app tracciano la posizione degli utenti, ciò che è meno chiaro è il modo in cui questi dati vengono effettivamente utilizzati e la possibilità di condivisione con soggetti terzi.

Negli Stati Uniti esistono almeno 75 aziende che ricevono informazioni precise e dettagliate sulla geolocalizzazione degli utenti (non identificati), che provengono da app che hanno ricevuto il consenso per accedere alla posizione per l’invio personalizzato di informazioni o altri servizi. Come rivelato in un’indagine del New York Times, le aziende in questione acquistano database dalle applicazioni, spesso all’insaputa dei diretti interessati: non raramente gli utenti le installano sul proprio smartphone senza essere pienamente consapevoli dell’utilizzo che viene fatto dei loro dati. In alcuni casi, come si può leggere nell’articolo, le app tracciano la posizione degli utenti, rilevando gli spostamenti circa 14mila volte nell’arco di una giornata, cioè circa una volta ogni sei secondi: una grossa mole di dati consegnata a terzi a fini commerciali.

Non a caso quello della geolocalizzazione pare sia diventato un business da miliardi di dollari, in cui investono giganti come Goldman Sachs e il co-fondatore di Paypal, Peter Thiel, con un mercato che ha ormai raggiunto cifre esorbitanti: le vendite di pubblicità geotargetizzata hanno raggiunto una cifra pari a 21 miliardi di dollari nel 2018.

cosa rivela la posizione sulla vita privata degli utenti?

La posizione di un utente è un’informazione che può essere utile per le aziende sia se presa in maniera isolata, e dunque per l’invio di annunci sulla base della posizione geografica in un determinato momento, sia attraverso l’incrocio di questa tipologia di dato con altre.

Le aziende prese in considerazione nell’articolo del New York Times, che acquistano questo tipo di database, hanno dichiarato di utilizzare i dati di geolocalizzazione per ottenere informazioni relative a pattern di comportamento di consumo e non relative all’identità e alle abitudini di singoli individui: i dati di posizione raccolti sarebbero, allora, collegati non a un nome, un indirizzo di casa o un numero di telefono bensì a un ID (device identification). Le pubblicità geotargettizzate, secondo queste dichiarazioni, quindi non sarebbero rivolte a singoli individui.

Tuttavia, come si legge sempre nell’articolo del giornale, con un accesso così preciso alla localizzazione in tempo reale basterebbe poco per associare l’ID di uno smartphone al relativo proprietario. Per esempio, sarebbe molto semplice per chi abbia accesso ai dati di geolocalizzazione tracciare gli spostamenti di un individuo che conosce: basterebbe semplicemente identificare l’ID di uno smartphone che trascorre molto tempo nei pressi dell’indirizzo di casa della persona in questione (se si conosce l’indirizzo) oppure, facendo l’inverso, conoscendo l’ID del suo device si potrebbe cercare di individuare il relativo indirizzo di casa, localizzando la posizione durante la notte.

È facile affermare, allora, che la quantità di informazioni alle quali si può avere accesso, seguendo questa logica, è enorme: è possibile conoscere, per esempio, il luogo di lavoro, quello degli hobbie, le preferenze di consumo, eventuali problemi di salute, i mezzi di trasporto utilizzati e tanto altro.

Perché gli utenti condividono la propria posizione?

Stabilito allora che le app tracciano la posizione degli utenti, perché essi dovrebbero condividere la propria posizione? Molto banalmente, il suggerimento di prodotti o servizi basati sulle proprie abitudini e sui propri bisogni in base alla posizione in tempo reale oppure agli spostamenti quotidiani può essere ritenuto, da molti, un grande vantaggio in termini di risparmio di tempo e di energie da impiegare nella ricerca. In questo senso, giganti come Google e Facebook giocano un ruolo fondamentale data la loro posizione di rilievo nell’industria della mobile advertising: entrambe le aziende ricevono dati relativi alla localizzazione degli utenti e dichiarano di usarli per personalizzare la user experience. Ci sono ovviamente molte altre aziende, però, che si occupano di servizi di location-based advertising per proporre le più svariate offerte: l’agenzia pubblicitaria statunitense Tell All Digital, per esempio, invia degli annunci personalizzati di avvocati che si occupano di sinistri a cellulari di utenti che si trovano all’interno del pronto soccorso.

Non si può però negare, comunque, che gli utenti traggono diversi vantaggi dalla condivisione della propria posizione geografica con diverse tipologie di applicazioni, come per esempio vantaggi che derivano dalla geolocalizzazione per ricevere assistenza in situazioni di emergenza.

Diverse app tracciano la posizione degli utenti affinché ricevano aiuto tempestivamente in situazioni di pericolo. Un esempio è rappresentato dall’isola portoghese di Madeira in cui nel 2017 è stata introdotta, appunto, un’applicazione che consente al personale del servizio di emergenza di rilevare in tempo reale la posizione precisa dei cittadini in attesa di aiuto, specialmente in zone di difficile accesso e localizzazione, come quelle montuose.

L’app ProCiv Madeira ha avuto molto successo e si è rivelata molto utile specialmente se si considera che annualmente in media circa cento turisti si perdono nelle zone di montagna e hanno poi difficoltà a comunicare la propria posizione alle autorità. L’applicazione consente la segnalazione immediata di diverse tipologie di emergenze, compresi la richiesta di ambulanza o il soccorso in caso di incendi forestali, molto comuni nei periodi estivi. Inoltre, l’applicazione è dotata di un servizio di notifiche basato sulla posizione degli utenti, che fornisce informazioni sulla situazione nelle aree limitrofe in tempo reale, rilasciate dal SRPCM e dall’Istituto Portoghese di Mare e Atmosfera-IPMA relativamente alla chiusura di strade, all’individuazione di percorsi alternativi, alla segnalazione di allerte meteo e consigli di sicurezza.

Come vengono uTILIZZATI questi dati?

Nella maggior parte dei casi, l’utente fornisce effettivamente il consenso all’app per accedere alla propria localizzazione, ma – come si legge sempre nell’indagine del New York Times – il problema che si pone è relativo alla poca chiarezza riguardo all’utilizzo che verrà fatto dei dati condivisi. Le app tracciano la posizione degli utenti, informandoli del bisogno di accesso alla loro localizzazione al fine di fornire informazioni personalizzate su meteo, traffico, ecc.; tuttavia, spesso questo messaggio, presentato immediatamente prima del rilascio del consenso, non specifica che quei dati verranno venduti ad aziende terze.

Le eventuali problematiche per gli utenti, allora, sarebbero legate all’ideazione, da parte di alcune app, di politiche di privacy poco chiare, incomplete o addirittura ingannevoli, con la conseguente condivisione di dati, senza che ci sia un effettivo consenso. Come concluso dall’indagine sopracitata, poche sono state le applicazioni, tra quelle analizzate, che hanno informato chiaramente gli utenti, durante il processo di richiesta di consenso, sull’uso dei loro dati a fini pubblicitari o di previsione di trend di consumo.

L’industria della location-based advertising è in netta espansione, ma probabilmente i messaggi di richiesta di consenso all’interno delle app e le politiche di privacy, in generale, andrebbero resi più chiari, in modo da assicurarsi che gli utenti sappiano realmente a cosa stanno prestando il consenso.

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