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Assenteismo in Europa: in Italia il tasso più basso nelle aziende private

Assenteismo in Europa: in Italia il tasso più basso

In Italia è stato registrato il tasso d'assenteismo più basso d'Europa. Cosa possono fare le imprese per ridurlo ulteriormente?

Contrariamente a quello che i più comuni stereotipi suggerirebbero, l’Italia attualmente presenta il tasso di assenteismo più contenuto rispetto al resto d’Europa, almeno nelle aziende private. È questo uno dei dati più interessanti emersi dall’ottava edizione del Barometro sull’Assenteismo, il Coinvolgimento e la Motivazione dei dipendenti a livello europeo, condotta da Ayming, gruppo internazionale di Business Performance Consulting.

Che cosa si intende per assenteismo?

Se tutti conoscono il significato della parola assenteismo, non è altrettanto scontato riuscire a confrontare i dati rilevati nei diversi paesi coinvolti dallo studio (Italia, Spagna, Portogallo Francia, Benelux, Regno Unito, Germania), principalmente poiché non vi è omogeneità nella significato che i manager attribuiscono al termine.

Per misurare il tasso di assenteismo – inteso come stile di comportamento delle persone che si assentano dal luogo di lavoro in maniera sistematica – non esiste infatti uno strumento univoco: ogni azienda può utilizzare parametri diversi e dedicargli un’attenzione differente. In Italia, per esempio, è oggetto di misurazione per il 74% delle aziende, mentre in Portogallo e in Francia si raggiungono rispettivamente l’82 e l’84%. Inoltre, le modalità con cui ogni azienda si approccia al fenomeno sono fortemente influenzate dal bagaglio culturale del paese in cui si trovano, che inevitabilmente interferisce sulla scelta delle azioni ascrivibili o meno all’assenteismo.

In Italia, quasi tutte le aziende intervistate concordano nell’equiparare le assenze per malattia, per incidenti sul lavoro/infortunio e per congedo maternità/paternità alle assenze ingiustificate. Un dato che riflette il pensiero secondo cui l’assenza del lavoratore è percepita sempre in maniera negativa, indipendentemente dalla motivazione. Questa tendenza induce i collaboratori ad essere sempre presenti sul lavoro – talvolta senza risultare effettivamente produttivi – per non rischiare di essere additati come “fannulloni” oppure a rimandare la possibilità di diventare genitori per non farne un ostacolo alla propria carriera. Si tratta del cosiddetto “presentismo“, fortemente radicato nella cultura del lavoro italiana tanto da manifestarsi come un comportamento automatico e spesso inconsapevole.

È invece opportuno distinguere l’assenteismo fisiologico”, sul quale i responsabili delle risorse umane non possono intervenire ma possono cercare di gestire nella maniera più idonea, dall’assenteismo patologico”, causato da problemi connessi al contesto lavorativo.

I numeri della ricerca: la sorpresa italiana

L’assenteismo ha un forte peso della vita di un’impresa, non solo perché è sintomo di un relazione disfunzionale fra azienda e risorse umane, ma anche per l’impatto rilevante che ha dal punto di vista economico. Secondo Ayming, l’1% del tasso di assenteismo dà origine ad un costo variabile che va dallo 0,3% al 1,87% del totale della retribuzione dei collaboratori, per questo tale fenomeno deve essere analizzato e corretto, ove possibile.

La ricerca, indirizzata a circa 500 direttori HR (di cui 118 italiani) facenti parte di aziende private nei settori di edilizia, commercio, industria, sanità e servizi, e a un totale di 3.009 dipendenti (di cui 500 in Italia), ha previsto la somministrazione di un questionario via email. Fra i numeri più sorprendenti emerge il tasso di assenteismo italiano, che risulta essere più basso rilevato in Europa, nonostante l’ampia accezione del termine: solo il 5,49% contro il 6% della Spagna, il 6,21% del Portogallo e il 7% della Francia.

La percentuale varia sensibilmente in base alle dimensioni dell’impresa: dall’1,28% delle piccole organizzazioni, dove l’assenza di un lavoratore interferisce maggiormente sui processi di lavoro, all’8,01% nelle organizzazioni di grandi dimensioni, dove i collaboratori si sentono di solito meno indispensabili e responsabili dei risultati aziendali.

Non è il solo dato positivo ad interessare l’Italia: il 56% degli HR ritiene che la percentuale di assenteisti nel 2015 sia risultata stabile rispetto all’anno precedente, mentre il 28% ritiene che sia diminuita e solo il 17% registra una crescita. Dati in contrasto con gli altri paesi analizzati, fra cui per esempio la Francia dove il 49% degli intervistati ha dichiarato un aumento del tasso di assenteismo nell’ultimo anno.

Importante anche il dato secondo cui le azioni avviate in Italia per ridurre l’assenteismo hanno fra gli obiettivi anche l’aumento della motivazione e il miglioramento della qualità della vita professionale dei collaboratori.

Cause e soluzioni per contrastare l’assenteismo

Fra le principali cause che spingono gli italiani ad assentarsi dal lavoro c’è lo stato di salute personale o dei familiari (45% delle assenze totali). A seguire vi sono le motivazioni legate alla qualità della vita all’interno del contesto organizzativo, che rappresentano anche il 55% delle cause di assenza dei dipendenti a livello europeo. È stato dimostrato che stimolare senso di collaborazione, fiducia nei confronti del management e riconoscimento delle persone a tutti i livelli aziendali consente non solo di migliorare l’ambiente di lavoro e le performance, ma anche di ridurre il tasso di assenteismo non fisiologico. A tal proposito Yannick Jarlaud, Direttore dello studio all’interno della Business Line HR performance del gruppo Ayming, ha dichiarato: «Il “triangolo” lavoro/riconoscimento/relazioni umane dovrebbe essere alla base delle policy delle aziende a livello Europeo. Siamo infatti convinti che il successo economico delle imprese sia guidato dal capitale umano. Integrando queste tematiche all’interno delle policy aziendali, è possibile migliorare le proprie performance e la propria crescita». 

Affinché i programmi contro l’assenteismo possano avere effettivamente successo, gli HR devono concentrarsi in particolare su tre aree di miglioramento: pari opportunità a tutti i livelli, sviluppo professionale e riconoscimento dei risultati raggiunti dai collaboratori. I lavoratori intervistati in Italia hanno, infatti, indicato fra i tre motivi principali che generano in loro soddisfazione e interesse per la propria azienda, il contenuto del proprio lavoro (84%), il riconoscimento da parte dell’azienda (82%), le relazioni umane instaurate sul posto di lavoro (80%). Queste motivazioni, condivise a livello europeo, rappresentano quindi il punto chiave da cui le aziende e i responsabili delle risorse umane possono partire per lavorare alla costruzione di una cultura organizzativa basata sull’ascolto e sul coinvolgimento delle persone, assicurando maggiore soddisfazione ed efficienza negli investimenti organizzativi.

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