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L'attenzione dei brand alla disabilità: dalla pubblicità inclusiva alla creazione di prodotti accessibili

Disabilità: cosa fanno i brand per l'inclusione

I brand sono sempre più attenti al tema della disabilità. Ecco il loro contributo all'inclusione, dagli spot alla corporate culture.

«Se il business contribuisce all’esclusione, allora anche la società sentirà di poter escludere»ha spiegato Caroline Casey, attivista irlandese che, ipovedente dall’età di 28 anni, ha iniziato a promuovere i diritti e l’inclusione delle persone con disabilità. Questi individui, come ha fatto notare l’attivista in un’intervista ai nostri microfoni, «ancora non hanno avuto la possibilità di dimostrare il proprio valore. I livelli di esclusione e emarginazione sono gli stessi di 20 anni fa». Dei segnali positivi però ci sono e le iniziative delle aziende cominciano a essere sempre più frequenti: si va dalle campagne volte a sottolineare l’importanza dell’inclusione alle azioni che puntano a integrare nel business persone con diversi tipi di disabilità.

Disabilità nelle campagne pubblicitarie e iniziative di sensibilizzazione dei brand

La prima problematica del mondo pubblicitario, relativa all’inclusione delle persone disabili (con deficit sia fisici che intellettivi), riguarda la loro partecipazione (ancora poco rappresentativa) all’interno degli spot. Fortunatamente diverse multinazionali iniziano a muovere i primi passi verso il cambiamento in tal senso.

Fonte: Zara

A maggio 2019 l’azienda di abbigliamento Zara ha deciso di scegliere Patrick, un bambino con trisomia 21, come modello per una campagna mondiale. Il primo modello baby con sindrome di down di Zara è il figlio della chef spagnola Samantha Vallejo Nágera; il bambino ha posato insieme a suo fratello di otto anni per il servizio fotografico composto da sedici immagini che vogliono anche essere un simbolo di apertura e di cambiamento.

Anche l’azienda di abbigliamento River Island aveva in passato lanciato una campagna i cui protagonisti erano diversi bambini, alcuni dei quali portatori di handicap. Lo scopo principale era stato celebrare la diversità: «le etichette sono fatte per i vestiti, non per i bambini».

I grandi problemi spesso sono legati al vedere la “normalitànella disabilità, ma anche al comunicare la differenza (qualunque sia) e la quotidianità delle persone che vivono con diversi tipi di handicap, come deficit uditivi o motori. Lo scopo della campagna “Look on the side light of disability” del brand Maltesers allora ha puntato proprio a superare tali problematiche. Sono stati rappresentati, infatti, vari scenari di conversazione tra amici i cui protagonisti sono soggetti con diversi tipi di disabilità, che raccontano degli incidenti collegati al proprio handicap, in maniera leggera, ironica e divertente.

La scelta di inserire persone con disabilità all’interno degli spot e delle campagne non può essere l’unico passo da fare in ottica di inclusione. In Italia, per esempio, è stato lanciato a novembre 2018 da Assocarni il primo spot pensato per essere fruibile da tutti: creato da Rai Pubblicità, la pubblicità in questione presenta dei sottotitoli, Lingua Italiana dei Segni e contributi audio.

Creazione di prodotti e servizi inclusivi

Tuttavia, bisognerebbe andare oltre le campagne di sensibilizzazione e l’inclusione di persone disabili nel mondo pubblicitario: finché le aziende non assumeranno un ruolo davvero proattivo in questo campo il cambiamento continuerà a essere limitato e non verranno effettivamente soddisfatti i bisogni di queste persone.

Fonte: Tommy Hilfiger

È possibile farlo, per esempio, attraverso la creazione di prodotti o versioni di prodotti adatti alle esigenze specifiche delle persone con disabilità. Si pensi a titolo esemplificativo all’industria dell’abbigliamento: alcuni individui con particolari handicap (mancanza di uno degli arti superiori o inferiori) hanno sicuramente difficoltà nel vestirsi da soli, infilare dei pantaloni, abbottonare un giubbino, ecc. Così l’azienda Tommy Hilfiger ha creato la linea Tommy Adaptive che prevede dell’abbigliamento creato per rispondere ai bisogni dei consumatori con diversi tipi di disabilità.

Anche l’azienda di abbigliamento Asos ha creato una tuta impermeabile adatta a persone che devono spostarsi sulla sedia a rotelle.

Fonte: Asos

Il mondo del fashion, però, non è l’unico ad aver deciso di collaborare in questo senso: Airbnb, per esempio, ha aggiunto nel 2018 nuovi filtri sulla piattaforma per facilitare la ricerca dell’alloggio perfetto alle persone con disabilità. Se inizialmente, infatti, era presente soltanto l’opzione di ricerca di stanze o appartamenti con “accessibilità per sedie a rotelle”, sono stati introdotti di recente ventuno nuovi filtri che consentono di trovare delle case adatte a tutte le esigenze: dal letto ad altezza accessibile alla doccia con sedia, tra le varie opzioni.

Starbucks invece ha creato un negozio pensato per i clienti sordi: Signing Store di Starbucks è il nome del locale aperto a Washington, che, oltre all’allestimento e al merchandising a tema, consente ai clienti di ordinare i prodotti nella Lingua dei Segni Americana (ASL).

Disabilità e inclusione in azienda a partire dalla corporate culture

A maggio 2019 il gruppo Virgin Media e l’organizzazione inglese per la disabilità Scope hanno deciso di incoraggiare le aziende del Regno Unito a prendere un importante impegno, ovvero quello di affrontare in maniera attiva il problema della difficoltà della collocazione nel mondo del lavoro delle persone disabili. Con la campagna #WorkWithMe il brand e l’organizzazione vogliono incentivare piccole e grandi aziende a cambiare le proprie pratiche aziendali nell’ottica dell’inclusione dei lavoratori disabili, aiutandoli ad acquisire competenze e a ottenere un lavoro.

Microsoft è un esempio di best practice per quanto riguarda l’assunzione e la formazione di persone disabili. Tra i programmi di “Inclusive Hiring” Microsoft offre l’opportunità alle persone con diversi tipi di disabilità di far parte dell’azienda e di dare il proprio contributo, fornendo anche tutto il supporto in vista della crescita professionale di questi dipendenti.

Come ha spiegato Caroline Casey nell’intervista ai nostri microfoni, «non si tratta di voler includere le persone disabili solo per “beneficenza”, si tratta di una grande opportunità di business. Quando le persone vengono valorizzate come clienti, fornitori, detentori di talenti o membri di una comunità allora non ti senti più escluso». È per questo che la presa di posizione in questo senso da parte delle aziende risulta fondamentale per poter avviare un reale cambiamento sociale che consenta di migliorare la qualità di vita delle persone con disabilità, promuovendo l’uguaglianza di opportunità per tutti.

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