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Bambini sempre più connessi? Come proteggerli dal cyberbullismo

Bambini sempre più connessi? Come proteggerli dal cyberbullismo

I bambini passano oltre un’ora al giorno sullo smartphone, così rischiano di essere vittime di cyberbullismo. I rimedi delle piattaforme.

C’è chi ha fatto notare, non senza preoccupazioni, come il rapporto dei più piccoli con la tecnologia e gli ambienti digitali stia assumendo, sempre più, caratteri di dipendenza. A dargli ragione? Sembrano arrivare alcuni dati sulla quantità di tempo trascorso dagli under 15 sugli smartphone. Trentaquattro ore al mese, cioè più di un’ora al giorno, a cui andrebbero aggiunti i minuti trascorsi davanti ad altri schermi (televisivi, di PC e tablet, etc.): sarebbe questo il tempo che i bambini al di sotto dei 15 anni passano utilizzando le loro app preferite sui dispositivi mobile.

I dati sono di Locategy, un’applicazione pensata per i genitori affinché possano controllare in remoto le attività online dei propri figli e sembrano fornire insight importanti anche sui ‘gusti’ dei più piccoli. Non solo, infatti, nella top 5 delle app più utilizzate dai bambini ci sono servizi amati anche dai grandi come WhatsApp, YouTube, Facebook, Instagram e la versione mobile di Chrome: i più piccoli sembrerebbero stare online soprattutto per rimare connessi con amici e coetanei. A tal proposito l’app in assoluto più utilizzata dagli under 15 risulta essere WhatsApp, sui cui passerebbero circa 15 ore al mese e accederebbero almeno 23 volte al giorno. L’app più ‘sticky’, quella che tiene incollati i bambini per più tempo è, invece, YouTube, con sessioni medie di 7 minuti, seguita da Facebook con una permanenza media di 2,7 minuti.

Perché aumenta il rischio cyberbullismo?

Di fronte a uno scenario simile, le preoccupazioni dei genitori, dipendenza a parte, sembrano avere a che fare con la possibilità che bambini ‘iperconnessi’ siano anche bambini esposti a contenuti non adatti alla loro età o ai comportamenti a volte sopra le righe tipici degli ambienti social. Il pericolo del  cyberbullismo è tra quelli considerati maggiormente concreti e reali. La cronaca, del resto, non manca di casi in cui i minori sono oggetto di offese, discriminazioni o vere e proprie ‘sevizie’ digitali, qualche volta con conseguenze significative sulla loro vita quotidiana. Dove non arrivano gli strumenti legali messi a disposizione dalle istituzioni (in Italia c’è una legge sul cyberbullismo di recente approvazione che ha causato, però, non poche polemiche, ndr), così, sono le stesse piattaforme digitali a doversi impegnare per rendere più sicuri e accoglienti gli ambienti digitali.

L’hub di Facebook contro il bullismo 2.0

Facebook lo ha fatto, per esempio, sviluppando una piattaforma di prevenzione contro il cyberbullismo. Pensata in collaborazione con lo Yale Center for Emotional Intelligence, si tratta di uno strumento a misura di bambini, genitori e insegnanti che si trovano a fronteggiare casi di bullismo digitale o altri comportamenti scorretti sui social. Per ognuno di loro c’è una semplice guida su cosa fare, passo dopo passo, nel caso in cui si sia vittima di bullismo 2.0 o lo siano i propri amici, i propri figli o i propri alunni, ma anche nel caso in cui si sia testimoni, o addirittura responsabili, di un atto di cyberbullismo. Il Bullying Prevention Hub di Facebook prova, però, a fare chiarezza – e lo fa con video, risorse scaricabili e interattive adatte ai più piccoli – anche sugli strumenti di base con cui, sul social, si può facilmente difendere la propria privacy ed evitare di essere vittima di comportamenti indesiderati e offensivi. Nonostante siano nativi digitali, infatti, i più piccoli non sembrano saper fare un uso consapevole dei numerosi tool che hanno a disposizione. I cinque consigli di Facebook (validi però tanto per i piccoli quanto per i grandi) per sentirsi al sicuro quando si sta sul social, allora?

  1. Assicurarsi che il proprio account sia protetto, impostando password sicure, facendo logout ogni volta che si accede da dispositivi che non sono i propri, etc.
  2. Segnalare i contenuti offensivi o che si ritiene non dovrebbero stare su Facebook (perché incitano alla violenza, costituiscono spam, etc.). Per farlo? Basta accedere al menù a tendina dalla freccetta accanto a ogni post e selezionare la voce “segnala post”.
  3. Impostare adeguatamente la privacy. C’è una sezione specifica tra le impostazioni generali dell’account che permette di scegliere chi può trovarci su Facebook, chi può contattarci per messaggio, etc. Per ogni singolo post, poi, si possono impostare parametri di privacy diversi: lo si può rendere pubblico o accessibile solo agli amici, si possono scegliere liste o singoli contatti a cui non mostrare il contenuto, etc.
  4. Usare i controlli per i tag e i post in bacheca. È un modo per avere controllo anche sulle attività degli altri utenti che ci coinvolgono direttamente. Sempre dalle impostazioni generali, così, si può scegliere di impedire agli altri di postare sulla propria bacheca e si può impostare un meccanismo di revisione dei tag nelle foto o nei post di terzi.
  5. Usare gli strumenti di controllo. Sapevate, per esempio, che si può fare in modo che Facebook vi invii una mail quando viene fatto un accesso da un dispositivo diverso dal solito? Ed è solo uno dei tool messi a disposizione dalla piattaforma.

I rimedi di Twitter contro cyberbullismo e hate speech

Anche Twitter, nel frattempo, sembra essere corso ai ripari contro comportamenti discriminanti e offensivi. Più di una volta, del resto, la piattaforma dei cinguettii è stata sipario di discussioni cariche di odio e dai toni accesi (che, in qualche caso, hanno visto coinvolti addirittura personaggi pubblici). Per farlo? Ha scelto di permettere di ‘silenziare hashtag , topic di discussione, singole parole, emoji che non si desidera seguire, come già avviene da qualche tempo con gli utenti. Si tratta, però, del primo passo contro cyberbullismo e hate speech . Dalla piattaforma di Dorsey promettono, infatti, misure più stringenti, un modo più efficace per segnalare i post considerati offensivi e personale appositamente formato per prevenire e affrontare i casi di discriminazione virtuale. A frenare Twitter&co? Sembra essere il precario equilibrio tra la necessità di rendere i social più ‘sani’ e ‘vivibili’ per tutti e quella di garantire a tutti libertà d’espressione.

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