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Brand e salute mentale: il lavoro delle aziende per combattere i pregiudizi

Brand e salute mentale: il lavoro delle aziende per combattere i pregiudizi

Il rapporto tra brand e salute mentale non sempre è coltivato dalle aziende nel modo giusto. A che punto è la lotta contro i pregiudizi?

Quando Madalyn Parker ha inviato una mail ai colleghi di lavoro, dicendo che si sarebbe assentata due giorni per focalizzarsi sulla propria salute mentale, non stava inviando una ordinaria email di servizio: quel messaggio rappresentava una presa di posizione contro il pregiudizio ancora associato a questo argomento. La web developer, comunque, ha ricevuto una risposta molto positiva dal CEO dell’azienda in cui lavorava. Quando si parla di brand e salute mentale, però, non sempre le organizzazioni affrontano il tema nel modo migliore e reagiscono positivamente.

Ben Congleton, CEO di Olark Live Chat, azienda in cui lavorava Madalyn, ha ringraziato la dipendente per aver ricordato a tutti l’importanza di prendersi cura della propria salute mentale, aggiungendo che dovrebbe trattarsi di una pratica standard all’interno di qualsiasi impresa. Il caso di Madalyn Parker è diventato virale in rete, proprio perché rappresenta un singolare esempio di lotta contro il tabù che ancora esiste. Tuttavia, la realtà in ambito aziendale è spesso ben diversa.

Qual è la posizione dei brand nei confronti delle malattie mentali all’interno dell’azienda e come si impegnano le organizzazioni a lottare contro i pregiudizi a esse associato?

LA SALUTE MENTALE NON È ANCORA UNA PRIORITÀ PER LE AZIENDE

Il numero di persone senza terapia per problemi associati a malattie mentali è allarmante, soprattutto perché il pregiudizio a esse collegato rappresenta ancora un grande ostacolo per la ricerca di aiuto, come sottolinea uno studio pubblicato sulla rivista Pshycological Medicine.

Per quanto riguarda l’Italia, in base ai dati Istat di luglio 2018, il disturbo più diffuso è la depressione e si stima che solo nel corso del 2015 oltre 2,8 milioni di persone ne abbiano sofferto. Sono inoltre preoccupanti i dati provenienti dal Regno Unito, rivelati in una ricerca condotta dall’azienda di assicurazioni di salute BHSF per comprendere in che modo questi problemi vengono affrontati nel contesto lavorativo. Il 42% dei dipendenti intervistati ha chiesto dei giorni di malattia, inserendo come motivazione una malattia fisica, quando in realtà il problema era un disturbo mentale come stress (nel 21% dei casi), ansia (18%) e depressione (20%). Perché nascondere la vera motivazione? Perché esiste ancora uno stigma secondo il 27% degli intervistati. In linea con questi dati, il 92% delle persone affette da problemi di salute mentale crede che ammetterlo potrebbe compromettere la propria carriera professionale e, purtroppo, come emerge dal report di Deloitte sulla salute mentale, il 56% degli individui ammette che non assumerebbe un dipendente con precedenti problemi di depressione, anche se questo fosse il candidato più adatto al ruolo in questione. Inoltre, il 72% dei posti di lavoro non ha delle politiche che riguardano la salute mentale dei dipendenti, cioè delle misure volte a prevenire le malattie mentali e a promuovere il benessere dei dipendenti. Le misure messe in atto dalle aziende sono più reattive che preventive, cosa che dimostra che questo problema non è ancora tra le priorità aziendali.

PROMUOVERE LA SALUTE MENTALE DEI DIPENDENTI: RESPONSABILITÀ E VANTAGGI PER LE AZIENDE

Le persone trascorrono gran parte del proprio tempo a lavoro, cosa che tende a incidere sul loro benessere. Non a caso, lo stress da lavoro colpisce 6 milioni di italiani, vale a dire 1 lavoratore su 5. Per questo motivo le aziende hanno il dovere di fornire condizioni lavorative atte a garantire il benessere (e dunque anche una buona salute mentale) dei propri dipendenti. Problemi come lo stress o la depressione, tra l’altro, avrebbero un impatto molto negativo sulla produttività lavorativa, come testimoniato da alcuni dati.

Fonte: Health and Safety Executive

Secondo Health and Safety Executive, sito del governo britannico, tra il 2016 e il 2017 si sono persi 12,5 milioni di giorni lavorativi a causa di stress, depressione e ansia collegati al lavoro.

L’impegno delle aziende per questa problematica deve essere alla base della corporate culture che deve, dunque, focalizzarsi di più sul benessere dei dipendenti, facendo diventare la salute mentale una priorità. Questo significa che le politiche messe in atto dall’azienda devono essere proattive e di prevenzione. In quest’ottica, il primo passo è certamente rompere il tabù, come ha affermato Geoff McDonald, ex vicepresidente di HR presso Unilever e attualmente membro di “Minds at Work“, un movimento volto ad aiutare le aziende ad affrontare lo stigma relativo alla salute mentale. Come ha dichiarato l’esperto in un’intervista a Marketing Week, bisogna innanzitutto far sì che le persone si sentano a loro agio nel parlare di questo argomento e, quindi, promuovere un dibattito su questo argomento all’interno delle imprese risulta essenziale per aumentarne la consapevolezza e la conoscenza. Inoltre, i dipendenti devono essere “responsabilizzati”, devono sentire di dover prendersi cura della propria salute mentale, anche al fine di aumentare la propria produttività. Non basta, a tale scopo, celebrare semplicemente la giornata dedicata alla salute mentale all’interno dell’azienda: secondo McDonald, infatti, l’impegno dell’azienda deve andare oltre e deve basarsi sul presupposto secondo cui l’instabilità mentale o emotiva del dipendente può incidere sulla performance. L’esperto ha spiegato come implementare delle misure più concrete per motivare lo staff in questo senso: «In quanto manager, potrei dire ai miei dipendenti, per esempio: “ecco alcune cose che dovrai fare per mantenere la tua salute emotiva. E se in un periodo di sei mesi non l’avrai fatto, ti verrò a chiedere qual è il motivo e dovremo parlare seriamente, perché questa mancanza sta avendo un impatto sulla tua energia e sulla tua performance lavorativa».

Oltre a iniziative di questo tipo, si può lavorare su altri aspetti, come lo spazio fisico che deve essere anch’esso promotore di benessere. Inoltre, la flessibilità dell’orario di lavoro e la possibilità di smart working possono essere utili in questo senso, così come la creazione di un ambiente di dialogo e condivisione, in cui situazioni di bullismo sul posto di lavoro vengono limitate ed evitate.

In generale, dunque, è necessario promuovere un contesto lavorativo in cui lo stress, la depressione o gli altri disturbi mentali non siano visti come un segno di debolezza, ma come qualcosa di normale nella vita di un individuo per cui bisogna fare prevenzione e terapia, come per qualsiasi altra malattia fisica.

BRAND E SALUTE MENTALE: LE AZIENDE CHE combattono i pregiudizi

Dietro ai tabù regna l’ignoranza: per questo motivo i brand hanno un ruolo cruciale nella promozione della conoscenza delle malattie e dei disturbi mentali. In questo senso la creazioni di campagne o di azioni concrete all’interno della propria azienda, specialmente in grandi multinazionali, può avere un grande impatto e raggiungere un elevato numero di persone.

il caso Unilever

Non si può parlare di brand e salute mentale senza menzionare il caso di Unilever che fa emergere alcune best practice.

L’azienda ha vinto il riconoscimento “Bupa Wellbeing Award 2015” per il programma di promozione della salute mentale “Time to change”, volto a eliminare la discriminazione nei confronti dei problemi riguardo alla salute mentale e ad aumentare la consapevolezza sul tema. Unilever, dopo averlo implementato, ha invitato altre aziende ad adottare questo notevole piano di azione che propone diverse iniziative volte a eliminare lo stigma, tra cui:

  • partecipazione a campagne di awarenss e supporto a iniziative come Mental HealthAwareness Week e World mental Health Day;
  • programmi di formazione per dipendenti e manager sul tema;
  • strumenti individuali e collettivi per promuovere una buona salute mentale grazie a tecniche come mindfulness, programmi di assistenza svolti da professionisti e rivolti ai dipendenti e workshop. Stando a quanto si legge sul sito dell’azienda, 826 aziende avrebbero già accettato questo piano.

Questo programma è stato accettato anche da brand più noti di Unilever, come si evince dalla campagna Dove’s Real Beauty volta a sfidare quelli che sono gli stereotipi di bellezza di solito presentati nelle pubblicità e che contribuiscono a creare degli standard di bellezza, appunto, poco realistici, che incidono in maniera negativa sull’autostima di uomini e donne, portando spesso a disturbi come depressione e bulimia.

L’importanza di parlarne: Marks and Spencer

In diverse città del Regno Unito, il brand Marks & Spencer ha aperto una serie di bar per dare alla persone uno spazio tranquillo in cui condividere apertamente le proprie esperienze riguardo a problemi di salute mentale, ricordando che è assolutamente normale non stare bene. I “Frazzled Cafe” sono stati aperti in undici punti vendita diversi. L’iniziativa ha avuto una risonanza ancora maggiore grazie alla collaborazione di Ruby Wax, autrice di un best-seller sulle malattie mentali.

Terapia alla portata di tutti: Lloyds Baking Group e Everton Footbal Club

A gennaio 2017, Lloyds Baking Group ha stipulato una partnership di due anni con Mental Health UK per raccogliere 2 milioni di sterline tra il 2017 e 2018 per la creazione di un servizio di supporto a persone con disturbi mentali con difficoltà economiche. Oltre all’aiuto economico, il gruppo promuove iniziative di awareness e sul sito aziendale è possibile trovare consigli per la propria salute e il proprio benessere.

Esistono, poi, diverse iniziative promosse dai club di calcio. Un esempio è l’impegno sociale dell’Everton Footbal Club che ha ideato una campagna, lanciata ad agosto 2018, per la costruzione di un centro per la salute mentale. L’obiettivo è quello di dare supporto alle persone con malattie mentali e il progetto conta sulla collaborazione di Chasing the Stigma, associazione che si occupa di aumentare la consapevolezza circa queste problematiche.

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