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Brand recognition: tre soluzioni per migliorarla anche nelle piccole aziende

Brand recognition: tre soluzioni per migliorarla anche nelle piccole aziende

Rendere riconoscibile marchio e prodotti è un cruccio per ogni azienda. Tre soluzioni per migliorare la brand recognition.

Non c’è centesimo, in qualsiasi campagna di marketing o di comunicazione, che non abbia come obiettivo finale quello di creare o migliorare la brand recognition. In qualsiasi settore, infatti, oggi si affollano voci e protagonisti che si contendono la stessa fetta d’attenzione e in continua lotta per emergere dalla “massa”. Per qualsiasi brand è essenziale, perciò, essere il primo a cui un certo target specifico pensa quando sta valutando di fare compere nel settore in questione e, ancor meglio, quando si trova agli step finali del processo decisionale che lo porteranno direttamente a concludere l’acquisto.

Come fare in modo che questo accada? Quali strategie di brand recognition risultano migliori, più efficaci, meno costose? Non esistono risposte precise a queste domande e molto varia a seconda del settore in cui si opera. Ci sono almeno tre leve su cui, però, si può agire per rendere riconoscibile il proprio brand e fare in modo che ciò si rifletta in risultati concreti e misurabili.

Se l’identità visiva è alla base della riconoscibilità del brand

Non c’è modo per aumentare la brand recognition più classico che puntare su un’identità visiva chiara, forte, unica. Tutto inizia dal naming : buona parte del valore del proprio brand, della facilità con cui si imprime nella memoria dei consumatori diventando “ marchio di fabbrica” parte proprio da lì. La scelta del nome aziendale – esattamente come quella del nome dei singoli prodotti – non può che essere, quindi, un momento delicato, altamente strategico, con le sue regole da seguire. Una volta scelto il nome aziendale, il mantra potrebbe sembrare essere “piazzarlo” ovunque: è normale pensare, infatti, in questo senso che una maggiore esposizione corrisponda a maggiore riconoscibilità e, quindi, più facile memorizzazione del brand. In certi casi e per certi versi è in effetti così. Non sempre, però, il fattore quantitativo è l’unico o il principale da tenere in considerazione: dal lettering alla scelta del font, passando per la posizione del nome aziendale nel packaging per esempio o nel materiale pubblicitario, diversi sono i fattori che contribuiscono a rendere più facilmente riconoscibili un brand e i suoi prodotti rispetto agli altri e, nella maggior parte dei casi, c’è una componente percettiva – e, in quanto tale, personale – che non può essere trascurata.

Quando c’è in gioco l’identità visiva, comunque, non si può dimenticare neanche l’importanza del colore: c’è un filone di ricerche che ha provato a studiare proprio l’uso dei colori nel marketing e come questi influiscano sulla percezione di un brand e della sua offerta di prodotti o servizi, se non addirittura sulla probabilità con cui clienti o potenziali tali lo scelgano. Chi, del resto, non ricorda Tiffany per il tradizionale azzurro dei suoi astucci o non associa il rosso ai prodotti del brand Ferrari – tanto che in entrambi i casi proprio questi colori hanno preso a essere considerati al pari di asset aziendali strategici? Esempi come questi sembrerebbero applicabili solo ai “grandi”, eppure la maggior parte di questi accorgimenti è scalabile e assolutamente affrontabile anche dalle realtà più piccole – che siano esse aziende di piccole dimensioni o persino singoli professionisti alla ricerca di un quid che li distingua – anche e soprattutto perché l’investimento che richiedono è più alto in termini strategici che non economici: ci vogliono più tempo e più risorse intellettive, cioè, a scegliere quella che sarà la propria identità visiva che non a realizzarla, soprattutto se si può contare su risorse interne o esterne con skill adeguate (di grafica, ecc.).

Una volta trovata la propria “firma” visiva comunque, come la si può utilizzare in ottica di brand recognition? Fermo restando che elementi come il logo o i colori aziendali contribuiscono di per sé e in maniera “olistica” alla riconoscibilità di un’azienda e dei suoi prodotti, c’è un modo “zero” con cui si possono usare elementi visivi come questi in una strategia di branding e la parola d’ordine è: personalizzazione. Non importa che si tratti di gadget da distribuire ai propri clienti affezionati o ai propri dipendenti o che invece ci si voglia provare in operazioni non convenzionali di ambient marketing o guerrilla marketing: che il proprio logo sia presente, ben visibile e in grado di attirare l’attenzione non può che fare bene al brand. Oggi però ci sono servizi come Onlineprinters, facili da utilizzare, veloci, accessibili a tutti, che permettono di personalizzare e “brandizzare” qualsiasi tipo di oggetto: lo fanno permettendo per esempio la stampa, anche in basse tirature, di adesivi ed etichette di qualsiasi tipo, in diversi materiali e di diverse dimensioni, ideali da attaccare sui propri gadget, da utilizzare per la propria campagna a stampa o da distribuire ai propri clienti che, utilizzandoli, vogliano farsi “ambasciatori” del brand e dei suoi prodotti. Guai a pensare, insomma, che la brand recognition sia costosa e appannaggio solo delle realtà più grandi e con più budget .

Raccontare una storia aziendale: uno step fondamentale per la brand recognition

La “riconoscibilità” di un marchio, di un prodotto comunque deriva in parte anche dalla storia che, nel tempo, è riuscito a raccontare di se stesso. Poco importa, in questo senso, che lo abbia fatto attraverso i suoi stessi prodotti e la capacità che hanno di incarnare – già nella scelta di design, forme, materiale, naming, per esempio – i valori aziendali o che abbia sfruttato, invece, apposite tecniche di storytelling aziendale. Soprattutto i brand del luxury hanno ormai da tempo capito, in questo senso, quanto raccontare una storia aziendale sia importante per conquistarsi un (buon) posto nella memoria dei clienti e non solo: il trench di Burberry o la it bag di Hermès non sono diventate icone solo in virtù della loro qualità o del loro valore estetico, ma se risultano ormai inconfondibili per un pubblico anche più vasto del solo target dei due brand è proprio perché si rivelano tasselli immancabili nel racconto dell’azienda.

Le caratteristiche che rendono “d’appeal” lo storytelling aziendale sono comunque facili da immaginare: human interest e carico emotivo, prima di tutto. A ogni azienda spetta invece il compito di trovare il media mix che sia in grado di raccontarla al meglio. Non sempre, in questo senso, serve “presenzialismo”, ossia l’obiettivo non può essere stare su tutti i canali disponibili, mentre premia invece individuare quelli che risultano più efficaci e performanti in riferimento al proprio target specifico: dal blog aziendale ai media earned, ogni canale potrebbe essere quello giusto, esattamente come una strategia efficace potrebbe essere tanto quella basata sul buzz spontaneo e eterodiretto, quanto quella basata su investimenti ad hoc.

Crea valore per i tuoi clienti, se vuoi che si ricordino di te

Creare valore per il proprio target, infine. Non ci si riesce solo offrendo un prodotto che sia unico nel suo genere, con una unique selling proposition chiara e che nulla abbia a che vedere con quelli di altri competitor . Può essere utile pensare a servizi aggiuntivi come un ottimo (social) customer care o puntare invece sulla possibilità di educare, intrattenere, creare un’esperienza che coinvolga in maniera attiva il consumatore. L’idea di base è, in altre parole, far crescere il valore percepito del prodotto o servizio, in modo che questo ecceda la stessa disponibilità a pagare del cliente o che si trasformi in un buon ricordo di marca . Un brand che esiste nella memoria delle persone del resto, è facile capire, è un brand che ha vinto la battaglia della brand recognition.

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