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Brand e strategie di content marketing: come sfruttarle al meglio

Brand e strategie di content marketing: come sfruttarle al meglio

Il content marketing è essenziale per i brand. Quali sono rischi e opportunità? Ne abbiamo parlato con Cristiano Carriero e Giuliana Laurita.

Lo si è detto più volte: gli strumenti digitali offrono possibilità inedite di disintermediazione. Per aziende e soggetti business ciò significa, soprattutto, riuscire a farsi produttori di contenuti di prima mano”, destinati ai clienti, che offrano loro un valore aggiunto o, a un livello zero, riescano a catturarne l’attenzione.

Una strategia di content marketing , così, è oggi essenziale per qualsiasi brand voglia comunicare efficacemente se stesso, attraverso tutti i canali disponibili. Ci sono, però, step da seguire ed errori da non fare, ma soprattutto principi di base, “filosofici” prima ancora che operativi, da cui partire.

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Cristiano Carriero, autore di “Content Marketing. Promuovere, sedurre e vendere con i contenuti” (Hoepli, 2016) .

«Per una strategia di content marketing serve partire da quelli che sono i valori che brand vuole comunicare – spiega, infatti, in un’intervista ai nostri microfoni Cristiano Carriero, autore di “Content Marketing. Promuovere, sedurre e vendere con i contenuti” (Hoepli, 2016) – altrimenti si stanno solo pubblicizzando i prodotti, cosa che non è banale ma che non rientra in una vera e propria strategia di content marketing. Quindi bisogna pensare alle proposte: perché decidiamo di promuovere sul mercato un prodotto attraverso i contenuti? E che tipo di contenuti? In altre parole: perché ci affidiamo a un contenuto testuale, oppure un contenuto audiovisivo?»

Individuare le risorse strategiche…

Lo step successivo – come spiega l’esperto – è individuare le risorse strategiche per il proprio content marketing. Le opzioni sono due: ci si può affidare a risorse interne, ma a patto che siano «formate, competenti, abili a creare i contenuti, senza perderci molto tempo e diventando per questo inefficienti» – prosegue – oppure si può optare per risorse esterne, facendo attenzione però che siano coerenti per capacità, competenze, esperienze con il proprio obiettivi. «In caso contrario un brand di scarpe da calcio potrebbe ritrovarsi, per esempio, a fare affidamento su blogger, bravissimi sì, ma che non hanno mai parlato o scritto di sport», sottolinea Carriero.

…e i media più adatti, Ovvero l’omnicanalità

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Giuliana Laurita, autrice di “Strategia digitale. Comunicare in modo efficace su Internet e i social media” (Hoepli, 2016).

Una volta fatto questo bisogna scegliere su che tipo di media puntare, che siano social, blog o canali più “tradizionali”. L’approccio più comune, e anche quello più desiderabile, è oggi un approccio multichannel. Naturalmente, infatti, «siamo abituati ancora a ragionare per canali – ha sottolineato in un’intervista ai nostri microfoni Giuliana Laurita, autrice di “Strategia digitale. Comunicare in modo efficace su Internet e i social media” (Hoepli, 2016) – così accade, per esempio, che all’interno di un’agenzia c’è chi si occupa dei canali tradizionali, chi di quelli digitali e tutti ragionano come se fossero staccati tra di loro, come se una persona venisse veramente a contatto con un prodotto o un’azienda o soltanto attraverso la televisione o soltanto attraverso il punto vendita o, ancora, soltanto su Internet. E, invece, non è così: le occasioni d’incontro tra la persona e i brand oggi sono tantissime, ci sono tantissimi touch point. Se si accetta questa trasversalità e si comincia a ragionare in termini non più di canali diversi, ma di omnicanalità, l’immagine di brand diventa molto più trasparente e molto più vicina a quello che abbiamo intenzione di comunicare, in considerazione anche del fatto che le persone comunque interpretano sempre i brand dal loro punto di vista».

Ci sono dei rischi nell’aprirsi all’omnicanalità?

Il rischio maggiore potrebbe essere che gli utenti parlino male del brand. È, però, un rischio che c’è comunque, dal momento che le persone parlano comunque del brand, anche se il brand non è “presente”. “Esserci”, in questo senso, vuol dire riuscire a intercettare tutte quelle situazioni che potenzialmente possono generare una crisi e, quindi, prevenirla o gestirla nel modo migliore.

Catturare attenzione e generare valore

Essere presenti su tutti i canali, insomma, aiuta i brand in una “missione impossibile”, considerato l’overload informativo di cui il consumatore digitale è vittima. I social e gli altri ambienti digitali, in altre parole, sono affollati di messaggi e tutti i brand si contendono la (scarsa) attenzione degli utenti, possibilmente di quelli che potrebbero rientrare nel proprio target ideale. Per riuscire a farlo? L’unica soluzione è «cercare di essere rilevanti, di trasmettere contenuti di valore e che abbiano un valore per le persone, anche in senso molto pratico. Poniamo il caso di un operatore di e-mail marketing che distribuisca contenuti informativi che raccontano come fare e-mail marketing: raggiunge due obiettivi, in primis si fa ascoltare ottenendo attenzione e, non meno importante, accredita il suo contenuto come un contenuto che viene incontro alle esigenze del mercato»ci spiega Giuliana Laurita.

Far parlare di sé

Far parlare di sé sembra, insomma, croce e delizia di qualsiasi brand si affidi oggi a una strategia di content marketing, tanto che si tratti di un modo per «massimizzare l’awareness, nel caso di un brand famoso che punti a far conoscere se stesso» – aggiunge ancora Cristiano Carriero – tanto che si tratti, invece, di aziende che operano nell’ambito della piccola e media imprenditoria per cui la sfida «e l’esigenza è in primis far conoscere la propria proposta di prodotti», continua.

Quali sono, allora, i tre consigli da esperto per chi pensa a una strategia di content marketing?

Innanzitutto, capire quali skill hanno le proprie risorse umane e, se non ne hanno di adeguate, cominciare a fare recruiting. Ci sono oggi, infatti, tantissime nuove figure professionali molto ricercate dal mercato e, di contro, anche ragazzi molto competenti che, però, paradossalmente non trovano lavoro. Il passo successivo è identificare i valori chiave del brand, valori su cui costruire l’intera strategia: penso a un brand come Redbull che si “identifica” con la vitalità, il rischio, lo sport estremo e costruisce su questi tre valori tutta la sua strategia. E, infine, coinvolgere tutte le funzioni aziendali: solo in questo modo si riesce ad avere accesso a tutte le informazioni che, in caso contrario, rischierebbero di restare in sospeso o, peggio, omesse.

 Questioni di advertising

Una parentesi a parte merita, poi, la questione advertising. Quando si pensa a una strategia di content marketing, infatti, non si possono non considerare le evidenze che dimostrano quanto gli utenti odino la pubblicità, se questa si mischia con i contenuti. Secondo alcuni studi, infatti, almeno l’83% di essi è contrario alla pubblicità invasiva, il 77% preferisce, invece, installare un filtro di blocco assoluto e il 63% riterrebbe l’ad blocking come uno di quei fattori che migliorano la web experience. Il rimedio? «È contestualizzare la pubblicità – spiega ancora ai nostri microfoni Cristiano Carriero – magari sfruttando il native advertising. Basta fare come già fanno alcune riviste online italiane che propongono un articolo di calcio, su Cristiano Ronaldo per esempio, e alla fine presentano le scarpe indossate dal calciatore. Il contenuto, però, è pur sempre una storia e di certo funziona meglio di un semplice banner: se il contenuto è valido, infatti, l’utente non ha problema neanche a vedere un contenuto pubblicitario di Redbull su un sito che parla di tuffi. Senza contare che, se non contestualizzato, il brand rischia di essere associato a valori che non c’entrano niente con i propri. La cosa peggiore che può capitare, facendo affidamento su tool automatici e logiche contestuali, così è di trovare su un sito la notizia di un disastro aereo anche se si tratta di una compagnia aerea, per esempio. Per questo non bisognerebbe mai dimenticarsi di “contestualizzare” anche manualmente».

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