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Branded content

Definizione di Branded content

branded content Branded content sono definiti tutti quei contenuti, di natura anche molto diversa, pensati appositamente per veicolare messaggi, valori e issue aziendali, la cui realizzazione fa capo al brand ed è integrata tra le strategie di marketing e comunicazione.

Branded content: cosa sono e a che servono

Davanti a un mercato pubblicitario in profonda trasformazione, la maggior parte dei brand ha ormai compreso l’importanza di una strategia di contenuti su misura, innovativi, personalizzati, di qualità, home made (o per lo meno percepiti come tali: perché la propria campagna di contenuti risulti efficace infatti non di rado è necessario, si vedrà, esternalizzare ad agenzie o content creator professionisti la realizzazione degli stessi, ndr). I branded content hanno in questo senso «forti potenzialità e rispondono alla crescente domanda di engagement e storytelling da parte dei brand», ha spiegato in un’intervista ai nostri microfoni Emanuela Cavazzini, partner founder & MD executive producer di Brand Cross. Tradotto? Significa che si possono sfruttare i contenuti di brand «per aumentare l’awareness e costruire o consolidare i valori connessi alla marca, ma anche per investire in un modo diverso dalla pubblicità tradizionale con l’obiettivo di entrare in contatto con clienti reali o potenziali, offrendo loro occasioni di intrattenimento che li gratifichino». Non a caso branded content è sempre più sinonimo oggi di branded entertainment e sempre meno sinonimo invece di semplice content marketing. 

Contenuti di brand, content marketing, product placement, brand entertainment: che differenze?

Gli addetti ai lavori si sono chiesti spesso, proprio a proposito, se ci siano tra branded content e content marketing differenze e, eventualmente, in cosa consistano. Una prima ipotesi sembra riguardare l’orizzonte temporale: un’azienda o qualsiasi altro soggetto business fa content marketing in maniera continuativa e con un riferimento che è quello del medio-lungo periodo; i contenuti di brand sono meno legati invece al fattore tempo e possono essere prodotti sporadicamente, senza cadenza regolare o come unicum all’interno di una specifica campagna o iniziativa di brand. A guardare bene, però, sembrerebbero diversi soprattutto gli obiettivi. Il content marketing, infatti, resta pur sempre marketing, deve puntare cioè a generare ritorni concreti e per farlo non può mettere in secondo piano la marca e i suoi prodotti o servizi. Una strategia di contenuti branded, invece, mira più ad aumentare o migliorare la brand awareness , a diffondere la brand image , a curare la relazione con i clienti di lungo termine o, perché no, ad associare l’azienda a una particolare causa sociale, ambientale, politica secondo i crismi del brand activism . I branded content insomma, più di qualsiasi altro contenuto aziendale, devono riuscire a creare valore. Non molto tempo fa Forbes e IPG Lab nel fornire alcuni dati sui branded content evidenziavano infatti come a contenuti di questo tipo venisse attribuito dagli utenti uno scopo educativo, oltre a quello squisitamente commerciale, più di quanto avvenisse con la tradizionale display adv per esempio: se nel secondo caso solo il 4% del campione era convinto che la pubblicità potesse insegnare qualcosa, per i branded content la percentuale cresceva fino ad arrivare ad almeno il 22%.

branded content scopo

La maggior parte dei consumatori considera i branded content meno legati all’obiettivo di vendere e più legati a uno scopo educativo. Fonte: Forbes, IPG lab

Ancora a proposito di cosa non è brandend content, va fatto almeno accenno alla differenza con il product placement . I contenuti di brand possono anche avere inseriti al loro interno, infatti, i prodotti del catalogo aziendale o possono menzionare i servizi offerti dal brand, ma lo fanno sempre in maniera incidentale: per usare un riferimento ben sedimentato nella cultura televisiva italiana, struttura, trame e sviluppo di un contenuto di brand non sono un semplice pretesto per il codino di un Carosello in cui compaiano prodotti e servizi che si intendono vendere.

Cosa distingue, infine, un contenuto branded occasionale da una vera e propria strategia di brandtertainment? Una formula naturalmente non esiste, ma il fattore tempo e la ricorsività tornano ad avere importanza: «quando un prodotto riesce a sostanziare, rappresentare e narrativizzare ogni strumento di comunicazione aziendale, trasferendo messaggi coerenti e integrati con la brand strategy, e al contempo viene inserito in un processo che va oltre la singola campagna, si può parlare di una vera e propria strategia di branded entertainment», hanno specificato infatti da Brand Cross.

Branded content: esempi e tipologie

Come già si accennava, comunque, tante sono le forme che si possono dare a un branded content. Tanto più che, se si volesse ricostruire una sorta di storia dei contenuti di brand, non sarebbe azzardato considerare le prime soap opera destinate al pubblico latino-americano e realizzate su impulso di aziende di prodotti per l’igiene personale, come la P&G, o la tradizionale guida Michelin, dedicata a ristoranti e strutture ricettive, come precursori dei più moderni contenuti aziendali. Oggi per brand come Red Bull branded content e content marketing rappresentano una via privilegiata per raggiungere il proprio target di riferimento (nel caso di specie quello di giovani adulti appassionati di sport anche estremi, ndr) con un palinsesto verticale, personalizzato, quasi sartoriale, di contenuti d’intrattenimento: non stupisce così che i format adottati spazino dalle classiche trasmissioni televisive alla carta stampata di una sorta di house organ, ma senza disdegnare gli eventi, i live show, le gare sportive. Anche un documentario presentato ai più importanti festival del cinema può nascere come branded content: è quello che è successo con “Gay Chorus Deep South”, premiato al Tribeca Film Festival e prodotto da Airbnb per raccontare la tournée di uno dei primi cori interamente e dichiaratamente gay d’America e sottolineare allo stesso tempo il proprio supporto alla community LGTBQ+ globale.

Tra gli altri esempi di branded content anche le serie o le web serie aziendali, i branded podcast , i blog guest post, i video virali destinati ai social e ancora le branded gif o il cosiddetto giornalismo aziendale.

Senza contare che in materia di trend per il branded content Instagram, soprattutto per quanto riguarda la IGTV, e TikTok rappresentano una sfida interessante per aziende e content creator per confrontarsi con un pubblico di consumatori giovanissimi e sperimentare linguaggi nuovi.

Contenuti di brand: che errori evitare

L’unica regola d’oro per creare branded content coinvolgenti secondo Alastair Herbert, founder di Linguabrand, sarebbe del resto proprio fare attenzione a che il linguaggio scelto «non risulti di difficile comprensione per il pubblico» e non rischi di comunicare un senso di gravezza e responsabilità indesiderato, come ha sottolineato durante una nostra intervista a Certamente 2018.

Aziende e soggetti business che intendono raccontare se stessi attraverso contenuti di brand dovrebbero tenere conto anche che, mai come oggi, «le persone si accorgono del falso e, per questo, bisogna saper essere pertinenti, originali, rilevanti e cioè offrire al pubblico di riferimento qualcosa di nuovo»: di questo si è detto convinto durante un’intervista ai nostri microfoni in occasione di Cibiamoci 2018 Francesco Mattucci, fotografo e instagrammer. Anche il contesto in cui sono collocati i branded content conta: Forbes e IPG Lab, nello studio già citato, sottolineano per esempio che, affinché risultino più efficaci, a livello di memorabilità almeno, i contenuti di brand dovrebbero essere adattati e fruiti su schermo più grande, come quello desktop.

Quanto sono efficaci i contenuti di brand? Alcuni studi

Se ben fatti e pensati strategicamente i contenuti branded potrebbero risultare più efficaci di altre forme di adv: superano infatti «il tradizionale modello di spot e break pubblicitario», ha spiegato Roberto Bosatra, partner founder e CEO executive producer di Brand Cross, e ciò contribuisce a far sì che siano percepiti dall’utente come meno invasivi, meno fastidiosi, meno interruttivi.

Alcuni studi di settore confermano efficacia e vantaggi dei branded content. Uno dei primi, realizzati a inizio decennio dalla Branded Content Marketing Association, sottolineava già lo scetticismo crescente degli utenti verso le forme tradizionali di adv (Marken G.A. “Andy”, Branded Entertainment, Public Relations Quarterly, 2006): il 95% dei siti web che raccoglievano contenuti branded aveva più successo di quanto ne avessero siti che si affidavano, invece, ancora ai tradizionali modelli pubblicitari come quello della display advertising e, soprattutto, in più di un caso su quattro aumentava l’intenzione d’acquisto dei visitatori. Più di recente sono stati fatti studi su target di pubblico diversi per scoprire per esempio che gli utenti più giovani, Millennial o appartenenti alla cosiddetta Gen Z, sono quelli che apprezzano di più i branded content, forse per una maggiore familiarità con formati narrativi brevi e seriali. Ancora Forbes e IPG Lab evidenziano come i contenuti branded siano in media due volte più efficaci nel garantire sia un ricordo spontaneo, sia un ricordo indotto del brand.

branded content efficacia nel ricordo del brand

I branded content sono due volte più efficaci della display advertising nel generare un ricordo del brand. Fonte: Forbes, IPG Lab

Per quanto riguarda la user experience su siti che ospitano guest post, ci sono dati come quelli del 2017 Branded Content Benchmarks Report che sottolineano come anche il tempo medio di lettura attiva e la percentuale di scrolling aumentino per i contenuti branded fino a raggiungere nel primo caso la media di 73 secondi e nel secondo caso il 74% e lo stesso succede al tasso di conversione.

infografica 2017 Branded Content Benchmarks Report

C’è chi ha provato a calcolare addirittura l’impatto neurologico dei contenuti di brand, utilizzando strumenti come l’ eye tracking e l’elettroencefalografia per misurare l’attività cerebrale durante la fruizione di contenuti aziendali (nel caso specifico video branded firmati Toyota). Tra i risultati principali? Non solo un engagement dell’utente che era quasi istantaneo (avveniva entro i 15 secondi) e un livello di attenzione che appariva moltiplicato soprattutto quando si faceva riferimento a issue con un portato personale o etico (come la possibilità di risparmiare carburante facendo bene al pianeta, per esempio). A livello neurologico, insomma, i branded content sarebbero in tutto e per tutto paragonabili negli effetti e nei risultati a grandi show televisivi come “This Is Us” e a campagne adv milionarie come quelle di Apple.

Come usare il neuromarketing per creare branded content coinvolgenti: un case study | Andy Myers
Come usare il neuromarketing per creare branded content coinvolgenti: un case study | Andy Myers

Perché i branded content sono adatti a tutte le aziende e QUALI professionisti richiedono

Scalabilità e accessibilità sono ulteriori vantaggi dei branded content e tra le ragioni per cui questi non risultano a uso e consumo esclusivo di grandi marchi ma sono uno strumento fruibile anche da piccole e medie imprese. C’è una statistica dell’Osservatorio per il Branded Entertainment, infatti, secondo cui il valore medio di progetti come questi si aggirerebbe intorno ai 158mila euro, cifra che li rende di fatto uno strumento di comunicazione accessibile anche ai business più piccoli e a un bacino ampio di aziende che vi possono ricorrere ogni qualvolta l’obiettivo sia acquisire nuovi clienti, promuovere atti di acquisto di natura diversa e così via, spesso con costi decisamente più contenuti rispetto a quelli dei più tradizionali spot televisivi per esempio.

Certo, per fare branded content marketing ed entertainment – e, soprattutto, per farlo bene – può rendersi necessario avvalersi di diverse expertise e rivolgersi a professionisti, anche esterni all’azienda, in grado di creare, produrre e distribuire al meglio i contenuti di brand. La content distribution, anche nel caso dei contenuti aziendali, soprattutto quando interessa mezzi diversi come TV, web, teatro, cinema, piattaforme social, ciascuno con le sue grammatiche e le sue formule specifiche, non può essere improvvisata ma ha bisogno di una filiera lunga di professionisti e tecnici specializzati nelle diverse aree, se possibile coordinati da figure come quella del branded content manager. Più il livello di engagement del pubblico è alto, più la condivisione partecipativa e la viralizzazione mediante i canali degli utenti stessi è favorita e più occasioni di visibilità si generano, garantendo ritorni sull’investimento per tutti gli attori della filiera e, ovviamente, non da ultimo, sul brand. I contenuti di brand insomma contano e, sì, fanno guadagnare.

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