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Brexit: quanto ha inciso Internet sul voto?

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Il ruolo di Internet nella vittoria del fronte Brexit è stato determinante. Ci troviamo nella "Disinformation Age".

Il 23 giugno 2016 ha segnato la clamorosa, quanto inaspettata, vittoria del “Leave” e del fronte Brexit dall’Unione Europea. Dopo aver assistito a numerose analisi del voto nei principali media e talk show del paese, riguardanti la profonda disparità di voto dal punto di vista soprattutto generazionale, è da considerare anche quella che è stata la reale incidenza di Internet sul voto.

Brexit

I trend relativi alle ricerche effettuate dagli utenti sulla Brexit resi noti da Google.

La diffusione da parte di Google dei trend relativi alle ricerche nelle ore successive l’uscita dei dati definitivi sulla Brexit, in particolare sulle questioni fondamentali riguardanti le implicazioni del voto, ha destato non poco scalpore. Verso le 01:00 dell’ora della costa orientale, circa otto ore dopo la chiusura delle urne, Google ha riferito che le ricerche per “cosa succede se lasciamo l’UE?” sono risultate più che triplicate.

Ma cosa è accaduto? Partendo dal presupposto che questi trend sono generici e non specifici, ciò che ha caratterizzato le settimane precedenti al voto è una campagna aspramente divisa, segnata da toni forti da parte del fronte Leave circa i timori alquanto estremizzati sul tema immigrazione e sulla crescente preoccupazione per l’economia europea, ma anche per la preservazione della tradizione inglese, senza in realtà precise indicazioni sulle alternative in caso di uscita dall’Europa.

In questo contesto il ruolo di internet è stato determinante. Se nelle precedenti elezioni il ruolo del web in favore di schieramenti e movimenti di chiara natura antisistema è stato parziale, nelle decisioni di Brexit l’incidenza della rete è stata rilevante. Se in teoria far parte dell’era dell’informazione dovrebbe consentire ad un cittadino di avere maggior accesso alle informazioni sui candidati e sulle singoli questioni, quello a cui stiamo assistendo è l’aumento della “Disinformation Age”. Che cosa è risultato virale questa volta, più e più volte, è appunto la cattiva informazione esposta ai sostenitori del fronte Leave da appassionati online che hanno espresso la preoccupante tendenza degli elettori a non riuscire più a distinguere tra ciò che è vero e ciò non lo è, cosa che sta influenzando senza ombra di dubbio le nostre democrazie.

Come sottolineato da Michael Lynch, Professore di Filosofia presso l’Università del Connecticut, l’accesso a quasi tutte le informazioni del mondo, a portata di mano attraverso i motori di ricerca, e la fin troppa facilità da parte di tutti di influenzare e di aizzare gli animi attraverso i social network come Facebook ci stanno portando a credere che tutto ciò che noi pensiamo vero lo sia anche nella realtà, pur senza prove e reali riscontri. Un maggiore ricorso a Wikipedia e Google per sostenere ogni dubbio e perplessità, quindi, non rende necessariamente la conoscenza “più democratica”.

Si pensi alla campagna che sta vedendo Donald Trump in forte ascesa nelle elezioni americane: la capacità del candidato di sostenere tutto e il contrario di tutto, fondando la sua strategia su tematiche fonte di grande dibattito negli USA, quali la libertà d’uso e di circolazione di armi, l’utilizzo della tortura, la lotta ai vaccini e all’omosessualità, e su argomenti capaci di parlare alla “pancia” degli elettori senza alcun costo per la sua credibilità, riflette un malessere epistemologico in cui la nostra cultura sembra irrimediabilmente disintermediata. Appunto, sembra.

I media digitali, con i loro innumerevoli difetti, possono essere parte della risposta a questa crescente ambiguità. La disinformazione che è sfociata nel Leave della Gran Bretagna o nel voto di protesta verso Trump deve portare a conoscenza che la trasparenza e la verità possono essere riconosciute e la disinformazione non solo minaccia la comprensione del funzionamento del nostro mondo, ma ci rende vulnerabili alla paura, alle incomprensioni e ai dubbi: tutte cose che portano alla distruzione e possono guidare le persone a commettere terribili atrocità contro gli altri (si pensi all’omicidio di Jo Cox, ndr). Il modo migliore per disarmare gli agenti di disinformazione è quello di rendere conoscibili loro metodi, predicando una cultura dell’accortezza e della prudenza riguardo l’affidabilità dei contenuti online.

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