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Brexit tra scenari attuali e conseguenze future: un bilancio

Brexit tra scenari attuali e conseguenze future: un bilancio

A più di un anno dal referendum, la situazione Brexit non è ancora del tutto definita e tanti sono gli interrogativi.

Trascorsi ormai oltre dodici mesi da quando la parola ‘Brexit‘ è entrata nel linguaggio comune, tra conseguenze sociologiche dell’uscita dall’UE e problemi sociali, chi con maggior approfondimento e chi con più superficialità si è approcciato a questo nuovo concetto, a questa nuova piega del contesto economico-politico europeo in seguito alla decisione presa dalla Gran Bretagna in seguito al referendum dello scorso 24 giugno 2016.

La successione al timone di Theresa May ai danni del dimissionario David Cameron, dopo i risultati del referendum, ha portato ad un cambio di rotta rispetto al precedente Premier e, di conseguenza, la Brexit ed il processo che porta al taglio definitivo del cordone ombelicale con l’Europa sono diventati la centralità dei suoi piani politici.

Brexit: quali le premesse del referendum del giugno 2016?

Il pensiero romantico dell’imperialismo britannico e la grande fiducia riposta nei propri mezzi hanno portato probabilmente gli elettori ad immaginare un futuro in cui la Gran Bretagna potesse essere al centro del mondo, non dovendo più subire le decisioni e i diktat dell’Unione Europea. Storicamente i britannici hanno sempre avuto un rapporto freddo con le politiche europeiste: l’idea di essere assoggettati ad un pensiero comune – o, meglio, a paletti economico-finanziari da rispettare – non è mai stata particolarmente apprezzata. Un riferimento importante all’euroscetticismo passato è rappresentato dalla ‘Iron LadyMargaret Thatcher che ha sempre visto l’Europa come un peso nei confronti della completa libertà della Gran Bretagna. Il referendum consultivo indetto a furor di popolo da Cameron ha portato a quello che, alla vigilia, sembrava il più estremo dei risultati possibili. Con la sua successiva uscita di scena e l’elezione di Theresa May (decisamente euroscettica) è iniziato un braccio di ferro con Bruxelles per le trattative di uscita.

IL PENSIERO NOSTALGICO VERSO L’IMPERIALISMO BRITANNICO

È opportuno, però, fare un passo indietro. Le premesse, che hanno poi portato alla Brexit, si fondavano sulla volontà di non dipendere più da nessuno, di avere nelle proprie mani la possibilità di governare il Paese secondo le proprie logiche, di aumentare il proprio potere sovrano, di rivivere i fasti dell’imperialismo riletti sotto una luce moderna, di non versare più milioni e milioni di sterline in quanto membro dell’Unione Europea. Cosa però è effettivamente successo dopo questo passo? I mercati hanno iniziato una fase discendente, la valuta della Sterlina ha subito un brusco calo rispetto ai valori registrati prima del voto di giugno 2016, perdendo circa il 15% sulla valuta del Dollaro americano ed il 10% sull’Euro. Per prendere credibilità la May ha indetto elezioni anticipate, con il chiaro intento di voler cavalcare l’onda del post referendum e presentarsi con un governo con una maggioranza più forte che le permettesse di avere più stabilità nei trattati. Questa mossa, però, si è rivelata un grande crac: i conservatori hanno raggiunto la maggioranza solo con il sostegno degli unionisti nordirlandesi, con un chiaro prospetto futuro: accordi e tendenze molto più morbide nell’attuazione della Brexit, come ben evidenzia Il Sole 24 Ore nell’edizione del 10 giugno 2017. Tutto ciò ha alimentato il clima di indecisione intorno ai trattati iniziati con l’UE. Sicuramente Theresa May ha perso un po’ di credibilità e non è detto che possa partecipare all’inizio dei trattati e portarli a termine di persona. Da Bruxelles, quindi, intendono comprendere come questi verranno portati avanti, poiché in seguito ai contatti avuti nel periodo che ha preceduto le elezioni il piglio della Premier si è notevolmente ridimensionato: le vecchie mire di una chiusura brusca con l’Europa si scontrano con il mantenimento del fragile equilibrio con il pensiero degli alleati nordirlandesi.

LA “DEMENTIA TAX”: L’INIZIO DELL’INVERSIONE DI ROTTA

Perno dell’inizio della caduta politica dei conservatori è stata la “Dementia tax” introdotta nel programma di governo con cui il partito Tory si è presentato alle elezioni e in cui una voce importante era destinata alla risistemazione finanziaria delle spese sanitarie generate da malattie croniche, a partire dall’Alzheimer, come sottolinea ancora Il Sole 24 Ore. A detta del sondaggista Peter Kellner «dalla presentazione del programma Tory, il partito ha invertito la corsa, perdendo immediatamente il 3%». Dal picco dei 25 punti di vantaggio sul partito labourista, il gap è sceso fino ad arrivare al testa a testa nelle elezioni anticipate. Andando ad analizzare i dati delle votazioni, occhieggia certamente la forte affluenza giovanile (72% degli under 25) – con un trend invertito rispetto alle elezioni 2015 (43%) – quasi interamente a favore del leader Jeremy Corbyn. Il programma decisamente di sinistra radicale dei Labour si è rilevato vincente, permettendogli una rimonta che alla vigilia sembrava molto difficile ed aiutata certamente della perdita di sicurezza mostrata dalla Premier in seguito alla gestione pubblica proprio della Dementia Tax. L’opinione pubblica ha iniziato a vedere Theresa May non più come una «donna con le p***e» – come ha ammesso ella stessa – ma come una «Lady di latta», come ha dichiarato Timothy Garton, in forte opposizione con la Iron Lady Margaret Thatcher.

SOROS: “I BRITANNICI CI RIPENSERANNO”

Ad alimentare il clima di incertezza, poi, le dichiarazioni del magnate e finanziere ungaro-americano Gerge Soros, come si legge nell’edizione del 3 luglio 2017 del Corriere della Sera: «il tenore dei britannici è riuscito a mantenersi costante solo con un maggiore indebitamento delle famiglie. Questo è stato possibile con l’aumento dei consumi che ha stimolato l’economia britannica ma la verità è alle porte: la crescita dei salari non è riuscita a tenere il passo dell’inflazione ed i redditi, pertanto, sono iniziati a diminuire». L’imprenditore, infatti, è convinto che sia solo una questione di tempo: «presto le famiglie si accorgeranno che il loro tenore di vita si sta abbassando e si vedranno costrette a rivedere le proprie abitudini di spesa». La sensazione, infatti, è che la situazione peggiorerà con gli aumenti dei tassi di interesse da parte della Banca d’Inghilterra che renderà ancora più difficile saldare i debiti contratti in questa fase.

STARTUP ED ECONOMIA INTERNAZIONALE

Londra, però, indipendentemente dalla situazione di incertezza politico-economica, sembra non aver perso il suo fascino internazionale. La sua posizione strategica ed il suo passato rappresentano più di un punto a favore degli imprenditori di ogni parte del mondo. Qualcosa, però, sembra stia cambiando e a dirlo sono i dati: secondo le stime di Kpmg, il primo trimestre 2017 si è chiuso con circa 800 milioni di sterline destinate a imprese attive in Inghilterra, anche se il totale degli accordi è calato del 10% (196) nello stesso periodo. Per Andrea Rinaldo, CEO di Xmetrics, startup di matrice italiana fondata a Londra, «i numeri suonano come campanello d’allarme anche e soprattutto se vengono analizzati nel dettaglio, i volumi degli scambi restano grandi nonostante il calo del deal e con la tendenza a finanziare le startup mature a discapito delle nuove nascenti, in controtendenza con il recentissimo passato».

Altro dato che fa comprendere l’imponenza del mercato britannico è l’ ecommerce che fa registrare numeri importanti: il 14.50% degli acquisti viene, infatti, effettuato via web. Nello scenario europeo, però, è Berlino che sembra volersi ritagliare un ruolo sempre più importante in questo scetticismo firmato Brexit. Con una crescita continua e costante in lettura demografica ed economica, la capitale tedesca si presenta ai mercati come un sicuro salvagente, ma la metropoli inglese non perde il proprio appeal, mantenendo, forse a fatica, lo sharme economico che aveva fino a poco fa. La Germania, però, sembra sia pronta e matura per approfittare della situazione.

LE CONSEGUENZE E GLI SCENARI FUTURI

La voglia di libertà della Gran Bretagna, in termini pratici, le farebbe risparmiare i miliardi di sterline che ogni anni versa all’UE, ma la domanda sorge spontanea: “Questo matrimonio s’ha da fare“? Lo scenario è impietoso: la caduta della valuta, i rapporti internazionali che vanno sempre più a logorarsi, gli stessi rapporti all’interno del partito Tory con la May che non sembra più intoccabile. Inoltre, il clima di incertezza nel settore economico di certo non gioverà alle aziende estere attive sul territorio: Londra potrebbe essere la più colpita da questa fuga, indipendentemente dalla borsa che potrebbe, in ogni caso, avere una vita parallela rispetto a quella propria delle aziende.

A favore di questa uscita ci sono gli accordi sulla pesca, in realtà gli unici che si sono registrati in seguito al referendum, che prevedono il controllo delle proprie coste con un aumento della distanza concessa alle navi europee.

Un anno, dunque, di turbolenze dei mercati, un anno di fluttuazioni pericolose della sterlina, un anno di analisi di economisti sulle possibili pieghe che avrebbe potuto prendere la Brexit: tutte cose che forse si sarebbero potute evitare, puntando sull’idea di forza dell’Europa, di un ridimensionamento delle idee romantiche di un passato glorioso e segnando un crocevia per tutti i paesi che, presi da idee economiche nazionaliste, possano prendere la stessa decisione del popolo britannico.

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