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Bufale in medicina: come evitarle e cosa dicono di quanto teniamo alla salute

bufale in medicina

Le bufale in medicina sono un rischio concreto per la salute del paziente e per la corretta informazione sul tema salute. Un approfondimento

L’88% degli italiani, percentuale che sale al 93.3% tra le donne, si rivolge ai motori di ricerca quando si tratta di cercare informazioni sulla propria salute. A dirlo è uno studio realizzato da ‘Ibsa Foundation for Scientific Research’ e il dato, fin qua, è in accordo con altre indagini che sottolineano come le ricerche su Google rivelano tabù e paure degli utenti e, più in generale, gli argomenti di cui non amano parlare dal vivo. Secondo lo stesso studio, però, almeno il 44% degli utenti non vedrebbe alcun pericolo in un simile comportamento, nonostante li esponga a informazioni non attendibili e notizie non verificate. La fiducia riposta nella Rete, insomma, rischia di alimentare un circolo vizioso di bufale in medicina e, più in generale, fake news di argomento scientifico difficili da smentire e che, se credute vere, possono creare allarmismo, quando non avere effetti concreti sulla salute dell’utente.

Uno dei risultati più interessanti dello studio di ‘Ibsa’, infatti, è quello secondo cui il 44% si affiderebbe quasi sempre ai primi risultati di ricerca, se non al primo in assoluto. Se si considera che – secondo quanto scrive The Indipendent in un articolo dal titoloHow Dangerous Fake Health News Conquered Facebook” – dei primi cinque risultati anglofoni con parola chiave ‘HPV’ (l’acronimo del papilloma virus, ndr), tre sono stati considerati falsi da siti che si occupano di fact-checking – e se si considera anche che questi risultati sono visualizzati da centinaia di migliaia di utenti –, è immediatamente comprensibile perché le bufale in medicina si rivelano pericolose, oltre che dannose per l’ecosistema dell’informazione.

Come nascono le bufale in medicina e perché è difficile smentirle?

Un po’ meno immediato è spiegare perché il campo scientifico è tra i più vulnerabili quanto alla diffusione di fake news e, soprattutto, uno dei più difficili in cui fare debunking.

Forse c’entra il tecnicismo della materia o, forse, il desiderio di ammalati e familiari di aggrapparsi a qualsiasi speranza, anche palesemente falsa. «La scienza ricopre un ruolo sempre più importante nella vita quotidiana di tutti gli esseri umani, anche a livello mediatico. Grazie ai suoi progressi, l’aspettativa di vita è aumentata notevolmente negli ultimi decenni e oggi c’è un’attenzione costante – da parte dell’opinione pubblica – verso i risultati della ricerca. È abbastanza fisiologico, così, che al crescere del numero delle discussioni su un certo argomento crescano anche le fake news. Anche la politica e lo sport, del resto, sono affetti da questo fenomeno», ci racconta durante un’intervista ai nostri microfoni Filippo Marano, comunicatore scientifico e social media manager. «Ovviamente il tecnicismo della materia incide molto: fare debunking su una notizia politica o sportiva è potenzialmente più facile che farlo su una scientifica, anche (e purtroppo) a causa della scarsa preparazione della categoria professionale che dovrebbe occuparsi di ciò: i giornalisti. Non sarebbe corretto, infatti, addossare ai singoli cittadini la responsabilità della diffusione delle bufale e il problema principale, a mio parere, è la distorsione da parte dei media di questo tipo di notizie. Per fare un esempio? È assurdo applicare la par condicio su un tema come la teoria dell’evoluzione, invitando a un talk show televisivo sia un ricercatore che un esponente religioso, cosa realmente accaduta» continua.

[Tweet “Non si può addossare ai singoli la responsabilità per la diffusione di #bufale scientifiche.”]

Fake news di argomento scientifico: le diverse tipologie

bufale in medicina clickbait pillola contraccettiva

Nel dicembre 2015 Breitbart, un news network angolofono, pubblicò questo articolo dedicato agli effetti collaterali di metodi contraccettivi come la pillola. Il titolo è un chiaro esempio di clickbait, mentre i contenuti – e sopratutto i dati citati – sono metafora perfetta delle bufale in medicina.

Così come a livello generico esistono diverse tipologie di fake news, anche le bufale in medicina e nella comunicazione scientifica possono essere di diverso tipo. Ci sono le bufale vere e proprie, create ad arte dagli ormai tanti siti che hanno trovato nelle pseudonotizie il loro business principale. E ci sono, invece, le vere ricerche commissionate dalle aziende di certi settori di mercato con l’intento specifico di indirizzare le opinioni e gli orientamenti su un prodotto, uno stile di vita o di consumo, ecc. È una pratica antica, tanto che uno dei casi più citati quando si parla di bufale ad argomento salute ha a che vedere con come la colazione è diventata il pasto più importante della giornata per opera dell’industria dolciaria. Oggi ci sono industrie del tabacco che finanziano ricerche sul perché il liquido per sigarette elettroniche farebbe più male della sigaretta tradizionale: da più tempo di quanto si crede, insomma, c’è un’opera di lobbismo e spin doctoring che rende notiziabili anche notizie scientifiche che non lo sono. I risultati sono pezzi come quello pubblicato da un news network anglofono secondo cui  metodi contraccettivi come la pillola renderebbero le donne «non attraenti e pazze»: all’interno dell’articolo sono citati dati, non corretti, sull’accumulo di grasso legato all’assunzione della pillola, ma si tratta in questo caso anche di un ottimo esempio di clickbait  mirato a far lievitare le letture con un titolo volutamente provocatorio. I titoli esca, del resto, sono spesso utilizzati per aumentare l’appeal delle notizie scientifiche, spesso giocando sullo human interest o proponendo rimedi e consigli a prova di ammalato e di famiglie che si aggrappano disperatamente a qualsiasi speranza: prova ne è il gran numero di articoli dedicati all’ultima «innovativa» cura contro il cancro o al «superfood» del momento che aiuta a combattere le malattie degenerative.

Né va dimenticato però che, in qualche caso, le bufale in medicina nascono dall’incontrollata diffusione di ricerche e studi dallo scarso valore scientifico e accademico. Una riflessione andrebbe fatta, in questo senso, sulla natura delle pubblicazioni scientifiche e della stampa tecnica in campo medico. È un settore piuttosto lucrativo, come spiega un interessante approfondimento di ‘Bloomberg’ dal titolo “Medical Journals Have a Fake News Problem”: il gruppo che pubblica Lancet (una delle riviste mediche più accreditate, ndr) ha fatturato, per esempio, oltre due milioni e mezzo di dollari solo nel 2016. Secondo alcune ipotesi, il business model prevedrebbe l’utilizzo di fonti per lo più gratuite come ricerche effettuate da soggetti pubblici o finanziate da aziende e altre realtà lucrative, ricerche che nella maggior parte dei casi vengono riviste secondo un meccanismo di peer review anch’esso gratuito e tipico degli ambienti accademici e poi rivendute alle librerie universitarie, agli abbonati a prezzi anche molto alti.

Tra le diverse tipologie di fake news scientifiche, comunque, c’è anche un ampio filone di bufale complottiste. È un filone che si rinfoltisce ogni anno quando tornano le malattie stagionali o a ogni nuova ondata di una malattia infettiva che si credeva debellata e che ritorna «per colpa degli immigrati»: è questa del resto una delle false credenze più diffuse, almeno in Italia, che rivelano la necessità di una narrativa nuova a tema migranti, per esempio. «Il complottismo fa breccia perché, in una società in cui la storia è sempre più accelerata, ci si sente sempre più vulnerabili, privi di certezze, e quindi si cerca di individuare a tutti i costi l’origine dei fenomeni di portata globale. Diversi psicologi hanno fatto notare che il credere in una teoria del complotto non è il risultato di una risposta mentale a un singolo evento, ma il riflesso di una particolare visione del mondo. È anche vero, però, che le grandi organizzazioni verso cui si punta il dito – la famigerata Big Pharma nel caso della medicina, per esempio – non sempre hanno comportamenti trasparenti, cosa che dà adito a convinzioni simili», ci racconta ancora Filippo Marano.

[Tweet “Il #complottismo fa breccia quando ci si sente vulnerabili, privi di certezze. @filippo_marano”]

Perché, però, una bufala in medicina è pericolosa? E quali sono gli effetti delle fake news in questo campo, sui pazienti certamente ma anche e soprattutto sulla credibilità del sistema informativo?

I pericoli sono sotto gli occhi di tutti: la vicenda del vaccino trivalente ne è un paradigma. Il Governo italiano ha dovuto addirittura emettere una legge sugli obblighi vaccinali per i bambini (Legge 31 luglio 2017, n. 119), perché molti genitori pensano che ci sia un collegamento tra il trivalente MPR – cioè il vaccino contro morbillo, parotite e rosolia – e l’autismo, nonostante sia ormai constatato che si tratta di una bufala montata ad arte. La nota rivista medica ‘Lancet’ ha infatti ritirato lo studio su questo possibile collegamento, pubblicato nel 1998 dal medico Andrew Wakefield: all’epoca, i media britannici propagarono la notizia in maniera esponenziale, con un effetto devastante sulla salute pubblica, ma dopo diverse inchieste si scoprì che Wakefield aveva screditato il vaccino trivalente per trarne profitto e così, nel 2010, venne radiato dall’albo professionale. Gli effetti sui pazienti, comunque, sono assolutamente concreti e tangibili: diverse sono state le morti in Italia nel corso del 2017. Quanto agli effetti sul sistema informativo, la disintermediazione dovuta alle piattaforme web ha, paradossalmente, attutito la crescente sfiducia da parte della popolazione nei confronti di chi fa il comunicatore di mestiere. Tuttavia, il rischio che vedo all’orizzonte è che si faccia sempre più affidamento a “guru” per avere delle risposte su temi che sono e rimangono di pertinenza della comunità scientifica.

Health literacy: l’alfabetizzazione sanitaria che in Italia non c’è

bufale in medicina trump global warming

Il celebre tweet con cui il presidente Trump definì il global warming un’invenzione per frenare la potenze industriale americana.

La rapidità con cui si diffondono le bufale scientifiche, comunque, ben più che di un preciso volere manipolatorio e politico (nonostante il neopresidente degli Stati Uniti abbia in passato definito il global warming come un fatto alternativo creato appositamente per frenare il potere economico americano, ndr), parla soprattutto di una quasi totale «mancanza di cultura scientifica – continua l’esperto –  fra tutti gli stakeholder.  Secondo il 14° Rapporto Censis sulla comunicazione a più della metà degli utenti di Internet è capitato, infatti, di dare credito a notizie false circolate in Rete; la percentuale scende di poco, rimanendo comunque al di sopra della metà, tra le persone più istruite. Non si insegna, e non si impara, adeguatamente il metodo scientifico nelle scuole e nelle Università: è questo il dramma».

Non stupisce, allora, che l’Italia sia al quartultimo posto in Europa quanto ad alfabetizzazione sanitaria. La health literacy è un parametro che sempre più spesso viene utilizzato per valutare l’efficacia del sistema medio-sanitario di un paese e, più in generale, la salute dei suoi cittadini. Si tratta, letteralmente, del «grado in cui gli individui hanno la capacità di ottenere, elaborare e comprendere le informazioni di salute, i servizi e le competenze necessarie per prendere decisioni e compiere azioni informate per la salute» (secondo la definizione di Paasche-Orlow del 2012, ndr). Aumentarla, allora, significa permettere ai propri cittadini di prendere decisioni consapevoli sulla propria salute.

[Tweet “L’Italia è al quartultimo posto in Europa quanto a #healthliteracy, l’alfabetizzazione sanitaria. “]

A questo servono iniziative come quella della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri-Fnomceo che dovrebbe lanciare a breve il portale Dottoremaeveroche, pensato per fornire ai pazienti che hanno l’abitudine di cercare su Internet risposte alle domande sulla propria salute informazioni quanto più corrette, verificate e attendibili possibile e restaurare quel rapporto medicopaziente tipicamente fatto di fiducia. O progetti come quello, ancora, della ‘Ibsa’ che ha stilato un decalogo per l’health literacy con regole che vanno dalla necessità di superare qualsiasi tipo di vergogna che potrebbe impedire di chiedere al proprio medico informazioni essenziali per la propria salute a quella di accertarsi che si sia capito davvero, e bene, prescrizioni e diagnosi ricevute.

Come si smentisce una bufala in medicina e qual è il ruolo del comunicatore scientifico

C’è una parte ben più corposa del decalogo, però, che sembra pensata come una sorta di prontuario contro le bufale in medicina. I consigli vanno dal fare attenzione alle fonti che si consultano al notare le date degli studi che vengono citati e accertarsi che siano aggiornati o che non ne siano disponibili di più recenti, passando per la necessità di considerare che ci sono bias cognitivi, come quello confermativo per esempio, che funzionano da meccanismi selettivi rispetto a ciò che già si conosce o in cui si crede.

[Tweet “#biascognitivi come quello confermativo rendono più facile credere nelle #bufale scientifiche. “]

Ci sono, allora, domande essenziali che ci si dovrebbe porre quando si prova a fare debunking in campo scientifico:

  • L’autore o la pubblicazione in questione citano fonti, ricerche, studi ben accreditati nel campo?
  • L’autore ha competenze specifiche nel settore? Nel caso di notizie di scienza, e non di vere e proprie pubblicazioni scientifiche, è difficile pretendere che siano scritte da personale medico: normalmente sono scritte da giornalisti che però hanno esperienza nel campo o che seguono da tempo la materia per la stessa testata o per testate diverse, in questo caso è essenziale che le fonti citate siano attendibili, verificabili e soprattutto accessibili anche ai non addetti ai lavori.
  • Quanti studi vengono citati all’interno dell’articolo? Generalmente, meno sono e più è probabile si tratti di una bufala o per lo meno di una scoperta mai verificata: come si accennava, infatti, il mondo della ricerca accademica ha una struttura reticolare e vive di continue revisioni reciproche.
  • Il giornalista, o l’autore del pezzo, cita o no la metodologia della ricerca e gli eventuali punti deboli dello studio? Anche questo può essere considerato un chiaro indizio della veridicità e verificabilità della notizia.

Più in generale, fare attenzione ai paratesti e diffidare dei pezzi sensazionalistici  quelli che annunciano una nuova scoperta «eccezionale», per esempio, o una cura «rivoluzionaria» e «definitiva» – può essere un buon modo di tutelarsi contro le bufale in medicina. Certo «sembra assurdo che in questo momento si chieda ai lettori di verificare personalmente le notizie: è un po’ come dover controllare l’origine dei pomodori comprati al mercato per mancanza di fiducia nel contadino che li vende. Purtroppo in molti casi è una necessità. Non sono poche le grandi testate nazionali che pubblicano materiale rivelatosi successivamente falso. È evidente, dunque, come sia difficile avere delle garanzie a priori, ma per fortuna la Rete in questo è di grande aiuto. In ambito scientifico, per esempio, le fonti di lingua inglese sono ancora le più attendibili, ma anche in Italia ci sono eccezioni positive», sottolinea ancora Filippo Marano. «Quello che personalmente faccio ogni volta che leggo qualcosa di sospetto, così, è cercare su siti come National Geographic, Le Scienze, PLOS articoli, interviste, ricerche attinenti a quel tema. Insomma, mi costruisco una sorta di sitografia perenne – modificabile nel tempo – a cui appigliarmi con ragionevole confidenza in mezzo alla tempesta del panorama giornalistico contemporaneo. La prima cosa da fare, soprattutto di fronte a meme che si diffondono online alla velocità della luce, è però sospendere momentaneamente il giudizio: non sempre, tantomeno nella scienza, è utile avere un’opinione personale su tutto» continua.

[Tweet “Non sempre, tantomeno nella #scienza, è utile avere un’opinione personale su tutto. @filippo_marano”]

Che ruolo ha, allora, il comunicatore scientifico?

Innanzitutto sarebbe utile rendersi conto che il comunicatore scientifico non può essere un semplice intermediario tra la fonte e i destinatari dell’informazione, ossia tra il mondo tecnoscientifico e la cosiddetta società civile. Non è un caso che ci siano sempre più medici, ricercatori e scienziati che si fanno carico in prima persona di questo compito. Sia chiaro: non intendo dire che solo i membri della comunità scientifica abbiano diritto a divulgare i risultati del loro lavoro; una delle forme di comunicazione che più apprezzo è, per esempio, il teatro di Marco Paolini, quindi tutt’altro che un addetto ai lavori. Tuttavia dovrebbero essere loro i primi promotori di un movimento democratico che valorizzi la cosiddetta “cittadinanza scientifica”. L’ho già detto, non mi piacciono affatto i “guru” e più che il singolo comunicatore è l’intero sistema che dovrebbe adeguarsi ai tempi: l’organizzazione del nuovo sapere deve andare di pari passo con lo sviluppo di nuovi modelli di rappresentanza, in cui la conoscenza promuova il benessere dell’intera umanità. Le fake news, in questo contesto, sono più una conseguenza che una causa del malessere generale. Può sembrare un’utopia, ma anche l’abolizione della schiavitù o il riconoscimento dei diritti civili lo erano, prima di essere realizzati. E, anche in quei casi, la scienza ha dato un contributo enorme.

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