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La protesta di una modella contro le "camicie di forza" di Gucci: «la salute mentale non è moda»

Le "camicie di forza" di Gucci, presentate dal brand come espressione di anticonformismo, sono state molto criticate, anche in passerella.
«Uniformi, come pure le camicie di forza, sono state incluse nella sfilata di Gucci per rappresentare la versione più estrema delle restrizioni dettate dalla società e da chi la controlla»: così è stata in parte riassunta sull’account Instagram ufficiale la partecipazione della nota casa di moda nell’ultima edizione della Milano Fashion Week. Le camicie di forza di Gucci hanno però ricevuto aspre critiche a causa degli espliciti riferimenti a un tema di particolare importanza, ovvero quello della salute mentale, con i segnali di protesta che sono partiti proprio da una delle modelle che hanno sfilato in passerella.
camicie di forza di Gucci: un grido di libertà o una scelta di cattivo gusto?
Secondo la maison – come spiegato attraverso un post pubblicato su Instagram dall’account ufficiale di Gucci – l’obiettivo era manifestare anticonformismo nei confronti delle restrizioni imposte dalla società. In realtà gli abiti – e in particolare proprio le camicie di forza di Gucci – disegnati dal direttore creativo Alessandro Michele avrebbero dovuto rappresentare il modo in cui attraverso la moda, e nello specifico attraverso abiti come le uniformi, la libertà di espressione di sé e l’individualità vengono in qualche modo soppresse. Sono stati presentati così, in passerella, circa 60 look in bianco e avorio: una manifestazione, dunque, di omologazione e conformità alle regole che cercano di reprimere la diversità degli individui.
Le camicie di forza di Gucci presentate in passerella sono state seguite da ciò che il direttore creativo – come riportato dal New York Times – ha presentato come un «antidoto» o, anche, una risposta a questa repressione, ovvero 89 look della collezione Gucci primavera/estate 2020 che illustrerebbero la moda come un mezzo che consente alle persone di «celebrare se stesse attraverso l’espressione [del sé] e la bellezza», attraverso varie possibilità e diversi design e look.

Uno dei look “camicia di forza” presentati in occasione della Milano Fashion Week 2019. Fonte: Cosmopolitan
Il concetto esplicato dalla “performance” di Gucci avrebbe potuto ricevere maggiore apprezzamento da parte dell’opinione pubblica probabilmente se non avesse ripreso un esempio (e dunque un modello per gli abiti) come quello della camicia di forza. Tale uniforme, infatti, non rimanda semplicemente al tema della salute mentale in sé, ma è divenuta simbolo di «un tempo in cui la medicina era crudele e la malattia mentale non era capita, di un tempo in cui alle persone venivano tolti libertà e diritti, mentre venivano abusate e torturate dalle istituzioni», come ha fatto notare Ayesha Tan-Jones, una delle modelle che ha partecipato alla sfilata in questione.

Collezione primavera/estate Gucci 2020 presentata in occasione della Milano Fashion Week 2019. Fonte: Il Messaggero
La protesta in passerelle e la presa di posizione di Ayesha Tan-Jones
Schierandosi contro la scelta di Gucci, Tan-Jones ha deciso di sollevare le mani in passerella mostrando la scritta «la salute mentale non è moda». Tenendo conto della natura e del concept dello spettacolo, nonché del messaggio che intendeva trasmettere, il direttore creativo di Gucci ha spiegato, come riportato da Cosmopolitan, che Ayesha ha potuto esprimersi liberamente contro i look creati.

Ayesha Tan-Jones durante la sfilata di Gucci in occasione della Milano Fashion Week 2019. Fonte: BBC
Alessandro Michele ha comunque precisato che le camicie di forza di Gucci non verranno messe in vendita poiché in realtà rappresenterebbero, appunto, soltanto un mezzo per comunicare un messaggio specifico all’interno dell’intero spettacolo.
Restano sicuramente molti dubbi sull’eticità di un’azione simile, ovvero della riproposizione in una sfilata di moda dell’immaginario relativo a ospedali psichiatrici e malattia mentale, presentati come una forma di “arte performativa“, come ha sottolineato The Washington Post.
A questo proposito, in un post pubblicato su Instagram, la modella Tan-Jones ha definito la scelta di Gucci «di cattivo gusto», aggiungendo che «mostrare queste malattie come oggetti di scena per vendere abiti nel sistema capitalista di oggi è offensivo per tutte le persone nel mondo afflitte da questi problemi».
Aeysha Tan-Jones e altri modelli, in più, hanno deciso di devolvere il compenso ricevuto per aver partecipato alla sfilata (o almeno parte di esso) a delle organizzazioni non profit a favore della salute mentale, come espressione della disapprovazione del concept creato, supportando così persone affette da malattie di questo tipo.
Anche questa volta, comunque, il tenore della sfilata Gucci era decisamente provocatorio e intendeva senz’altro generare conversazione. La performance, ritenuta da molti offensiva nei confronti delle persone con malattie mentali, ha in ogni caso dato l’opportunità di parlare di questa tematica, contribuendo probabilmente a sensibilizzare ulteriormente l’opinione pubblica su un argomento così delicato e rilevante.
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