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Una collaborazione con un'attivista LGBTQIAP+ sta minando la posizione di Bud Light nel mercato americano?

campagna di bud light con dylan mulvaney
Fonte: Profilo Instagram di Dylan Mulvaney

Ad aprile il brand di birra, tra i più bevuti negli Stati Uniti, aveva collaborato con l'influencer trans Dylan Mulvaney. Ora molti consumatori di destra sembrano starlo boicottando, causando danni alle finanze di Bud Light.

365 Days of Girlhood”, la campagna di Bud Light con Dylan Mulvaney con cui l’azienda ha provato a mostrare vicinanza alla community LGBTQIAP+, si è rivelata un flop sotto molti punti di vista, primo fra tutti quello economico-finanziario.

Che lo abbia fatto a ridosso delle celebrazioni del Pride Month, mentre numerose altre aziende si preparano a omaggiare con iniziative ad hoc i Pride delle varie città, è sembrato agli occhi di molti commentatori la conferma1 che i consumatori non cadono più tanto facilmente nei tentativi di woke washing delle aziende.

Cos’è successo con la campagna di Bud Light con Dylan Mulvaney

Lo scorso 1 aprile 2023 Dylan Mulvaney, 26 anni e un successo ottenuto in Rete (su Instagram e TikTok soprattutto, dove ha rispettivamente oltre 1.8 e 10.8 milioni di follower) raccontando il proprio percorso di transizione, ha condiviso un video in cui, vestita come la protagonista di “Colazione da Tiffany”, apriva e beveva una lattina di birra Bud Light.

Nonostante per sua stessa ammissione l’influencer non sia una grande appassionata di birra, era un modo per festeggiare l’inizio della March Madness, ossia la fase finale di uno dei più importanti campionati universitari di basket americani, ma anche il primo anno vissuto da ragazza (da cui, appunto, il titolo della campagna di Bud Light con Dylan Mulvaney).

Nel video, chiaramente segnalato come frutto di una collaborazione commerciale, si faceva riferimento anche a una sorta di challenge (l’#EasyCarryContest) organizzata dall’azienda e grazie a cui i fan avevano l’opportunità di ricevere un premio in denaro, di svariate migliaia di dollari, bevendo una certa quantità di birra.

Screenshot da Instagram Profilo Dylan Mulvaney

Screenshot da Instagram Profilo Dylan Mulvaney

Un dettaglio in particolare non è sfuggito ai consumatori più fedeli di Bud Light, che in America non sono pochi e hanno un profilo socio-demografico piuttosto definito. In un punto del video l’influencer mostrava una lattina di Bud Light con stampato il proprio ritratto. Come racconta tra gli altri Vox, sono cominciate a circolare2 così voci che potesse trattarsi di una nuova edizione limitata dell’iconica lattina blu di Bud Light dedicata al Pride Month, simile a quella rilasciata lo scorso anno in Canada. Solo più tardi la multinazionale Anheuser-Busch InBev, di cui l’insegna fa parte, è intervenuta a chiarire che la lattina di Bud Light con il volto di Dylan Mulvaney non era e non sarebbe mai stata in vendita: si trattava soltanto di un oggetto commemorativo, realizzato per celebrare un traguardo personale dell’influencer, come era già successo in passato con altri testimonial e personaggi famosi che avevano collaborato con il brand.

Le polemiche per la collaborazione di Bud Light con l’influencer trans

Se i chiarimenti tardivi da parte dell’azienda facevano parte di una strategia basata sull’hype, qualcosa non deve aver funzionato. La campagna di Bud Light con Dylan Mulvaney infatti ha generato, sì, chiacchiericcio in Rete, ma il sentiment delle discussioni è stato piuttosto negativo nei confronti dell’azienda.

C’è stato, continua Vox, chi come il musicista Kid Rock ha reagito sparando su un’intera cassa di birra e chi come il cantante country Travis Tritt ha annunciato che le vendite di Bud Light sarebbero state bandite durante il proprio tour. Ben Shapiro ha bollato l’iniziativa come un tentativo mistificatorio di far credere che gli uomini sono donne e le donne sono uomini, parafrasando le parole di uno dei suoi post sui social. La deputata Marjorie Taylor Greene, postando la foto di una cassa di birra della principale marca competitor di Bud Light in America, ha raccontato invece con un certo rammarico di essersi dovuta accontentare della regina della birra anche se avrebbe voluto acquistare il re (il riferimento è al percorso di transizione di Dylan Mulvaney).

Si tratta di personaggi tutti vicini alla destra radicale americana e non è un caso: le “personas” tipo che, fin qui, hanno acquistato Bud Light sono – a voler semplificare – maschi, bianchi, etero e con una certa idea patriottica dell’America.

Donald Trump in persona è intervenuto più tardi sulla vicenda della campagna di Bud Light con Dylan Mulvaney, inneggiando a una sorta di boicottaggio nei confronti dell’azienda e dei suoi prodotti: non c’è guerra culturale, ha sostenuto l’ex presidente degli Stati Uniti in un post su TRUTH Social, che si possa vincere3 senza passare dai soldi e, cioè, smettendo di comprare prodotti, soprattutto da aziende che veicolano un certo tipo di messaggio o fanno brand activism su questioni come quella dei diritti civili della comunità LGBTQIAP+.

La guerra culturale della destra radicale americana sta davvero facendo perdere profitti a Bud Light?

Alcuni dati, riportati tra gli altri da The Wall Street Journal, sembrano suggerire che una sorta di boicottaggio di Bud Light in America sia effettivamente avvenuto e che, come accennato in apertura, i ritorni dell’iniziativa che ha visto coinvolto al fianco del brand l’influencer transgender Dylan Mulvaney siano stati tutt’altro che positivi.

A fine aprile 2023 Bud Light avrebbe venduto4 negli Stati Uniti quasi un quarto in meno rispetto allo stesso periodo del 2022. Nello stesso arco temporale anche Budweiser, un altro brand del gruppo Anheuser-Busch InBev, avrebbe perso nel Paese l’11% delle vendite. Anche altre insegne della multinazionale quest’anno hanno fatto – lievemente – peggio che in passato.

Evidenze come l’ultima sembrano aver convinto soprattutto i commentatori con più esperienza nel mondo del beverage che i cattivi risultati dell’azienda non siano dovuti così tanto al boicottaggio della destra americana dopo la campagna di Bud Light con Dylan Mulvaney che vagamente strizzava l’occhio alla causa LGTBQIAP+.

È il mercato della birra che da qualche anno sembra in crisi, stretto tra il successo di bibite nuove nel panorama di quelle leggermente alcoliche come gli hard seltzer e la preferenza sempre più spesso accordata dal bevitore “tipo” di birra alle birre artigianali. Per aziende produttrici di birra commerciale come Bud Light o Budweiser è sempre più difficile crescere, insomma, ed è per questo che stanno provando a penetrare, anche tramite campagne di comunicazione e iniziative simili a quella in questione, nuovi target di consumatori fin qui poco esplorati come quello femminile per esempio o di persone non binarie. L’impresa non è semplice se si considera che si tratta di aziende che hanno spesso una brand heritage piuttosto forte.

La vicinanza a cui si accennava con una certa destra radicale americana non è per altro, nel caso di Bud Light/ Anheuser-Busch InBev, solo ideologica: il gruppo, come dimostrano diverse ricostruzioni, ha spesso finanziato5 le campagne elettorali repubblicane, anche quando dall’ala conservatrice venivano proposte normative alquanto discriminatorie nei confronti della comunità LGBTQIAP+.

È difficile credere, insomma, che coinvolgere in prima persona un suo esponente possa effettivamente migliorare il posizionamento del brand nell’immaginario della stessa community.

Parte della comunità LGBTQIAP+ crede che la campagna di Bud Light con Dylan Mulvaney sia rainbow washing

In un doppio flop, alcuni esponenti in vista della comunità LGBTQIAP+ americana hanno bollato, anzi, la campagna di Bud Light con Dylan Mulvaney come un tentativo di rainbow washing. Non sembrano aver gradito soprattutto come l’azienda ha risposto6 alle polemiche.

Dopo due settimane dalla condivisione del post incriminato è stato rilasciato, infatti, un comunicato stampa in cui l’azienda si limitava a spiegare che la ratio della collaborazione con l’influencer transgender era permettere a ogni consumatore di sentirsi – per citarne alcuni passaggi – «orgoglioso della birra che produciamo», non certo quella di scatenare «una discussione che divide le persone: il nostro lavoro è [riunirle] davanti a una birra». A sostegno delle proprie buone intenzioni Bud Light ha citato i «milioni di fan» della birra, «dai militari ai paramedici, dagli appassionati di sport agli americani che lavorano sodo ovunque», ma senza mai fare riferimenti espliciti alla comunità LGBTQIAP+.

Il “caso” Bud Light è un esempio di come non si gestisce una crisi reputazionale

Per altri aspetti la risposta ufficiale alle polemiche riguardo alla campagna di Bud Light con Dylan Mulvaney è stata considerata, anche da commentatori super partes come ancora The Washington Post, un pessimo esempio di crisis management, di come si gestisce una crisi reputazionale o una polemica sulle guerre culturali.

Dalla multinazionale sono nuovamente intervenuti sulla questione, infatti, per chiarire che più che di una vera e propria campagna si è trattata di una collaborazione occasionale con un influencer, simile a quelle di molte altre aziende del settore beverage, e non solo, che investono in influencer marketing, sì, ma non in maniera continuativa.

La voce influencer marketing non sembra effettivamente tra quelle che contano di più per il media planning di Bud Light che continua ad allocare ogni anno gran parte del budget pubblicitario su canali e format più tradizionali, come l’immancabile spot annuale per il Super Bowl, per esempio.

Lo spot coi cavalli Clydesdale con cui Budweiser prova a riallacciare con la destra americana

Goffo, al limite del cringe , è risultato soprattutto il tentativo di Anheuser-Busch InBev di riparare alla frattura con il pubblico conservatore americano rilasciando uno spot della birra Budweiser che più che tutto il resto sembra uno spot al vecchio mito americano.

Budweiser | The Shared Spirit

Screen dal video: Budweiser | The Shared Spirit

Un cavallo Clydesdale, razza già protagonista di altre pubblicità del brand e che anche visivamente richiama un certo immaginario americano, galoppa sullo sfondo di vedute iconiche degli Stati Uniti come lo skyline di New York o il Grand Canyon, mentre in voice over passa il messaggio che quella che si sta provando a raccontare è «una storia più grande della birra», è «la storia dello spirito americano».

Note
  1. VinePair
  2. Vox
  3. TRUTH/ @realDonaldTrump
  4. The Wall Street Journal
  5. Vice
  6. Anheuser-Busch InBev

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