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Se a promuovere le vaccinazioni contro il coronavirus sono gli influencer

Campagna di influencer marketing per le vaccinazioni

Secondo diverse fonti il Dipartimento per le politiche giovanili starebbe pensando di coinvolgere gli influencer in una campagna di sensibilizzazione sulle vaccinazioni, rivolta agli under 30. Sono iniziative già sperimentate in altri paesi, che sembrano funzionare (a patto di scegliere i content creator giusti).

Il governo italiano starebbe pensando a una campagna di influencer marketing per le vaccinazioni anti COVID-19 da indirizzare a giovanissimi under 30. A darne notizia è stata per prima l’agenzia ANSA, seguita da numerose testate nazionali che hanno provato a scovare più dettagli sull’iniziativa del Dipartimento per le politiche giovanili e il servizio civile universale contro il coronavirus.

Cosa si sa sulla campagna di influencer marketing per le vaccinazioni tra gli under 30 italiani

Al momento si sa ancora davvero poco riguardo a chi siano gli influencer da coinvolgere nella campagna istituzionale e a come coinvolgerli.

Secondo Il Fatto Quotidiano si potrebbe trattare di content creator che godono già di un buon seguito. Si potrebbe optare, per esempio, per influencer su TikTok se l’obiettivo è parlare con i giovanissimi under 20, attesi all’appuntamento con il vaccino contro il coronavirus in vista della maturità e del ritorno a settembre tra i banchi di scuola e università (a tal proposito sono già saltati fuori nomi come quello di Cecilia Cantarano, tra i TikTok influencer italiani con più seguito, con quasi 3 milioni di follower al 24 maggio 2021); per convincere i più grandi si potrebbe invece far ricorso soprattutto a youtuber e instagramer di successo; non è escluso, però, che il Ministero guardi anche a canali nuovi come Twitch, frequentati con sempre più assiduità anche dai giovani italiani.

Non è dato sapere comunque neanche se la campagna di influencer marketing per le vaccinazioni anti COVID-19 per i giovanissimi italiani – che avrebbe già un titolo o almeno un nome in codice, ossia “Operazione giovani” – avrà più un piglio divulgativo-informativo o leggero e divertente. Quello che è abbastanza sicuro, secondo ANSA, e che permette di farsi un’idea abbastanza precisa di cosa (non) sarà è che si articolerà perlopiù su canali e profili istituzionali.

Probabilmente, insomma, non ci saranno takeover degli account ministeriali o challenge e sfide a suon di hashtag e anche il tono di voce potrebbe essere quello educativo-didascalico che ha caratterizzato fin qui la comunicazione istituzionale durante la pandemia e che è più in generale segno caratteristico della comunicazione pubblica “all’italiana”.

Per la prima volta, però, per convincere i più giovani a partecipare in massa alla campagna vaccinale si potrebbe assistere a uno sforzo più coordinato e sistemico del lasciare che Gianni Morandi si faccia immortalare dalla moglie Anna al centro vaccinazioni con cerotto sul braccio in bella vista e condivida lo scatto con la sua (pure nutrita) community virtuale sperando di essere di buon esempio o che, in un video virale, Gigi D’Alessio appena vaccinato canti con medici e infermieri tra tutti i suoi successi proprio “Non mollare mai“.

Ragionare in termini di strategia (di marketing) è il tipo – particolare – di target che lo richiede: nella dieta mediatica dei più giovani i canali digitali hanno ormai un peso preponderante, forse anche perché sono abituati a vivere buona parte delle proprie esistenze “ onlife ” e senza soluzione di continuità tra quello che fanno online e quello che fanno offline.

Diverse edizioni dell’Edelman Trust Barometer confermano che la loro fiducia nei confronti delle istituzioni e dei media tradizionali è in calo, rimpiazzata da potenti meccanismi fiduciari “tra pari”. Chi ha provato ad analizzare il rapporto tra Gen Z e influencer si è accorto che i secondi non sono più solo in grado di orientare acquisti e scelte di consumo, ma sono percepiti dai giovanissimi come role model a cui ispirarsi per prendere ogni tipo decisione, incluse anche quelle che riguardano appunto la salute.

Perché coinvolgere gli influencer quando si tratta di parlare di vaccini e immunità di gregge

Da qui il senso di una campagna di influencer marketing per le vaccinazioni anti COVID-19 rivolta ai giovanissimi italiani che, se sarà realizzata davvero, non sarà certo unica nel suo genere.

Dall’America vengono, infatti, numerosi precedenti di campagne di comunicazione – condotte non solo da soggetti istituzionali ma anche da una serie di attori “sussidiari” (associazioni, aziende mediche, assicurazioni, ecc.) a diverso titolo coinvolti nella gestione sanitaria della pandemia – per la promozione dei vaccini dalla spiccata impronta digitale e che, non di rado, coinvolgono appunto content creator e influencer professionisti.

Cosa alcune campagne americane dicono sulla possibilità di sfruttare il digitale per contrastare la pandemia

È diventata un “caso di studio”, protagonista anche di un lungo approfondimento su MIT Technology Review, la newsletter che aiuta gli americani a vaccinarsi. Più che il canale in sé, a offrire supporto a cittadini di ogni età, etnia, reddito che hanno difficoltà ad accedere ai vaccini è la piccola media company, Epicenter-NYC, che la scrive. Già prima di occuparsi di supporto ad anziani che non hanno familiarità con la Rete e non riescono per questo a prenotare il proprio appuntamento al centro vaccinale o di persone ai margini che non hanno copertura sanitaria adeguata ad assicurare loro una dose di vaccino, al centro del Queens, la media company si occupava di temi portanti per la cittadinanza come istruzione, accesso ai servizi pubblici, ecc.

Come racconta The Atlantic, il dipartimento della salute dell’Oklahoma si sta rivolgendo agli influencer per promuovere le campagne vaccinali. Tra i personaggi della Rete coinvolti ci sono lifestyle influencer, ma anche health influencer e personal trainer e culturisti con un grosso seguito che non solo hanno immortalato il tanto agognato momento dell’iniezione, ma riservano ai propri follower racconti di come concretamente la vaccinazione riesca a essere un primo passo verso il ritorno alla normalità in campo lavorativo o per quanto riguarda le occasioni di socialità. Secondo la testata, proprio la campagna di influencer marketing per le vaccinazioni avrebbe già fatto abbassare notevolmente i tassi di defezione nello Stato.

Anche in Oregon si stanno chiamando a raccolta gli influencer per incentivare le vaccinazioni contro il COVID-19, soprattutto tra quelle minoranze che, come sottolinea Politico, per un complesso di fattori sociali, politici ed economici sono risultate più vulnerabili e a rischio durante questi mesi di pandemia. La strategia adottata in questo caso è stata quella di rivolgersi soprattutto a micro influencer con community coese, affezionate e presso cui godono di una buona credibilità e lasciare che con messaggi mirati e personalizzati, spesso divertenti o leggeri e capaci di intercettare hashtag e challenge di tendenza del momento, spieghino come funzionano i vaccini e perché è importante raggiungere presto una buona copertura vaccinale.


La campagna di influencer marketing per le vaccinazioni contro il COVID-19 rivolta ai giovanissimi italiani potrebbe ispirarsi a precedenti come questi o, perlomeno, trarre da questi alcuni insegnamenti, come l’importanza di coinvolgere quanti più influencer possibile.

Influencer e vaccini: a cosa fare attenzione quando li si coinvolge in campagne di sensibilizzazione

Secondo The Atlantic, la vera ragione per cui ministeri e altri soggetti che hanno in carica le campagne di vaccinazione dovrebbero ricorrere in massa a content creator e personaggi famosi del web è perché, per il seguito di cui godono e per come tutto quello che fanno finisce per “riecheggiare” dentro e fuori dalla Rete, potrebbero aumentare l’esposizione a contenuti e messaggi pro vax nella cornice di conversazioni a tema vaccini sui social.

Finora, infatti, la componente no vax ha avuto peso non indifferente, come lo ha avuto anche l’altrettanto pericolosa componente cosiddetta “ni vax”, ossia degli indecisi e dei disinteressati alle campagne di vaccinazione contro il coronavirus a cui ha cominciato a fare compagnia più di recente, ancora, la classe dei «pharmacore», come la definisce The New York Times. Si tratta di una fetta di popolazione che sembra interessata solo ed esclusivamente a vantarsi di aver ricevuto il siero di una casa farmaceutica e non di un’altra, facendo dell’essere vaccinati con Pfizer – e in misura minore Moderna – una sorta di status symbol.

influencer invitano alle vaccinazioni

Con hashtag come #iomivaccino sono taggati i selfie agli hub o con i certificati vaccinali. Coinvolgere gli influencer potrebbe servire in quest’ottica ad aumentare l’esposizione a post di questo tipo, anche tra utenti disinteressati al tema. Fonte: Instagram

Aumentare l’esposizione ai contenuti pro vaccini è, a ben guardare, tra le ragioni che hanno portato anche Facebook a sviluppare un hub informativo ad hoc, dei tool per prenotare il proprio appuntamento vaccinale direttamente tramite la piattaforma e persino degli sticker da usare su Instagram a vaccinazione avvenuta e per incitare i propri follower a fare lo stesso.

Più di qualsiasi utente, però, gli influencer, soprattutto se macro influencer o A-list influencer, sarebbero capaci di raggiungere fette di pubblico che, diversamente, sceglierebbero poco probabilmente volontariamente di fruire contenuti a tema vaccini.

Una campagna di influencer marketing per le vaccinazioni contro il COVID-19 può funzionare, in altre parole, perché un influencer è capace di trovare i destinatari del proprio messaggio dove questi “stanno” naturalmente e mentre compiono azioni che compiono ogni giorno in Rete, mentre anche la più “digital-first” delle pubblicità progresso sulle campagne di vaccinazione rischierebbe di avere comunque un effetto “interruttivo”.

Se a questo si aggiungono i meccanismi fiduciari a cui già si accennava, è più facile capire perché e come un influencer, meglio se un micro influencer o un nano influencer , può riuscire a convincere i giovanissimi a vaccinarsi, percepito com’è come un punto di riferimento, molto vicino a sé per stili di vita e di consumo o per scelte sociali e politiche. Fin dalle prima settimane di pandemia, del resto, science influencer e altri content creator che divulgavano contenuti medicalmente approvati e verificati sul coronavirus hanno avuto un ruolo fondamentale nella prevenzione del contagio.

Quanto detto fin qua basta però a capire quanto importante sia anche per una campagna di influencer marketing per le vaccinazioni anti COVID-19 la scelta dell’influencer o degli influencer giusti. Controllare che nello storico di tutte le volte in cui hanno parlato di coronavirus sui social non ci siano messaggi controversi o che mettono in dubbio posizioni e studi scientifici ormai largamente accettati può essere un buon punto di partenza, così come potrebbe esserlo più in generale controllare che farsi ambassador delle campagne di vaccinazioni sia coerente con l’immagine di cui l’influencer gode dentro e fuori la Rete.

Necessario sarebbe, poi, non pretendere dagli influencer, specie se non hanno expertise specifiche in materia, che si facciano divulgatori dei benefici del vaccino.

Politico ricorda di fare attenzione, infine, anche agli hashtag #sponsored o #ads che per obbligo di trasparenza dovrebbero accompagnare i post in cui influencer e altri content creator parlano di vaccinazioni ma sono pagati per farlo.  È una raccomandazione che può riempirsi di senso soprattutto in un contesto in cui a rivolgersi a questi personaggi con folto seguito in Rete per incentivare le campagne di vaccinazione siano soggetti non pubblici e che in qualche modo traggono profitto dalle stesse.

Una campagna di influencer marketing per le vaccinazioni contro il COVID-19, anche se parte di un’iniziativa di sensibilizzazione pubblica e condotta da soggetti istituzionali, come nel caso italiano, quanto efficace e credibile sarebbe se i destinatari avessero anche solo il dubbio che quello che dicono influencer e content creator lo dicono solo perché sono pagati per farlo?

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