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Campagna di sensibilizzazione contro la guerra: protagonisti i bambini siriani

Bambini siriani in una campagna di sensibilizzazione contro la guerra

L’UNICEF ha promosso una nuova campagna di sensibilizzazione contro la guerra, spiegando in particolare le difficoltà dei bambini siriani.

L’UNICEF – il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia – è stato fondato nel dicembre 1946 con lo scopo di aiutare i bambini vittime della seconda guerra mondiale. Nel corso degli anni l’ente umanitario si è sempre più focalizzato su bambini e adolescenti in difficoltà – a livello familiare e sociale – in tutto il mondo, incentrando la propria  mission su tutela e promozione dei diritti, nonché sulla realizzazione di attività volte a contribuire al miglioramento delle condizioni di vita. Mission che si è declinata – in occasione del “Vertice del Millennio“, la più ampia riunione di leader mondiali della storia – nell’approvazione della “Dichiarazione del Millennio“, nella quale è confluita la creazione degli obiettivi di sviluppo di cui l’UNICEF si è resa promotrice.

Nello specifico, gli obiettivi sono:

  • eliminare la povertà estrema e la fame: dal 1990 al 2008 la percentuale di bambini sottopeso di meno di cinque anni è scesa dal 31% al 26%;
  • raggiungere l’istruzione primaria universale: solo 12 paesi e territori in via di sviluppo presentano tassi di frequenza della scuola secondaria pari o superiori al 90%; la maggior parte di bambini che non frequenta la scuola proviene da territori nei quali sono presenti conflitti armati;
  • promuovere l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne: in molti paesi, soprattutto nell’Africa sub-sahariana e in Asia meridionale, le bambine occupano ancora una posizione di svantaggio;
  • ridurre la mortalità infantile: questo è in assoluto l’obiettivo di massima priorità per l’UNICEF; i tassi più elevati di mortalità tra i bambini sotto i cinque anni continuano a registrarsi in particolare nell’Africa sub-sahariana e in Asia meridionale (il 75% dei decessi infantili nel mondo); la malnutrizione, poi, contribuisce a circa il 45% (3,1 milioni di decessi) della mortalità infantile globale;
  • migliorare la salute materna, che a sua volta si declina in due obiettivi subordinati che sono, rispettivamente, diminuire la mortalità infantile e permettere alle donne l’accesso all’assistenza prenatale;
  • combattere l’HIV/AIDS, la malaria e altre malattie: 2,1 milioni di bambini sotto i quindici anni muoiono per questa malattia, mentre la percentuale di bambini che contraggono la malaria è in continua crescita;
  • garantire la sostenibilità ambientale: degli 1,8 miliardi di persone che hanno ottenuto l’accesso a fonti migliorate di acqua potabile (dal 1990), il 60% vive in aree urbane;
  • sviluppare una collaborazione globale per lo sviluppo, grazie ad un sistema finanziario e commerciale aperto, equo, basato su regole precise e, inoltre, non discriminatorio.

Questi sono gli obiettivi che l’UNICEF si prefigge da sempre, puntando molto anche sulle nuove tecnologie e soprattutto sui canali social grazie ai quali diffondere i propri spot oppure una campagna di sensibilizzazione, come è accaduto anche per “Unfairy Tales”, la campagna realizzata in favore dei bambini vittime della guerra di Aleppo e lanciata nel 2016. Lo scopo è quello di diffondere le storie commoventi di bambini che sono riusciti a fuggire dalla guerra e a costruirsi una nuova vita in Germania.

Nello specifico, “Unfairy Tales”– al pari delle altre campagne di sensibilizzazione – è nata per raccontare delle storie che suscitassero empatia per spingere l’opinione pubblica all’azione, in modo da operare concretamente ed attivamente per salvare i bambini dalla guerra.

L’UNICEF ha scelto di raccontare prima e seguire poi la storia di due bambini: Malak, di 7 anni, che con la madre ha attraversato il Mediterraneo in condizioni non propriamente favorevoli e Mustafa, di 13 anni, che ha dovuto lasciarsi alle spalle i suoi giocattoli, gli amici ed anche una parte della sua famiglia per andare in Germania.

Nel febbraio 2017, un anno dopo il lancio effettivo della campagna, l’UNICEF, in collaborazione con l’agenzia creativa 180LA – che aveva realizzato i video delle storie –, ha intervistato nuovamente i protagonisti delle “Unfairy Tales”.

Questi video riflettono le emozioni dei bambini che con la loro semplicità e innocenza raccontano com’è cambiata la loro vita nell’ultimo anno. Sia Malak che Mustafa, però, nonostante la tranquillità e la serenità ritrovate in Germania, hanno sempre un pensiero rivolto a tutti i ricordi della guerra che hanno vissuto in prima persona e, come la psicologia insegna, simili esperienze si tramutano per i bambini, incapaci di elaborare quegli eventi, in profonde ferite traumatiche che li accompagneranno per tutta la vita.

Infatti, nell’intervista Malak esprime contemporaneamente gioia, perché non è più esposta a minacce quotidiane di violenza, e tristezza, perché pensa al conflitto che l’ha separata dai suoi amici rimasti in Siria. Sulla stessa scia anche i ricordi di Mustafa che però riflette sul perché alcuni bambini tedeschi potrebbero essere diffidenti nei suoi confronti ed esprime il dispiacere per l’assenza della sua famiglia, rimasta in Siria. È proprio questo sentimento a prevalere sull’entusiasmo per aver iniziato una nuova vita e perché finalmente al sicuro. Tutto ciò, dunque, aiuta a riflettere su quanto pericolosa sia la guerra anche per le conseguenze che genera.

I video delle interviste sono stati promossi attraverso i canali social dell’UNICEF ​​come parte della campagna globale #actofhumanity, in merito alla quale, Paloma Escudero – il direttore della comunicazione – ha detto: «In tutto il mondo, le persone stanno mostrando atti di umanità a bambini migranti e rifugiati, accogliendoli in comunità e nelle scuole. Questi piccoli atti di gentilezza possono fare la differenza per la vita individuale e noi incoraggiamo più persone a mostrare empatia verso i bambini».

L’auspicio generale è che, effettivamente, il lavoro svolto dall’UNICEF possa coinvolgere sempre più persone e, quindi, permettere a sempre più bambini di condurre una vita migliore e lontana dalle esperienze traumatiche della guerra.

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