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Campagne social contro l'Alzheimer: così la cura della malattia è partecipata

Campagne social contro l'Alzheimer: alcuni esempi

Le campagne social contro l'Alzheimer dimostrano che la dimensione collettiva, partecipativa e giocosa aiuta ad avere maggiore consapevolezza

Secondo alcuni dati Censis – Aima, i malati d’Alzheimer in Italia sono attualmente oltre seicentomila, destinati ad aumentare al ritmo di un nuovo caso ogni 3,2 secondi per colpa dell’invecchiamento della popolazione. Per questo c’è bisogno di conoscere meglio la malattia e a questo servono iniziative di sensibilizzazione e persino campagne social contro l’Alzheimer.

Cos’è l’Alzheimer e a cosa servono le campagne di comunicazione

Chi ha avuto in famiglia almeno un caso di Alzheimer, del resto, lo sa bene: è tra le malattie neurodegenerative più invalidanti, dal momento che coinvolge primariamente la sfera della memoria e costringe chi ne è affetto, fin dall’esordio della patologia, a una condizione di dimenticanza dei piccoli gesti quotidiani, delle tappe importanti della propria vita, fino ad arrivare a non riconoscere completamente né i propri familiari né se stesso. È un processo che, in qualche caso, ha un’evoluzione piuttosto rapida. Già in condizioni normali, infatti, immediatamente dopo un picco di efficienza cognitiva che si manifesta intorno ai 25 anni, si comincia fisiologicamente a perdere potenziale nervoso: alcuni studi stabiliscono, così, che intorno ai 50 anni quest’ultimo risulta ridotto di tre quarti. Nelle forme precoci di Alzheimer la riduzione di memoria e capacità cognitive procede molto più velocemente e solo un intervento tempestivo, a livello di cure, può assicurare risultati apprezzabili.

Per fortuna negli anni la sensibilità verso questa malattia, e più in generale verso tutte le forme neurodegenerative, è aumentata: ci sono iniziative che provano a fare prevenzione; un intero mese, settembre, dedicato alla lotta contro l’Alzheimer (con una giornata, il 21 settembre, che è stata dichiarata Giornata Mondiale dell’Alzheimer, ndr); è nato persino un festival, l’Alzheimer Fest, che ha come sfida quella di ritrovare un ruolo attivo nella vita socio-culturale della comunità anche per chi è affetto da questa malattia.

Quando l’immedesimazione è la chiave delle campagne social contro l’Alzheimer

A cosa servono, in un quadro come questo, le campagne social contro l’Alzheimer? Si muovono in un campo che è quello della sensibilizzazione. Chi fa social media marketing per il terzo settore, del resto, lo sa bene: creare uno storytelling ad alto impatto emotivo e in grado di generare engagement è il primo passo per sensibilizzare i destinatari del messaggio alla propria causa. Ed è quasi interamente sul piano emozionale che sono costruite campagne come quella di Alzheimer Nederland: l’associazione tedesca taggò degli utenti scelti casualmente su foto di eventi pubblici a cui questi non avevamo mai partecipato. «Confuso, vero? Questo è quello che si prova ad avere l’Alzheimer!» è il messaggio che veniva inviato contestualmente al tag: l’obiettivo della campagna, infatti, era proprio quello di fare in modo che gli utenti potessero vivere un’esperienza inedita e mettersi davvero nei panni di chi avesse un disturbo degenerativo con effetti sulla perdita della memoria.

ALZHEIMER NEDERLAND – The Alzheimer’s Event (casefilm ENG)
ALZHEIMER NEDERLAND - The Alzheimer's Event (casefilm ENG)

Gran parte delle campagne social contro l’Alzheimer gioca, del resto, proprio sull’idea dell’immedesimazione: cosa significa essere costretti a ripetere continuamente lo stesso gesto, anche dei più quotidiani, per non dimenticarsi come si fa? È l’idea di fondo di una campagna di comunicazione come quella organizzata nel 2016 dalla Associazione Malattia Alzheimer – AMA per promuovere l’annuale raccolta fondi. Una GIF mostrava una mano nell’atto di scrivere, continuamente, “Donate” e il copy recitava: «Non vorremmo più ripeterci». Il riferimento alla caratteristica più incisiva della malattia, la ripetizione all’infinito, era tutt’altro che velato e ciò non faceva che aumentare la risonanza del messaggio, dimostrando da un lato come anche il più comune dei “vezzi” social generalmente usato per scopi giocosi potesse trasformarsi in uno strumento di sensibilizzazione e, dall’altro, l’opportunità di utilizzare le GIF per strategie di comunicazione e di contenuto.

campagna ama alzheimer 2016

Anche una GIF può diventare un efficace mezzo di comunicazione sociale, come dimostra la campagna di AMA contro l’Alzheimer. 

Dalla gamification all’open source: tutte le strategie “social” contro le malattie degenerative

E se c’è una componente giocosa in un’operazione semplice come quella di AMA, c’è chi ha provato a sfruttare la gamification vera e propria per accendere i riflettori sulla questione Alzheimer. Lo hanno fatto i creatori di giochi come “Forget Me Not” o “Ether One”: il design e le modalità interattive del gioco, nel primo caso, costringono gli utenti a mettersi nei panni di chi soffre di Alzheimer e, nel secondo, di chi cerca una cura per la malattia, insistendo sull’idea di oggetti di uso quotidiano impossibili da riconoscere e su quella di premi e ricompense assegnati per ogni avanzamento ottenuto.

Non è solo un gioco, invece, quello che fa Printed Memories. Tra le conseguenze principali della malattia c’è infatti l’incapacità per chi ne è affetto di riconoscere le persone care, pur se fanno parte della sua vita quotidiana, condizione che finisce per compromettere molto la dimensione sociale e affettiva. Il portale — che assomiglia in tutto e per tutto ai più comuni servizi per la stampa online di materiale fotografico — permette, così, a familiari e parenti di caricare una foto accompagnata da qualche parola o da un pensiero e di recapitarla direttamente all’indirizzo dell’ammalato, aiutandolo in questo modo — e seppure simbolicamente — a ricostruire e mantenere in vita i suoi ricordi.

In qualche altro caso si è provato a sfruttare le grammatiche e le modalità d’interazione “naturali” di piattaforme come Shazam per far capire, ai più giovani soprattutto, cosa vuol dire avere l’Alzheimer. L’app normalmente sfrutta il microfono dello smartphone o del dispositivo su cui è installata per riconoscere le canzoni tra un database molto ampio di titoli. Cosa succederebbe il giorno in cui Shazam dimenticasse (“The Day Shazam Forgot” è proprio il titolo della campagna, ndr)? Nell’ambito di un’iniziativa di Alzheimer’s Research UK, quando gli utenti inglesi provavano a utilizzare l’app per le sue normali funzioni, rilevavano anomalie, impiegavano più tempo del solito, invece del titolo del brano si vedevano restituiti messaggi come “se non ricordo male…”, “dovrebbe essere…” che rappresentano la grammatica quotidiana di un malato di Alzheimer. Degli annunci dell’associazione, con call to action altrettanto chiare e d’impatto invitavano quindi a donare e, in effetti, la campagna sembrò fruttare oltre cinquemila visite in più nella pagina ufficiale dedicata alle donazioni.

Quando si parla dell’apporto che i social network  possono dare alla lotta contro Alzheimer e altre malattie degenerative, comunque, non si può non accennare anche al fatto che esistono social pensati ad hoc per i familiari degli ammalati dove ci si scambiano consigli, opinioni, pareri o dove è possibile semplicemente trovare il sostegno di una “community” simile nei bisogni e nei desideri. In qualche caso invece, data la natura sempre in evoluzione degli studi nel campo, i social network – specie quelli professionali – sono serviti da campo per il recruiting di esperti che contribuissero, in una logica wiki e open source, a terminare importanti studi e ricerche di settore.

Cosa i chatbot hanno da offrire alla lotta contro l’Alzheimer

Se social network, poi, è sempre più sinonimo di instant messaging qualcuno ha provato a sfruttare anche le ultime novità in materia per migliorare la vita di tutti i giorni dei malati di Alzheimer. Se le applicazioni nel campo della salute dell’intelligenza artificiale, del resto, sono ormai delle più varie, perché non usare, allora, una delle forme più semplici, i chatbot, nella lotta contro le malattie neurodegenerative? È quello che ha fatto Young&Rubicam in collaborazione con Italia Longeva, un network del Ministero della Salute dedicato all’invecchiamento, e con Facebook: Chat Yourself è un chatbot in grado di memorizzare tutte le informazioni più importanti riguardo al malato e di restituirgliele al bisogno; installato su Messenger è programmato per rispondere a domande delle più semplici (Come mi chiamo? Come si chiamano i miei figli? Dove abito? A cosa sono intollerante? Ecc.), permettendo al malato di non rinunciare alla sua indipendenza e alla sua vita sociale ma, allo stesso tempo, di farlo in tutta sicurezza.

Chat Yourself – Italiano
Chat Yourself - Italiano

E se iscriversi ai social fosse una cura alle malattie degenerative?

Abbondante e controversa è, per finire, la letteratura medica che prova a indagare l’effetto dell’uso dei social media  sull’insorgere e il progredire della malattia e che rientra, più in generale, nel filone di studi sugli effetti dei social media sulla salute mentale e la personalità. Interessante è soprattutto la posizione di chi sostiene che imparare a utilizzare i social e le tecnologie digitali possa essere un ottimo modo per allontanare anziani e soggetti a rischio dal pericolo di manifestare i sintomi dell’Alzheimer.

Come per tutte le malattie neurodegenerative, infatti, mantenersi attivi e “allenare” il cervello mettendo alla prova le proprie capacità cognitive sono ottimi modi per prevenire i segni del tempo ed evitare che si manifestino deficit tipici della malattia. Imparare come si apre un account su Facebook, come si condividono foto su Instagram o come si fa un retweet può essere allora uno stimolo importante. Senza contare l’importante dimensionesociale” di attività come queste: se c’è una ragione perché i nonni sono sempre più social, del resto, è per poter rimanere in contatto con le persone care… e la compagnia, si sa, è la cura per molti mali.

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