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Alcuni utenti stanno giocando all'olocausto su TikTok vestendosi e truccandosi come deportati per una challenge

La challenge dell'olocausto su TikTok è virale: perché?

Ha fatto molto discutere la challenge che sfida gli utenti a "recitare" l'olocausto su TikTok. Dal trauma porn alla cultura del remix e della partecipazione, alcune possibili interpretazioni del suo successo.

Fingersi vittime dell’olocausto su TikTok: è questa l’ultima challenge che spopola soprattutto tra gli utenti americani dell’app di lip sync cinese. E se al contrario di altre sfide, come la Benadryl Challenge per esempio, non sembra pericolosa per la salute degli utenti, pericolosa lo è certamente perché potenziale veicolo di contenuti discriminatori e linguaggio dell’odio.

#HolocaustChallenge: cos’è e perché è diventata virale su TikTok

La maggior parte dei tiktoker che ha accettato la #HolocaustChallenge, infatti, ha indossato un pigiama a righe o degli abiti logori; ha usato il make-up per riprodurre ferite e lesioni sul volto o guance scavate e altri segni di denutrizione che, le fotografie storiche raccontano, erano comuni tra i deportati nei campi di concentramento nazisti; impostato un filtro in bianco e nero prima di dare il via alla propria recita dell’olocausto su TikTok. #PoV, ossia punto di vista, è del resto la categoria con cui gli utenti hanno auto-classificato questa tipologia di tiktok: si sfruttano i quindici secondi di durata massima dei video da condividere per raccontare una storia dal punto di vista di uno dei suoi protagonisti, senza rinunciare, va da sé, alla possibilità di arricchire la narrazione con filtri, adesivi, un tappeto musicale, delle didascalie per renderla più conforme alle grammatiche della piattaforma e più familiare e d’appeal per gli altri tiktoker.

#holocaustchallenge cos'è

La #HolocaustChallenge è stata definita una sorta di “recita” dell’olocausto su TikTok perché i partecipanti indossano abiti simili alle divise dei deportati, simulano col trucco lesioni e segni di malnutrizione e raccontano memorie, finzionali va da sé, dai campi di sterminio. Fonte: TikTok

Per ogni utente che ha preso parte alla sfida dell’olocausto su TikTok provandosi in un racconto, ovviamente finzionale, del momento della deportazione o di quello della separazione dai propri familiari e degli abusi subiti dalle SS naziste, però, taggati con #HolocaustChallenge ci sono stati anche numerosi video sarcastici, derisori o persino negazionisti. Ragione per cui la strana challenge ha attirato l’attenzione della stampa e della comunità ebraica internazionale, prima di costringere TikTok a bloccare l’ hashtag e, come riporta la BBC, a rimandare chiunque facesse ricerche a esso correlate alla pagina contenente linee guida e policy della piattaforma. Come la maggior parte delle piattaforme social, infatti, l’app cinese è formalmente impegnata da sempre a disincentivare linguaggio dell’odio e contenuti violenti e «a mantenere libere e positive» le proprie community, impegno confermato di recente tra l’altro con la firma del codice di condotta europeo contro l’hate speech (lo stesso già da tempo accettato da Facebook, Twitter, YouTube, Microsoft e provato a recepire in Italia dal regolamento AGCOM contro il linguaggio dell’odio).

L’intervento del team di TikTok, però, non sembra essere stato del tutto risolutivo. Hashtag come #olocausto o il suo corrispondente inglese #holocaust hanno ancora un gran numero di visualizzazioni su TikTok (rispettivamente oltre 101mila e più di 18 milioni, a settembre 2020) e, secondo un’indagine condotta dall’Osservatorio Antisemitismo italiano, cercando su TikTok la parola “ebrei” ci si imbatte in hashtag correlati come #poveriebrei (da 20mila visualizzazioni) o #ebreialforno (con invece 7mila visualizzazioni) e qualche contenuto, poche decine per la verità, in cui tiktoker giovanissimi, forse persino minorenni, fanno ironia su o sminuiscono i fatti storici della Shoah. Manca alfabetizzazione rispetto ai grandi temi della storia, che rischiano di essere percepiti dai più giovani esclusivamente come nozioni stampate sui libri, sottolinea lo stesso Osservatorio, e la voglia di tanti giovani di giocare all’olocausto su TikTok ne è dimostrazione evidente. La sfida è soprattutto educativa, rincara la dose il Memoriale di Auschwitz, commentando su Twitter una #HolocaustChallenge che, per il resto, definisce «dolorosa e offensiva» e foriera di una «trivializzazione della storia».

Perché parlare di olocausto su TikTok (e su tutti gli altri social) è sempre un terreno franoso e cosa c’entrano remix culture e cultura della partecipazione

Non è comunque la prima volta che succede: non è la prima volta, cioè, che iniziative o contenuti condivisi sui social e che hanno a tema la Shoah generano reazioni controverse. Yolocaust, il progetto di un visual artist israelo-tedesco che trasformava i selfie scattati dai turisti al Memoriale della Shoah di Berlino in GIF che mostravano le stesse persone, nelle stesse pose ma davanti a una pila di cadaveri o a un forno crematorio, ha ricevuto non poche critiche, soprattutto perché accusato di fare shaming nei confronti degli autori dei selfie, prima di essere chiuso.

La challenge dell'olocausto su TikTok è virale: perché?

Il progetto Yolocaust rielaborava i selfie dei turisti al Memoriale della Shoah di Berlino, trasformandoli in GIF che mostravano le stesse persone, nelle stesse pose, davanti a forni crematori, cumuli di cadaveri o di effetti personali dei deportati, “set” più realistici da un punto di vista storico. L’artista è stato oggetto di molte critiche e ha poi messo fine al progetto. Fonte: Rivista Studio

Un destino non molto diverso è toccato a @eva.stories, il romanzo via Storie di Instagram scritto «in memoria dei sei milioni di ebrei morti nell’olocausto», così si legge nella bio del profilo dedicato al progetto.

Il dubbio è che parlare di sterminio degli ebrei su TikTok, su Instagram, negli ambienti digitali in generale serva, sì, a far riflettere su e a commemorare i fatti storici, ma non meno e non prima di aver cavalcato il trend del momento e guadagnato un po’ di visibilità; ciò è più evidente sicuramente se per parlare di Shoah si sceglie un contenuto come la sfida dell’olocausto su TikTok, per sua natura legato a ciò che è virale in quel preciso istante e, peraltro, per ragioni non sempre e non pienamente spiegabili. Non si può escludere a priori, insomma, che qualche giovane partecipante alla #HolocaustChallenge fosse davvero sensibile al tema, provasse empatia per le vittime – o per i loro familiari almeno – o volesse coinvolgere i coetanei nel ricordo di quanto successo. Recitare l’olocausto su TikTok, però, potrebbe essere stato per molti una sorta di gesto d’appartenenza, un modo come un altro per non sentirsi esclusi dalla community di tiktoker: «participatory culture», la chiamano gli esperti, ed è la ragione per cui, si tratti di cantare in playback la hit del momento o di provare a far stare in piedi da sola una scopa, ci sono decine di migliaia di utenti pronti a partecipare a e rendere virale le challenge di giornata.

Vestire – letteralmente – i panni della vittima di uno sterminio o fermarsi a guardare un tiktok in cui è qualcun altro a farlo somiglia sicuramente molto da vicino a quel “trauma porn”, o pornografia del dolore, che dalla TV ha portato anche negli ambienti digitali una sorta di fascinazione, di piacere voyeuristico, nello scavare nel dolore (degli altri). E in effetti, racconta Insider, prima di fingersi deportati nei campi di concentramento nazisti, alcuni tiktoker avevano “recitato il ruolo” di vittime dell’11 settembre, anche in questo caso usando il make-up per simulare scottature e traumi, o addirittura in quello di vittime di abusi sessuali. L’espressione con cui la testata si riferisce a questo tipo di challenge, cioè «roleplaying» (“gioco di ruolo”), non è casuale: qualcuno su Twitter ha paragonato i partecipanti alla #HolocaustChallenge a dei cosplayer (chi in occasione di fiere o eventi di settore veste i panni dei propri beniamini di fumetti e manga) e, per quanto a tratti dissonante, è un paragone che potrebbe non stonare del tutto nell’ottica di una remix culture che non ha remore a mischiare basso e alto, cronaca e finzione, tragedia e pop.

Giocare all’olocausto su TikTok è per l’app anche e soprattutto un problema commerciale

Le grane per TikTok, se sfide di questo tipo diventassero sempre più frequenti e virali, potrebbero essere comunque soprattutto commerciali. Al momento l’app cinese è tra le preferite di marketer e chi investe in social advertising, perché frequentata da un gran numero di giovanissimi della generazione z e della generazione alpha , target strategico per molti brand , ma anche perché strumenti come TikTok for Business aiutano gli advertiser a ottimizzare i propri investimenti grazie ad annunci mirati, nativi, non invadenti. Se i brand che solo lo scorso anno hanno investito oltre 177 milioni di dollari in pubblicità su TikTok si ritrovassero, improvvisamente, di fronte a un gran numero di contenuti violenti, offensivi, discriminatori e potenzialmente capaci di mettere a rischio la propria brand safety potrebbero decidere di rivedere i propri piani di investimento. Non sarebbe la prima volta che succede: qualche anno fa alcuni brand avevano sospeso le campagne pubblicitarie su YouTube per via di hate speech, fake news e contenuti riconducibili a organizzazioni terroristiche e negazionisti che spopolavano sulla piattaforma. Più di recente, la prima tranche di #StopHateForProfit ha coinvolto grandi brand come Patagonia, The North Face e Coca-Cola che hanno sospeso i propri investimenti in Facebook advertising per chiedere al team di Zuckerberg più impegno contro contenuti che facevano leva su discriminazione e odio razziale. Impedire ai propri iscritti di sfidarsi all’olocausto su TikTok, scrive Fortune, potrebbe essere l’occasione per l’app di «evitare errori in stile Facebook» e farlo presto, ora che grandi investitori come Kellog’s o P&G non sembrano ancora aver rivisto i propri piani di investimento su TikTok a causa di contenuti controversi come questi e preoccupati dell’integrità del proprio brand.

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