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Chatbot e confronto con le app: lo stato dell'arte e gli scenari futuri

Chatbot e confronto con le app: lo stato dell'arte e gli scenari futuri

I chatbot rientrano tra i maggiori trend del 2017. Qual è, però, ad oggi il bilancio sul loro utilizzo e quali sono le sfide future?

Un profitto pari a oltre 41 miliardi di dollari solo nel 2015 e che si prevede possa raddoppiare entro il 2020: basterebbero solo questi due numeri sul mercato delle app (forniti dalla società californiana App Annie, ndr) per spiegare perché non c’è business che possa fare a meno oggi di ‘andare’ sui market store. Alcuni dati più ‘robusti’ riguardo all’uso delle applicazioni mobile vengono, invece, dal Flurry’s State of Mobile Europe Report 2016 secondo cui l’uso di app sarebbe cresciuto, rispetto allo scorso anno, di circa il 28%. A sorprendere non è tanto il fatto che gli utenti trascorrano sempre più tempo sulle applicazioni per il proprio smartphone – cosa che, per altro, va di pari passo all’aumento delle connessioni mobile – ma il tipo di app che sembra spopolare: se si guarda per esempio alla sola fetta del mercato italiano, infatti, sugli abbondanti 3 milioni di applicazioni diverse disponibili sui market store appena trenta sono quelle che il grosso degli utenti scarica sul proprio smartphone e solo cinque quelle che utilizza su base giornaliera. Di che app si tratta? Niente giochi o musica (che, anzi, perdono terreno rispetto a qualche tempo fa), né app per la personalizzazione di foto e immagini (ci pensano già le lenti di Snapchat e i filtri di Facebook): a crescere di più quanto a utilizzo sono le app di messaggistica istantanea con un +44% registrato a livello globale. Le ragioni sono tante, ma riguardano principalmente il fatto che proprio queste app sono diventate nel tempo una sorta di factotum, integrando servizi prima distribuiti su piattaforme diverse: se Messenger – l’esempio è tutt’altro che casuale – dà la possibilità di chiamare o videochiamare, scambiare file, giocare anche in sessioni live e molto altro, insomma, perché l’utente dovrebbe scaricare ulteriori app che assolvano alle singole funzionalità? Convergenza è, del resto, la parola chiave della digital disruption, con buona pace degli oltre 5 milioni di sviluppatori di applicazioni e di chi investe anche budget corposi per pubblicizzare la propria app. C’è chi sostiene, comunque, che l’incremento dell’uso nell’app sia da attribuire almeno in parte alla sempre maggiore popolarità dei chatbot : secondo delle stime circa il 58% dei Millennial avrebbe interagito almeno una volta con uno di essi nell’ultimo anno, anche se resta da scoprire quanti di questi utenti hanno poi ‘ricontattato’ il bot.

CHATBOT: COSA SONO?

Non c’è un’unica definizione di chatbot ma, con l’apertura alla comunità degli sviluppatori della piattaforma di messaggistica istantanea Messenger, spesso coincide con quella di assistente digitale. Come ha fatto notare Antonio Candela, sviluppatore e organizzatore del ChatBot Day, in un’intervista ai nostri microfoni, un chatbot può essere definito come «una micro-applicazione che vive all’interno di un’applicazione di messaggistica (come ad esempio Facebook Messenger) e ne sfrutta l’esperienza conversazionale allo scopo di erogare un servizio. La facilità d’uso e la rapidità con il quale eroga il servizio, per il quale è stato costruito, lo rende un ottimo “assistente digitale” più che gli elementi di intelligenza artificiale e comprensione del linguaggio».

È REALMENTE IL LORO ANNO?

I chatbot rientrano tra i maggiori trend del 2017 e, ad oggi, la diffusione più consistente si è avuta grazie a determinati fattori:

  • la diffusione delle piattaforme di instant messaging;
  • un leggero declino del download delle app.

Come ha spiegato ancora Candela, però, «il diffondersi di eventi dedicati all’argomento – come il recente ChatBot Day (evento itinerante in Italia) o il ChatBot Summit – offre segnali di un consolidamento, attraverso processi di evangelizzazione e diffusione, su più ampia scala del concetto di chatbot e delle opportunità che offrono per sviluppatori e user».

Considerando il leggero declino di utilizzo e download di applicazioni, è lecito chiedersi se è giusto pensare ai chatbot come a nuove app. Il CEO di Microsoft, Satya Nadella, a tal proposito ha spiegato che «pensare ai chatbot come a “nuove App” concettualmente è corretto soprattutto se consideriamo l’evoluzione delle piattaforme di messaggistica e le nuove funzionalità che stanno introducendo – fra tutte pagamenti e scambio di valuta tra users – che proprio attraverso i chatbot diventano servizi da erogare a potenziali user». Le piattaforme di messaggistica si stanno trasformando – ha proseguito – in «veri e propri sistemi operativi in cui far vivere il proprio software, le proprie app sotto forma di chatbot. Chatbot che differiscono dalle app, cui tutti siamo abituati, soprattutto per il tipo di complessità ed esperienza d’uso con cui erogano il proprio servizio. In particolare, l’esperienza d’uso è propria delle applicazioni di messaggistica in cui vivono. Un’esperienza di tipo conversazionale – lo scambio classico di messaggi – alla quale siamo naturalmente abituati e che ha come conseguenza una facilità d’uso dei chatbot».

IN QUALI CAMPI SI RIVELANO PIÙ UTILI?

È possibile, comunque, identificare alcuni settori in cui i chatbot si sono diffusi maggiormente e in cui riscuotono più successo: tra questi, il publishing, la customer care e il customer service.

In questo momento, come ha sottolineato Candela nell’intervista ai nostri microfoni, stiamo vivendo la fase evolutiva dei chatbot dove «si stanno definendo ed evolvendo anche piattaforme a corredo come framework di intelligenza artificiale, machine-learning e NLP per l’analisi del linguaggio». Le attività di publishing, poi, riportano risultati migliori rispetto alle classiche newsletter e al DM, con un aumento delle visite per siti e blog. Per quanto riguarda, invece, l’assistenza e il supporto ai clienti è possibile notare come i chatbot siano «un nuovo ‘touchpoint’ con cui aziende e clienti entrano in contatto. Facilità d’uso ed esperienza conversazionale trasferiscono un’immagine dell’azienda, che si serve del chatbot, più aperta e disponibile al confronto, con il plus dell’immediata risposta alle richieste della clientela».

UN PRESENTE INCERTO E LE SFIDE FUTURE

Secondo il parere di Antonio Candela, inoltre, la sfida futura che dovranno affrontare i chatbot sarà estendere il proprio campo d’azione all’esterno delle applicazioni di messaggistica e «inserirsi in modo naturale nel quotidiano configurandosi – questa volta per davvero – come assistenti digitali». L’idea è quella di avere strumenti sempre più collaborativi che possano gestire la nostra agenda, l’auto e addirittura la casa, e ci sono anche «i primi esperimenti che parlano di gestione dell’ambito medicale» – come affermato sempre da Candela nel corso di un’altra intervista, rilasciata in occasione del ChatBot Day 2016 – per arrivare poi alla gestione di tutti i dispositivi connessi che che ci circondano.

Una analisi di Marketing Land ha però dimostrato come l’entusiasmo iniziale verso il fenomeno chatbot si sia quasi esaurito, ma il dato più interessante è quello che mostra come il 78% degli utenti statunitensi non sappia cosa siano. Una serie di fattori ha portato a questo stop improvviso: tra questi, la difficoltà di utilizzo, lo scarso livello di personalizzazione e soprattutto un vecchio nemico, cioè i siti web ottimizzati per il mobile.

Probabilmente il fattore che ha decretato l’arresto della crescita è stato il modo in cui si è parlato dei chatbot agli albori, illustrandoli agli early adopter come strumenti in grado di fornire risposte personalizzate ed un livello d’assistenza pari a quello di un umano. La delusione nel non riscontrare questo tipo di conversazione creerebbe solo frustrazione, non facendo così riutilizzare il bot. L’unico chatbot in grado di soddisfare in parte gli utenti sembra essere M di Facebook, ma il problema è che al momento è un servizio disponibile per una piccola élite di sperimentatori e sarebbe in grado di soddisfare solo il 30% delle richieste quando non intervengono degli operatori umani, segnando così un tasso di insoddisfazione altissimo pari al 70%.

A seguito di questi risultati è facile intuire come il giorno in cui tutti avremo un assistente digitale in grado di soddisfare al 100% le nostre richieste sia ancora distante. Quanto? Secondo Laurent Landowski, supervisore del progetto M, potrebbero volerci dieci anni o forse più. Ciò significa che parlare di una scomparsa o sostituzione delle app appare abbastanza prematuro.

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