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Perché chi investe in content marketing dovrebbe considerare il ciclo di vita del contenuto (e provare ad allungarlo)

Cos'è e come allungare il ciclo di vita del contenuto

Cos'è il ciclo di vita del contenuto? Di quali fasi si compone? E non c'è davvero soluzione alla "morte" di un contenuto? Un approfondimento.

Non c’è azienda o brand che non abbia imparato a fare i conti con il ciclo di vita del prodotto . Allo stesso modo un content creator o chiunque investa in content marketing dovrebbe tenere in giusta considerazione il ciclo di vita del contenuto se ha a cuore la reale (ed efficace) riuscita della propria strategia. Sia che si tratti di un blog post, sia che si tratti di una newsletter o di una Storia su Instagram ogni contenuto infatti nasce, cresce, muore. La sfida per un content creator, così, è allontanare il più possibile il momento della morte del contenuto o perlomeno riuscire dilatare il più possibile la curva della sua crescita.

Le quattro fasi del ciclo di vita del contenuto

Tradizionalmente quattro fasi sono state individuate per il ciclo di vita del contenuto: l’analisi, la pianificazione, lo sviluppo e la gestione.

ciclo di vita del contenuto fasi

Fonte: Marina Pitzoi

Ciascuna di queste fasi comprende, a sua volta, una serie di operazioni e task che mettono in gioco competenze ed esperienze del content creator e che mirano a garantire al contenuto le migliori performance possibili.

Nella fase di analisi, per esempio, vanno tenuti in considerazione una serie di aspetti diversi: chi è l’utente tipo a cui si intende parlare? Di che temi e argomenti si sta interessando al momento? In che ambienti lo sta facendo? Prima e per arrivare alla definizione di una strategia di contenuti bisogna, insomma, identificare delle buyer personas a cui si intende parlare, analizzarne le abitudini digitali (quanto tempo rimangono connesse, su quali piattaforme, impegnate in quali attività, ecc.) e inserire queste abitudini in un quadro più ampio che può avere a che vedere, per esempio, con trend e hot topic del momento. Non a caso c’è chi sottolinea che non si può fare content marketing senza prima aver fatto social media monitoring, ossia senza aver usato la Rete in funzione d’ascolto e non solo delle conversazioni che riguardino il proprio brand.

La seconda fase del ciclo di vita del contenuto è quella che riguarda più direttamente il lavoro del content creator. Pianificare vuol dire certamente calare il contenuto all’interno di un calendario editoriale ben stabilito e che può coinvolgere diversi media – si può avere, cioè, un piano editoriale per i social e un piano editoriale per il blog aziendale, per esempio, ma è bene che i due “parlino” tra di loro e rispondano a una linea editoriale comune, a una strategia organica – ma, in questa fase, significa soprattutto guardare a come con una serie di accorgimenti tecnici si possa ottimizzare il contenuto e renderlo più performante. In ottica seo questo vuol dire, per esempio, che una volta scelti argomenti e topic da trattare si dovrebbero usare SEO tool (da AnswerThePublic a SEOZoom, a seconda del budget che si ha a disposizione e tenendo conto che molti di questi strumenti per content creator hanno sia versioni premium sia versioni free con funzionalità ridotte, ndr) per la ricerca di keyword. Su un piano di usabilità, invece, la pianificazione di un contenuto può avere a che vedere con la sua divisione in paragrafi e la scelta di paratesti – immagini, infografiche, ecc. – che lo rendano più leggibile. Ancora, però, pianificare un contenuto significa tenere conto del canale a cui è destinato e usare forme e linguaggi di caso in caso più idonei.

La fase dello sviluppo del contenuto è certamente quella più pratica. Tra le tante considerazioni che si potrebbero fare a riguardo, vale la pena sottolineare soprattutto che in questa fase è fondamentale mettere in campo competenze e professionalità giuste: per questa ragione, se anche nelle fasi precedenti di ideazione e progettazione strategica del contenuto le aziende, i reparti comunicazione, i singoli content creator hanno “fatto da sé”, è importante che si affidino ora a professionisti specializzati – e, cioè, a seconda delle necessità a fotografi, videomaker, content writer e via di questo passo – anche quando questo significhi esternalizzare o cercare risorse al di fuori del proprio team.

L’ultima fase, quella della gestione, è quella che può aiutare davvero ad allungare il ciclo di vita del contenuto. Essa ha a che vedere, infatti, innanzitutto con la sua distribuzione . Va da sé che il contenuto debba essere distribuito in primo luogo sul canale per cui è stato ideato: la pagina Facebook, delle Storie su Instagram, un pubbliredazionale su una rivista di settore e via di questo passo. Non è detto, però, che si debba trattare necessariamente di una distribuzione singola: si può, cioè, programmare una distribuzione ripetuta del contenuto a distanza di tempo o in fasce orarie diverse e per parlare ad audience differenti. Soprattutto, si può pensare di rimediare il contenuto su canali diversi – e l’esempio di più immediata comprensione è, in questo senso, quello di un contenuto social che venga distribuito con le giuste accortezze tanto su Facebook, quanto su LinkedIn o sugli altri profili aziendali o di proprietà di chi investe content marketing, a patto di assicurarsi che, di volta in volta, sia data al contenuto la forma più adatta al canale in questione. La fase di gestione comprende però anche il momento dell’analisi: come sta performando il contenuto? Che risultati si stanno ottenendo? Che lead concreti ha già generato?

Quando fa parte di una più ampia strategia di comunicazione o di personal branding , del resto, una content strategy non può non rispondere a obiettivi precisi e prefissati e non seguire il mantra dell’attrai, converti, chiudi, delizia.

Come allungare il ciclo di vita del prodotto con content nurturing e repurposing content

In considerazione di tutto questo, e del fatto cioè che la creazione di un singolo contenuto può avere costi ingenti sia da un punto di vista economico sia per la quantità di risorse impiegate, non è difficile giustificare la volontà di allungarne il più possibile il ciclo di vita.

Ci sono casi in cui questo non è possibile: si pensi per esempio ai contenuti temporanei, ossia alle Storie che si possono pubblicare ormai su praticamente qualsiasi piattaforma e che hanno la durata di ventiquattro ore. In tutti gli altri casi il content nurturing e il repurposing content possono aiutare a mantenere in vita anche i contenuti più vecchi. Le strade da seguire sono almeno due: si può decidere di “nutrire” i contenuti che si sono dimostrati più di successo, aggiornandoli continuamente e lavorando per renderli sempre attuali, in modo che non smettano di rappresentare contenuti di valore per i propri destinati o, al contrario, si può lavorare per allungare la vita di quei contenuti che in un primo momento non avevano portato ritorni soddisfacenti, investendo cioè sul loro valore “di coda lunga”.

In ogni caso, se il dubbio è se e quanto convenga davvero aggiornare costantemente i propri contenuti, andrebbero tenuti in mente studi come quello di IZEA secondo cui la durata in vita di un post sarebbe quasi 24 volte maggiore allo standard ormai tradizionalmente accettato di 30 giorni (la ricerca in questione si riferisce però ai solo blog post, ndr). Durante questo ciclo di vita del contenuto allungato si alternerebbero, in particolare, tre fasi:

  • quella dello shout, che si conclude entro la prima settimana e produce un picco ripido iniziale di impression;
  • quella dell’echo, che può durare fino a un mese dal momento della pubblicazione o distribuzione del contenuto, quando il 72% delle impression del post sono state ormai raggiunte;
  • quella del reverberate, che è quella forse meno studiata anche per via del fatto che metriche e kpi rese disponibili dai principali tool per content creator sono poco efficaci sulla coda lunga; nonostante questo, a questa fase inoltrata del ciclo di vita del contenuto sono riferibili spesso quasi il 30% delle sue impression e intrerazioni totali.
allungare il ciclo di vita di un contenuto

Fonte: IZEA/Clearslide

È presto spiegato insomma, soprattutto in considerazione di questo ultimo punto, perché non si dovrebbe mai abbandonare a se stesso un vecchio contenuto, né lasciarlo morire.

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