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Come si vestono i politici e perché quelle di moda sono anche scelte di comunicazione

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C’è in come si vestono i politici un significato profondo e legato ai loro valori di riferimento e alle loro scelte di comunicazione?

Non solo il linguaggio gestuale e non verbale, anche come si vestono i politici potrebbe suggerire molto rispetto ai loro valori e a quelli dell’elettorato a cui si rivolgono, quando non addirittura essere frutto di una – attenta e ben ponderata – strategia di marketing politico.

Melania Trump e quell’outfit sbagliato che dice molto sull’importanza dei look in politica

La cronaca più recente, del resto, ha visto la first lady americana Melania Trump nell’occhio del ciclone quando, salendo sull’aereo che l’avrebbe portata in visita ai figli dei migranti fermati al confine col Texas, è stata fotografata con una giacca di Zara che riportava sul retro la scritta «I really don’t care. Do U come si vestono i politici melania trump giacca di zaraUna sfortunata coincidenza? O semplicemente l’outfit decisamente meno azzeccato per un viaggio istituzionale di quel tipo? Difficile pensarlo: che abbiano o meno accanto una figura professionale col compito di controllare come si vestono, infatti, i politici devono aver imparato in questi anni che tutto, anche il dettaglio più piccolo, contribuisce a creare la loro immagine pubblica, il proprio brand personale. Nel look di lady Trump, così, c’è chi ha letto una provocazione rispetto alle politiche migratorie del marito e chi, invece, ha fatto notare un messaggio per lo meno in contraddizione con il discorso e il tono compassionevole sfoggiato più tardi durante l’incontro ufficiale con le associazioni che si occupano di gestire gli arrivi dei migranti (discorso in cui la first lady si sarebbe chiesta cosa potesse fare personalmente, prima che come personaggio di spicco, ndr). Secondo la versione ufficiale, quella avanzata direttamente dal marito tramite Twitter, se c’era una critica nella scelta da parte di Melania di indossare quella giacca era rivolta principalmente alla stampa, sempre alla spasmodica ricerca di «fake news» sulla coppia presidenziale.

Che fosse o meno una chiara dichiarazione d’intenti, la giacca di Zara di lady Trump racconta comunque qualcosa su come stanno cambiando nel tempo la percezione e il ruolo stesso attribuito alla first lady americana. Almeno le ultime due consorti presidenziali, infatti, seppure in maniera diametralmente opposta, hanno mostrato di stare strette in ruoli e compiti prettamente rappresentativi e, tra i diversi modi in cui hanno provato a comunicarlo, ci sono appunto le scelte legate agli outfit. Non più soltanto tailleur e abiti da cocktail discreti, che rimandassero a un ruolo istituzionale e contribuissero a costruire un’immagine seria –  forse, a tratti, fin troppo seriosa – e di devozione alle cause dello Stato: tanto Melania Trump quanto Michelle Obama hanno sfruttato il loro guardaroba innanzitutto per comunicare se stesse come donne, ma senza dubbio anche per avvalorare le posizioni politiche dei rispettivi partner.

Come si vestono i politici: una sfida tra first lady… e rispettivi consorti

Fin dalla cerimonia di passaggio di consegne, così, la prima ha optato per capi dalla linea tradizionale – non a caso, il riferimento più volte fatto è stato al look di Jacqueline Kennedy nella stessa occasione –, mai esagerati nelle forme e che suggerissero un’idea classica di eleganza e femminilità, che rispecchia poi la ventata tradizionalista nella concezione stessa del ruolo sociale della donna della neo amministrazione repubblicana.

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Il robe manteau azzurro polvere scelto da Melania Trump per la cerimonia di insediamento del marito, che ricorda il look di Jacqueline Kennedy nella stessa occasione.

Lady Trump, poi, anche nel caso di visite istituzionali e incontri con altri leader del mondo, raramente ha scelto di indossare capi di stilisti locali, preferendo sempre vestire all’occidentale. Durante il viaggio in Cina, per esempio, ha scelto due abiti orientaleggianti nel taglio e nello stile ma disegnati da un luxury brand italiano come Dolce&Gabbana: il messaggio è chiaro – e, riguardo a come si vestono i politici e chi sta loro intorno ce n’è sempre uno, forte o velato che sia – e avrebbe a che vedere da un lato con la necessità di rimarcare la politica dell’America first (qui sarebbe più il caso di dire Occidente first) e, dall’altro, con quella di rappresentare in maniera iconica la realizzazione dell’american dream per lei che da non americana è arrivata ad occupare la Casa Bianca.

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Uno dei look firmato D&G e scelto da Melania Trump per la visita ufficiale in Cina.

Decisamente più smart e contemporanee le scelte, in fatto di moda, di Michelle Obama. Alla first lady americana è andato soprattutto il merito di saper mischiare stili e ispirazioni, anche quando si trattava di abbinare abiti di haute couture con capi più decisamente accessibili e di mercato: è noto, per esempio, che durante la cerimonia d’insediamento nel 2008 scelse di indossare dei guanti di J. Crew – un fashion brand americano di fascia medio-bassa le cui quotazioni salirono immediatamente dopo l’occasione, come mostra uno studio sull’effetto Michelle Obama sul settore della moda – e che, poco tempo dopo, scelse un cardigan dello stesso marchio quando si trattò di farsi intervistare durante uno dei più noti late show della televisione americana.

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Per il giuramento del marito, Michelle Obama abbinò al completo di Isabel Toledo un paio di guanti di un noto marchio low cost inglese.

Il messaggio più forte forse trasmesso dai look di Michelle Obama è stato e continua ad essere, così, di non intendere il vestire come la necessità di trovare una divisa e restare fedeli a questa, quanto di cercare sempre di esprimere se stesse e al meglio – messaggio che, del resto, è lo stesso di quello dei piani di allenamento e contro l’obesità tanto cari all’ex first lady e che ha a che vedere, in fondo, con quell’idea di empowerment femminile che è stato alla base della sua mission in Casa Bianca.

Se ragionare su come vestono i politici uomini – in Occidente almeno – è reso più complesso dalle alternative limitate che hanno a disposizione e dall’imperativo dell’abito scuro, anche le scelte di Obama e Trump dicono comunque molto non solo sui loro mandati ma anche e soprattutto sui valori di riferimento del proprio elettorato.

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Quella volta che, durante una conferenza stampa, Obama indossò un completo color avana fece molto parlare di sé, proprio perché solito indossare vestiti scuri.

Il primo sarebbe da contare, per esempio, nella folta schiera di chi – da Steve Jobs a Mark Zuckerber – sceglie, strategicamente, di vestire sempre allo stesso modo: in una vecchia intervista per Vanity Fair sull’Obama way di fare le cose, l’ex presidente aveva raccontato infatti come nel suo guardaroba si trovassero soltanto vestiti blu o grigi e che ciò fosse soprattutto un modo per tagliare il numero delle decisioni da prendere nell’arco della giornata.

Chi ha analizzato il modo di vestire di Donald Trump non ha potuto fare a meno di notare come anche i look scelti dal Presidente abbiano sempre una forte connotazione politica. Trump si vestirebbe, infatti, «come un magnate di Wall Street» degli anni Ottanta: il riferimento, ovvio, è all’impero commerciale ed economico che lui stesso ha creato e che ancora lo identifica, ma anche al sogno vagamente reaganiano di rendere di nuovo grande l’America. Dettaglio immancabile, la cravatta: se la tendenza è stata in questi anni di abbandonarla anche in politica a favore di un look più informale, c’è chi sostiene che rinunciarci sarebbe per Trump cedere a un look poco autoritario e più adatto al middle-management; per questo anche nelle situazioni meno istituzionali ne ha indossate di classiche, annodate in modo che arrivassero fin sotto la cintura – in parte contravvenendo alle regole per un nodo perfetto, ma in modo che potesse essere indossata anche a giacca aperta e diventasse il centro focale dell’intero look – e soprattutto di colori sempre molto accesi, normalmente il rosso, simbolo per eccellenza del partito repubblicano.

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Il look iconico di Donald Trump.

Quando l’abito fa il marketing: ovvero perché per un politico un outfit non è solo una scelta di moda

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Per la segretario di Stato Madeleine Albright anche i gioielli erano importanti nel look di una politica donna.

L’idea che anche come si vestono i politici faccia parte del messaggio che vogliono trasmettere e che, proprio per questo, è un aspetto che andrebbe curato in maniera altrettanto strategica, comunque, non è nuova veramente. Già agli inizi del Novecento c’erano sociologi della moda come Simmel che sottolineavano come il vestiario fosse, soprattutto nelle civiltà capitalistiche occidentali, allo stesso tempo uno strumento per segnare la propria appartenenza a un gruppo sociale e per distinguersi all’interno di esso. Più di recente c’è stato chi, proprio in riferimento alla possibilità che il look si trasformasse per il politico in uno strumento di marketing, ha parlato di power dressing: significa essenzialmente che il  modo di vestire più adatto per il singolo leader politico, nella giusta occasione, può rivelarsi una vera e propria «moneta» nelle sue mani. Lo doveva sapere bene un personaggio come Madeleine Albright (segretario di Stato durante il secondo mandato di Bill Clinton, ndr) che più volte ammise di scegliere e utilizzare i suoi gioielli – sempre vistosi e appariscenti e mai scontati – come fossero parte del suo «arsenale diplomatico» e perché le giovassero in un gioco di forze con gli interlocutori.

Soprattutto quando si tratta di donne al potere, del resto, il look da un lato rischia di assumere più importanza di quanto dovrebbe, fino a ecclissarne quasi completamente messaggi o azioni politiche (basti pensare a come le politiche italiane, da Laura Boldrini a Virginia Raggi ed Elena Maria Boschi, siano state spesso al centro di aspre polemiche sessiste partite proprio per le loro scelte in fatto di vestire, ndr), dall’altro è tra gli strumenti più potenti per distinguere il proprio brand politico.

Le formule scelte dalle politiche donne per distinguere i loro messaggi e le loro proposte sono state, però, di volta in volte diverse. C’è chi ha puntato sulla tradizione, sul legame col territorio o sulla propria appartenenza etnica: è quello che hanno fatto soprattutto le leader del mondo africano che hanno portato in politica stoffe colorate, gioielli naturali e copricapi della tradizione, ma anche personaggi ben noti alla politica internazionale come il premio Nobel e consigliere di Stato birmano Aung San Suu Kyi o l’ucraina Yuliya Tymoshenko.

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Luisa Diogo, ex primo ministro del Mozambico.

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Aung San Suu Kyi

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Yulia Tymoshenko

E c’è chi invece, forse nella convinzione di risultare più credibile e meno frivola, ha adottato anche nel vestire uno stile completamente maschile. È quello che fa, per esempio, Hillary Clinton indossando in quasi ogni occasione tailleur pantaloni dalle linee essenziali come quello bianco di Ralph Lauren sfoggiato in occasione della sua ufficializzazione a candidato democratico per le presidenziali del 2016.

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Hillary Clinton, appena confermata candidato democratico per le presidenziali del 2016, in un tailleur bianco e dalle linee maschili firmato Ralph Lauren.

Anche quello della Merkel sembra essere un dresscode politico che strizza l’occhio a modelli prettamente maschili, nonostante l’abbondanza di colori.

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L’outfit tipico di Angela Merkel.

Accade spesso del resto che, dal management alla politica appunto, quando si trovano a riscoprire un ruolo per lungo tempo declinato al maschile, le donne provino innanzitutto a imitare le scelte dei loro predecessori uomini, ma è altrettanto lecito chiedersi se una sensibilità decisamente più al femminile non possa giovare invece al raggiungimento dei propri obiettivi o, al minimo, alla piena espressione di se stesse.

Un ottimo esempio viene, in questo senso, dal passato e dalla scelte di moda di Margaret Thatcher: nota per le sue idee conservatrici e per il carattere autoritario che le giovò il soprannome di Lady di Ferro, non rinunciò mai a completi che, pur nella loro semplicità, ne sottolineassero la femminilità e anzi optò spesso per capi come i sottogiacca pussy-bow (col fiocco al collo, ndr) che ne addolcivano la figura.

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Margaret Thatcher indossava spesso completi molto femminili e che ne addolcissero la figura.

La sua erede diretta sembra essere Theresa May: nonostante uno stile assolutamente classico, infatti, il primo ministro inglese non rinuncia mai a un dettaglio significativo come le scarpe; qualche volta a limite del bizzarro, non sono solo diventate un suo elemento distintivo ma, per sua stessa ammissione, in molte occasioni si sono dimostrate un modo per «rompere il ghiaccio» anche con gli avversari politici.

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Le scarpe sono un dettaglio fondamentale nei look di Theresa May.

Uno sguardo a come si vestono i politici italiani

Molto più che semplice apparenza, il look di un politico si rivela insomma un importante segnale sociale e un altrettanto forte strumento di mediazione attraverso cui esercitare il famoso soft power. È quasi spontaneo, allora, chiedersi come si vestono i politici di un paese come l’Italia dalla lunghissima e ben riconosciuta tradizione nella moda.

Curiosamente, il power dressing non sembra essere ancora pienamente entrato nelle priorità, d’immagine per lo meno, dei politici italiani se non come elemento prettamente formale d’appartenenza (le cravatte verdi della Lega Nord), quando non ridotto a un segno distintivo ma dal valore di gadget (ancora, le felpe con gli slogan leghisti indossate da Matteo Salvini).

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In Italia il power dressing sembra essere ancora sottovalutato dai politici e ridotto a una questione di gadget come le cravatte verdi della Lega o le felpe di Matteo Salvini.

In qualche caso il look del politico italiano rimanda soprattutto, e in maniera chiara, all’ambiente di provenienza: è il caso del neo-presidente del Consiglio Giuseppe Conte i cui abiti tre pezzi tradiscono chiaramente la provenienza dal mondo giuridico, esattamente come il doppiopetto di Silvio Berlusconi è stato da sempre un richiamo esplicito al mondo dell’imprenditoria anni Ottanta da cui proviene come self-made man.

In altri casi le scelte di outfit sono programmatiche: noto è il servizio fotografico per il settimanale Chi in cui Matteo Renzi posava in giubbotto di pelle e t-shirt bianca (per questo subito paragonato a Fonzie di Happy Days, ndr) a sottolineare la completa «rottamazione» del PD di cui si faceva promotore per venire incontro alle sensibilità nuove della sinistra italiana.

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Uno scatto del servizio fotografico per “Chi” di Matteo Renzi.

Né si può dire infine che, a metà strada tra strategie di marketing politico ed estrema spettacolarizzazione, non c’è chi tra i politici italiani sappia sfruttare la moda soprattutto per fare di se stesso un brand: Oscar Giannino docet.

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Oscar Giannino è considerato il “dandy” della politica italiana.

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