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Come vestirsi a lavoro e perché sempre più leader scelgono di essere minimal

Come vestirsi a lavoro e che cosa c'entra con il personal branding

Puntare all’originalità vs indossare sempre lo stesso capo: perché come vestirsi a lavoro è una scelta più strategica di quanto si immagini.

Come vestirsi a lavoro? È una domanda a cui centinaia di consulenti di immagine hanno provato, nel tempo, a trovare una risposta… che, però, non esiste. Non in maniera univoca, almeno. Non solo, infatti, il mercato del lavoro è in costante e profonda trasformazione e ciò incide su tutte le scelte, anche le più modaiole, a cui i professionisti sono chiamati ogni giorno. Anche senza voler considerare quei mestieri che richiedono di indossare una divisa o degli abiti da lavoro, l’outifit giusto dipende molto dal singolo ambiente e, sarebbe da aggiungere, dal singolo team; per molti settori si sono cristallizzati nel tempo dress code anche piuttosto rigidi; senza contare che ci sono importanti differenze culturali anche nel mondo di intendere i look più adatti per andare a lavoro.

Una regola, però, vale a tutte le latitudini e indipendentemente dal mestiere: sentirsi a proprio agio. Quando si sceglie come vestirsi a lavoro, infatti, andrebbe evitata qualsiasi fonte di stress o ansia: non solo abiti che intralciano, fisicamente, lo svolgimento delle proprie mansioni, anche abiti adatti al tipo di attività da svolgere ma in cui non ci si sente completamente comodi e se stessi, infatti, possono rappresentare un rischio concreto per la produttività del lavoratore.

Quando l’abito fa il monaco: ovvero, l’effetto priming applicato a cosa si indossa a lavoro

Anche a non voler dare ragione al vecchio adagio secondo cui è l’abito che fa il monaco, alcune ricerche di stampo psicologico hanno provato a dimostrare come i vestiti che si indossano giochino un effetto priming. E non solo – come si è comunemente portarti a pensare – sugli altri, che potrebbero farsi un’idea sulla personalità di chi hanno davanti proprio a partire dalle sue scelte in fatto di vestire, ma anche e soprattutto sulla persona stessa. Secondo una ricerca inglese, infatti, ogni individuo è inconsciamente portato ad adottare tutte quelle caratteristiche, tutti quei comportamenti che normalmente si associano a un determinato tipo di outfit. Il team dell’Università di Hertfordshire che ha curato lo studio ha chiesto, nello specifico, a un gruppo di universitari di indossare t-shirt di un supereroe come Superman: questi non solo dicevano di sentirsi «più attraenti» e «migliori» rispetto ai compagni, ma avrebbero ottenuto anche risultati più performanti in test mentali pensati ad hoc. Allo stesso modo allora è lecito pensare che outfit eleganti o che richiamino l’idea di potere e leadership possano stimolare nel lavoratore atteggiamenti e comportamenti in linea con il modo di vestire. Se di frame si sta parlando, però, non si può non fare riferimento al fatto che presentarsi a dipendenti, collaboratori e superiori o possibili clienti e stakeholder vestiti in maniera professionale e impeccabile suggerisce una credibilità e un senso di professionalità maggiore che, secondo altri studi, si concretizzano in risultati tangibili come maggiori probabilità di essere assunti o di raggiungere i propri obiettivi mensili, maggiore fiducia e spirito di collaborazione da parte dei colleghi e in qualche caso addirittura stipendi più alti. Quasi a dire che un lavoratore diventa ciò che indossa.

Ci sono, così, numerosi studi e ricerche che affrontano la questione del come vestirsi al lavoro anche in maniera prettamente settoriale. Se si guarda al mondo del management, per esempio, esisterebbero delle evidenze secondo cui un manager – soprattutto se di top level – che indossa abiti sartoriali e su misura sia percepito come mediamente più affidabile di chi invece opta per abiti di fattura industriale. Come già si accennava comunque, anche quando non si tratta di indossare vere e proprie divise, ci sono outfit che sono diventati nel tempo veri e propri distintivi di determinati ambienti professionali. Per restare ancora in ambito aziendale, un manager uomo raramente scamperà, per esempio, all’obbligo del blu o del grigio e degli abiti dal taglio classico, esattamente come immancabili nel guardaroba di una manager donna saranno i completi gonna o pantaloni scuri da abbinare a scarpe alte.

come vestirsi a lavoro ragionier fantozzi

Anche nel modo di vestire, il personaggio inventato del ragionier Fantozzi è diventato la metafora della classe impiegatizia italiana.

Non è solo una questione di ruoli, anche se, portato all’estremo, un principio come questo ha fatto sì che si cristallizzassero nell’immaginario comune look tipici e un po’ stereotipati di diverse professioni, come quello del ragionier Fantozzi. È quello che, già negli anni Sessanta, il sociologo Blumer aveva indicato come selezione collettiva: gli individui che interagiscono regolarmente e che vivono lo stesso tipo di esperienze sono portati a sviluppare gusti simili, anche per quanto riguarda il vestire. Non stupisce insomma ogni professione adotti dei parametri, generali e universalmente validi al suo interno, rispetto a ciò che è considerato opportuno indossare a lavoro e cosa no.

Come vestirsi a lavoro: una rivoluzione generazionale

Né che, negli anni, sia completamente cambiato il modo di vestirsi a lavoro. Informalità sembra essere, infatti, la parola d’ordine se si guarda alla maggior parte degli ambienti lavorativi e outfit eleganti e molto formali, in molti settori, hanno lasciato il posto a tenute da lavoro più comode, pratiche e casual; anche dove ciò non è accaduto spontaneamente e dove è richiesta ancora una certa classicità nel modo di vestire è stato introdotto il casual Friday o altre occasioni che, con cadenza regolare, permettono ai dipendenti di andare a lavoro vestiti in maniera più sportiva e personale. Se gli stili sono per definizione figli del tempo e della cultura del momento, c’è chi sostiene che la virata casual negli uffici e negli altri contesti lavorativi sia legata all’ascesa di una nuova generazione di lavoratori Millennial e del modello imperante della Silicon Valley.

Nel primo caso si tratta di considerare che non solo le aspettative che i più giovani hanno rispetto al mondo del lavoro sono diverse, ma diversi sono soprattutto le loro abitudini e lo stesso approccio che hanno alla carriera. Non stupisce allora che anche come vestirsi a lavoro sia per loro, rispetto alle generazioni precedenti, una questione meno rilevante. Sempre più abituati a modalità flessibili e smart di lavoro, passano quasi senza soluzione di continuità dal farlo in tenuta da yoga davanti al PC di casa al farlo in t-shirt in uffici che sono diventati anche questi, nell’architettura degli ambienti, sempre più informali e casual. I quartieri generali di aziende come Google e Facebook hanno segnato la strada in questo senso: nel tentativo di favorire la condivisione di idee, capacità, motivazione, di rafforzare lo spirito di gruppo e di rendere più produttiva la giornata lavorativa stessa, sono stati soprattutto i big della sharing economy ad adottare la filosofia dell’informale, nei rapporti come nel vestiario appunto. Come si accennava, del resto, è stata la Silicon Valley a sdoganare – e ben prima dell’arrivo dei giganti del digitale – la moda del business casual: pantaloni comodi come l’iconico pantalone khaki al posto di quelli dal taglio classico e non più l’obbligo del colletto, quanto il via libera a t-shirt con stampe che richiamano tra l’altro con una certa cultura geek.

La moda del capsule wardrobe: tutti i vantaggi del vestire sempre allo stesso modo (o quasi)

Ancora dalla Silicon Valley, del resto, vengono i migliori esempi di capsule wardrobe. È noto che Mark Zuckerberg, il papà di Facebook, ami indossare jeans blu e t-shirt grigie, come iconici sono rimasti i dolcevita neri di Steve Jobs (dolcevita che, leggenda vuole, siano stati comprati a centinaia dallo storico CEO di Apple direttamente da uno stilista giapponese, ndr). Non sono gli unici due leader che hanno scelto di vestirsi sempre allo stesso modo: per fare un’incursione nel mondo del fashion c’è chi come Michael Kors ha optato per un look minimalista e… sempre lo stesso; un po’ quello che hanno fatto nel giornalismo Tom Wolfe e, in campo scientifico, persino figure come Albert Einstein.

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Mark Zuckerberg è tra i tanti leader, politici, VIP che scelgono di indossare sempre gli stessi vestiti. In questo caso jeans e t-shirt grigia.

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Gli iconici dolcevita neri di Sreve Jobs.

Perché ridurre al minimo il proprio guardaroba e che vantaggi ci sono? Com’è facile immaginare, scegliere di vestire sempre allo stesso modo ha diverse conseguenze pragmatiche sulla vita di tutti i giorni, anche al di fuori di quella lavorativa: si risparmia tempo che, altrimenti, si dedicherebbe allo shopping e alla ricerca di capi che soddisfino i propri gusti e, in qualche caso almeno, si taglierebbe anche sul numero di vestiti che si posseggono con effetti virtuosi e a catena in termini di maggior risparmio, per esempio, e di minor inquinamento. C’è soprattutto una ragione però che, se si è preoccupati da come vestirsi a lavoro, potrebbe convincere a scegliere un capsule look ed è la stessa ragione che, pare, abbia spinto l’ex presidente Obama nei suoi anni di mandato a preferire soprattutto abiti scuri: vestire sempre allo stesso modo – o quasi – riduce drasticamente il numero di decisioni da prendere. Una decisione, di qualunque tipo essa sia, anche apparentemente semplice come cosa indossare, richiede infatti un certo dispendio di energie cognitive e può causare stress, oltre che richiedere tempo: tagliarne il numero di quelle non necessarie è, quindi, fondamentale se si vuole restare concentrati e focalizzati su quelle che si reputa invece più importanti e, in ambito lavorativo, potrebbe trattarsi per esempio di quelle che hanno a che vedere con il proprio path di carriera o con lo sviluppare maggiori skill settoriale.

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Per una versione “moderata” del capsule wardrobe si potrebbe puntare su una coppia di valori, il bianco e il nero nel caso di Matilda Kahl, da abbinare nei propri outfit da lavoro.

Una via di mezzo allo scegliere sempre lo stesso outfit è giocare con un numero molto limitato di combinazioni vincenti. È una soluzione che molti giudicano a portata soprattutto di lavoratrici donne, che potrebbero essere più interessate alla propria immagine e al modo di mostrarsi a sé o agli altri. Scegliere un colore, una coppia di colori, di riferimento potrebbe risultare un’ottima alternativa in questo senso: è quello che ha fatto, per esempio, Matilda Kahl (ex art director di Saatchi & Saatchi e ora Creative Manager di Sony Music Entertainment) che ha scelto il bianco e il nero come base per gli accostamenti con cui mostrarsi in pubblico.

Esempi come questi servono a ribadire, come se ce ne fosse bisogno, che ciò che si sceglie di indossare diventa un tratto distintivo, contribuisce a creare e a comunicare la propria identità e in definitiva ha a che vedere con la costruzione del proprio personal brand.

Come quando si tratta di scegliere logotipi e altri elementi visivamente significativi per un marchio , insomma, adottare un proprio stile di abbigliamento – meglio se in continuità, fuori e dentro gli ambienti di lavoro – contribuisce a rendersi chiaramente riconoscibili. Per questo non sbaglia chi sostiene che, quando si tratta di decidere come vestirsi a lavoro, semplicità e originalità non possono che camminare di pari passo.

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