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Competizione e lavoro: risorsa o limite?

Competizione e lavoro: risorsa o limite? Quando e come può essere d'aiuto

La competizione lavorativa ha effetti positivi e negativi sulla motivazione individuale. Sette domande per capire quando fa bene e quando no

La competizione è un fenomeno presente in ogni contesto sociale in quanto parte integrante dell’essere umano. Da sempre, infatti, l’uomo lotta con gli altri per potersi accaparrare risorse limitate – come cibo, amore, lavoro –  e questo rende il confronto, in tutte le varie tipologie di gruppi, generatore di ansie, invidie, rancori e rivalità. Effettivamente, la condizione relazionale e sociale dell’uomo lo spinge ad essere costantemente esposto all’osservazione e al giudizio degli altri e lo porta, conseguentemente, a temerli o ad emularli. La competizione viene quindi definita come la pressione che un individuo sviluppa verso altri individui – che ritiene di pari livello fisico, tecnico, cognitivo o conoscitivo – nel raggiungere un certo obiettivo/risultato.

In psicologia la competizione, la cooperazione e il comportamento pro-sociale sono considerate le tre strategie interattive e sociali con cui il bambino prima e l’adolescente poi fronteggiano i compiti di sviluppo, cioè quegli obiettivi che vanno raggiunti oppure i problemi che vanno risolti in modo particolare quando la loro maturazione incontra le richieste che il contesto in cui sono inseriti impone (Havighurst, 1953, 1972).

Naturalmente in base alla strategia usata durante l’infanzia si delineerà, in termini di competizione, un atteggiamento che caratterizzerà l’uomo ormai cresciuto nel suo approccio con l’altro. Va precisato che a differenza della cooperazione e del comportamento pro-sociale – entrambe strategie di sviluppo con accezione positiva – alla competizione viene attribuito un valore positivo o negativo a seconda dell’entità a cui è diretta: negativa, quindi, se si rivolge alla realtà esterna e positiva se, al contrario, è indirizzata alla realtà interna che coinvolge il sé e i propri limiti.

Infatti, la competizione acquisisce valore positivo se l’interlocutore è proprio la persona in questione, perché così diventa funzionale al riconoscimento di limiti e virtù – quindi alla propria conoscenza –, all’affermazione del sé e delle sue capacità e al superamento della frustrazione.

Dal canto opposto, se l’oggetto della competizione è l’altro e si compete per essere il migliore, la competizione non può che essere negativa e potenzialmente dannosa in quanto fa nascere una vera e propria lotta e può addirittura assumere forme distruttive.

Competizione lavorativa: 7 domande per capire come e quando funziona

Stabilite tali premesse, viene da chiedersi se il confronto e la concorrenza con i colleghi siano proficui e funzionali alla produttività lavorativa e, come sempre, la risposta sta nel mezzo. Infatti, in diversi settori della psicologia, in particolare quello del lavoro e quello sportivo, si è notato come una sana competizione favorisca la prestazione e la motivazione. Tuttavia, un’incontrollata tendenza a voler primeggiare a tutti costi sull’altro nonché l’accanimento al risultato portano ad un’eccessiva attivazione fisiologica che compromette l’esecuzione di alcune attività, specie quelle che richiedono particolare attenzione e concentrazione.

A questo punto, sette domande potrebbero fare chiarezza sulla positività o negatività della competizione al lavoro. Nello specifico:

  • Cos’è la competizione a lavoro? Ebbene, secondo alcuni la concorrenza è la spinta motivazionale (quindi anche la disponibilità) che spinge il lavoratore ad eccellere in quello che fa. Secondo questa prospettiva, un posto di lavoro dovrebbe essere competitivo e far sì che ognuno competa con l’altro.
  • Dove funziona la concorrenza? Gli studiosi Po Bronson e Ashley Merryman sostengono che quando le persone sono insicure e hanno dubbi su di sé la competizione può essere l’ingrediente giusto per sbloccare la situazione. In effetti, la competizione può funzionare in un contesto richiedente innovazione e creatività, mentre può non essere necessariamente positiva in un contesto “statico” come l’ufficio; una spiegazione plausibile potrebbe essere che in un contesto creativo la competizione diventa stimolante e funzionale alla risoluzione dei problemi, mentre nel classico contesto d’ufficio essa può connotarsi come una minaccia che blocca l’uomo, sortendo l’effetto opposto.
  • Cosa dicono le statistiche? Po Bronson e Ashley Merryman ritengono che un primo 25% delle persone si indebolisce di fronte alla concorrenza (si disimpegna), un altro 25% non ne è influenzato, mentre il 50% ne beneficia.
  • Quanto dura l’effetto della competizione? Secondo la ricerca, le persone sono meno motivate da fattori estrinseci (concorrenza, premi in denaro) e più motivate ​​da fattori intrinseci. Inoltre, fattori estrinseci possono creare un improvviso picco in termini di prestazioni, ma i fattori intrinseci hanno maggiori probabilità di generare un cambiamento comportamentale a lungo termine. Dunque, la motivazione estrinseca, come la concorrenza o le ricompense, non dura molto: solo la motivazione intrinseca – la spinta a fare bene – è ciò che spinge veramente l’uomo verso prestazioni ottimali.
  • Quando la competizione peggiora il clima lavorativo? Partendo dal presupposto che il clima lavorativo dovrebbe indurre nei dipendenti un senso di fiducia e spronarli a vivere esperienze piene e soddisfacenti, l’introduzione non ponderata di espedienti competitivi potrebbe indurre nei lavoratori un sentimento di minaccia e di paura che annullerebbe la spinta alla collaborazione e al team working.
  • Con chi si compete meglio? Dal momento che le persone sono guidate dalla prova sociale, fenomeno per cui sono spinte ad assumere come modello di comportamento quello delle persone ritenute simili a sé, risulta evidente che si compete meglio con chi si avverte vicino e somigliante a se stesso.
  • Che tipo di concorrenza può funzionare? La vera risposta al problema competizione estrinseca vs intrinseca è che le persone possono essere guidati a competere “intrinsecamente” con se stessi e, come visto precedentemente, sarebbe proprio questo tipo di competizione ad essere proficua e produttiva non solo al livello lavorativo ma, in generale, ad un livello personale.

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