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Content curation

Significato di Content curation

content curation cos'è Fare Content curation significa selezionare una serie di contenuti inerenti ad argomenti o temi specifici e provenienti da fonti diverse da riproporre alle proprie audience, anche lievemente modificati o riadattati.

Content curation vs content marketing

Per certi versi, insomma, la content curation potrebbe essere considerata una sorta di variante “a buon prezzo ” del content marketing . Non è un mistero infatti che i contenuti, soprattutto se di valore, sono oggi il modo migliore che un’azienda ha per parlare al proprio pubblico di riferimento, evitando quell’effetto reattanza che generano la pubblicità più tradizionale e il cosiddetto interruption marketing . Fare (bene) content marketing però può risultare dispendioso, non solo perché si potrebbe aver bisogno di tool ad hoc, ma anche e soprattutto perché per la creazione di contenuti efficaci e performanti non si può improvvisare ed è necessario rivolgersi a dei professionisti, in qualche caso ricorrendo all’ outsourcing se e quando non si abbiano nell’organico aziendale le professionalità giuste. Optare per una (buona) strategia di content curation – o per una strategia mista, che abbini cioè creazione di contenuti ex novo e ricondivisione di contenuti già pronti – potrebbe risultare, così, un’alternativa decisamente meno costosa, anche e soprattutto per le aziende più piccole o per i liberi professionisti per esempio.

Numeri e origini della content curation

Non a caso la pratica del trovare, raccogliere – dal web o da altre fonti – i contenuti più rilevanti su un argomento specifico e condividerli con un pubblico interessato è sempre più diffusa: secondo Curata (una delle content curation platforms di più vecchia data), l’83% dei marketer investe o ha investito nella cura di contenuti già pronti e prodotti da terzi da poter inserire all’interno dei propri piani editoriali. A fare content curation, però, non sono solo aziende e soggetti business: spesso anche utenti comuni con largo seguito, influencer o divulgatori per esempio sono impegnati – anche inconsapevolmente – in operazioni di content curating quando condividono risorse che reputano interessanti o utili per le proprie community. Già le liste di link utili che gli utenti del web 1.0 condividevano grazie a servizi come Digg o Reddit, ossia quella pratica del social bookmarking che è considerata una sorta di “antenato” del social networking, potrebbero essere considerate del resto e a ragione una forma di content curation.

Riproporre contenuti già pronti e di terzi: QUALI I vantaggi?

Che a farla sia un’azienda nell’ambito della propria strategia di contenuto o un utente che cerchi di migliorare la propria presenza sui social o stia investendo in personal branding , ci sono degli evidenti vantaggi nella content curation. Vantaggi che, risparmio di cui si è detto a parte, consisterebbero secondo Hootsuite principalmente in quattro “momenti”:

  • essere riconosciuti come esperti. Quello che insegna la parabola del giornalismo è, infatti, che davanti alla complessità, alla sovrabbondanza di fonti e al cosiddetto information overload , gli utenti si fidano, accordano credibilità e sono disposti a riconoscere una certa expertise a chi riesce a operare da gatekeeper e nella selezione di contenuti davvero utili e di qualità;
  • fare rete, far sentire la propria presenza in un determinato campo e creare occasioni di contatto e collaborazione con altre realtà influenti nel proprio settore. Anche questi sono possibili benefit della content curation, in pieno rispetto dello spirito collaborativo della Rete;
  • rendere vario e diversificato il proprio calendario di contenuti (tenendo conto sempre di qualità e originalità), azione resa più facile dalla possibilità di poter disporre di contenuti “già pronti”;
  • far affezionare e fidelizzare le proprie community (decidendo per esempio di includere tra i contenuti da riproporre anche user generated content e altri contenuti direttamente creati dagli utenti).

Content curation: come farla correttamente

Più che di content curation tool, che pure esistono e possono aiutare i content curator nelle proprie task quotidiane, chi intende investire nella riproposizione di contenuti già pronti potrebbe aver bisogno così di una sorta di check list da tenere in mente quando si tratta di scovare contenuti interessanti sul web e riutilizzarli per la propria content strategy.

La scelta delle fonti giuste è il primo passo. Ogni settore ne ha di più accreditate di altre: si pensi a riviste tematiche o blog specializzati. Anche uno sguardo agli aggregatori di notizie o a strumenti come Google Trends, però, può essere utile per capire quali siano gli argomenti caldi di discussione del momento e provare a cavalcare la cronaca. Allo stesso modo un content creator potrebbe trovare utile creare un proprio feed RSS personalizzato e tematico.

Il secondo passo inevitabile è verificare le fonti, seppure accreditate e affidabili, a cui si è attinto. Se una buona dose di fact-checking è indispensabile nel content marketing, non potrebbe non esserlo anche nella content curation. Non c’è niente di più deleterio, del resto, per il proprio brand che contribuire a diffondere fake news e informazioni dalla dubbia natura.

Dal momento che il contenuto riproposto non è originale e proprietario, quando si fa content curation è fondamentale fornire i credits. Esplicitare le proprie fonti non mette solo al riparo da eventuali problemi legali legati ai diritti d’autore, ma è anche una questione di trasparenza verso il proprio pubblico, oltre che una garanzia in più anche quando il contenuto si dovesse rivelare controverso nonostante tutte le precauzioni prese in fase di selezione.

Nulla vieta che si possano rielaborare, in maniera più o meno consistente, i contenuti in questione: anzi, per certi versi fare content curation consiste proprio in questo. Oltre a non snaturare il contenuto originale, però, si dovrebbe fare attenzione a restare coerenti con la propria immagine, i propri valori e anche e soprattutto con il tono di voce scelto per il resto delle proprie attività di comunicazione: la content curation, come il content marketing, va inserita del resto in una più organica e olistica strategia di comunicazione.

Personalizzare i contenuti che si intende riproporre, soprattutto, va fatto avendo ben in mente quale sia il proprio pubblico di riferimento, quali i suoi gusti e le sue esigenze. In altre parole, curare un contenuto già realizzato da qualcun altro dovrebbe mirare a renderlo più d’appeal per il nuovo pubblico a cui sarà proposto. Il presupposto di tutto questo è una buona conoscenza, da parte del content curator, dell’audience a cui intende rivolgersi, conoscenza che può essere ottenuta anche tramite delle attività di social media listening per esempio o utilizzando degli appositi social media monitoring tool.

Sempre per una ragione di “appetibilità” dei contenuti riproposti, spaziare va bene, ma senza allontanarsi troppo dai propri temi di riferimento.

Spesso tra i vantaggi della content curation è contata anche la possibilità di rimediare i contenuti selezionati su più canali diversi – sui diversi social in cui l’azienda o il libero professionista è presente, per esempio –, cosa che contribuirebbe tra l’altro a rendere ancora più efficace anche da un punto di vista dei costi questa attività rispetto ad altre forme di content strategy: non va dimenticato, però, in questo caso, che ogni piattaforma ha logiche e grammatiche proprie e che i contenuti selezionati andrebbero riadattati anche in questo senso.

La content curation, infine, non può fermarsi alla semplice ricondivisione di un contenuto ma deve associarsi alle più semplici attività di community management per esempio: non si può, cioè, fornire ai propri utenti un contenuto e poi non interagire con essi rispondendo ad eventuali commenti, ecc.

Non solo sui social: la strategia di riproposizione dei contenuti vale anche per blog e siti aziendali

La social media content curation è oggi la forma più diffusa di content curation. Molti social media manager ne sfruttano, più o meno consapevolmente, i principi per rimpolpare piani e calendari editoriali sui social scarni o per assicurarsi una certa variazione dei contenuti e, ancora, per non rischiare di apparire eccessivamente autoreferenziali. Come già si accennava, ci sono tool appositi per la content curation, ma anche le semplici piattaforme per la programmazione di post e pubblicazioni possono tornare utili in questo senso. Addirittura alcune funzioni native, come le liste di Twitter per esempio, possono essere sfruttate per riproporre alle proprie community contenuti che si reputano interessanti e pertinenti con il proprio ambito d’interesse. Per la content curation blog personali o corporate, così come siti aziendali o newsletter , sono però altri luoghi e veicoli idonei: anche la scelta del canale da privilegiare quando si intende riproporre dei contenuti di terzi, insomma, può e deve partire da una buona conoscenza del pubblico a cui si intende rivolgersi.

La global content curation

La comprensione di cosa possa piacere o non interessare alle proprie audience, di quali contenuti risultino per quest’ultime davvero di valore e, ancora, di quali canali siano più o meno idonei si fa particolarmente difficile quando ci si muove su una scala globale. Di fronte a un’audience internazionale, infatti, non si possono ignorare né le profonde differenze culturali, per esempio, né le diverse abitudini di consumo. Il global content creator cioè, più dei colleghi che operano esclusivamente su un piano nazionale e rivolgendosi a un’audience di fatto più specifica, deve assumere un atteggiamento glocale. Ciò significa, per esempio, che non può limitarsi semplicemente a tradurre da una lingua all’altra i contenuti che intende condividere, ma deve necessariamente adattarli, tenendo conto di stile, sfumature e peculiarità specifiche di ogni lingua e, più ancora, di ogni cultura.

Anche una volta che il contenuto è pronto per essere ricondiviso, chi fa content curation a livello internazionale non può limitarsi a impostare un cross-posting tra le più comuni piattaforme: a lui il compito di scoprire quali sono i social più utilizzati nei diversi paesi, per quali funzioni e da internauti di che età. Tutte valutazioni che potrebbero portare, per esempio, a preferire TikTok se si sta cercando di parlare a un pubblico di giovanissimi o a ignorare Facebook se si vuole parlare al pubblico di paesi come Russia o Cina, dove l’utilizzo della piattaforma di casa Zuckerberg è soggetta a restrizioni. Anche la moderazione delle conversazioni è importante quando si agisce su scala globale per evitare epic fail, commenti minacciosi, feedback fuori luogo e, in generale, contenuti inappropriati e sconvenienti.

Non è difficile capire, date premesse come queste, che la global content curation è un campo che lascia, ancora, poco spazio all’automazione: solo un intervento umano, infatti, è in grado di stabilire che una notizia sulla vittoria di una squadra di football americana probabilmente non susciterà alcun interesse in India e lo stesso non faranno contenuti a carattere politico o religioso per esempio.

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