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Contract for the Web è il nuovo piano di Tim Berners-Lee per salvare il Web con l'aiuto di tutti (proprio tutti)

Contract for the Web

Si chiama Contract for the Web ed è un nuovo piano di Tim Berners-Lee per salvare il Web partendo da governi, aziende e cittadini.

In occasione dei trent’anni del Web si era detto profondamente deluso da quello in cui, contro qualsiasi previsione, si era trasformata la sua stessa creatura. Per questo Tim Berners-Lee ha lanciato ora Contract for the Web, un «piano globale per salvare il Web» come lo ha già ribattezzato la stampa anglofona soprattutto; una sorta di contratto collettivo e partecipativo per rendere «il nostro mondo online più sicuro ed empowering per tutti» come preferiscono esprimersi dalla Web Foundation (che fa capo allo stesso Berners-Lee e da anni si batte per un web libero e aperto).

Perché Internet ha davvero bisogno del Contract for the Web

Nove principi cardine, tre per ciascuna tipologia di stakeholder – governi, aziende, cittadini – a cui si rivolge: di questo è fatto il Contract for the Web. Accettarli significa impegnarsi in prima persona contro la diffusione di fake news , le violazioni della privacy, le manipolazioni politiche e innumerevoli altri abusi che trovano oggi negli ambienti digitali terreno fertile. Le persone hanno sempre più paura delle «brutte cose» che possono succedere in Rete ed è una paura più che giustificata: così, parafrasando, Tim Berners-Lee ha spiegato a The Guardian le ragioni della nascita del suo contratto per il Web. Alla stesura hanno collaborato aziende, soprattutto le più note tra le cosiddette big del digitale, ma anche rappresentanti del governo e della società civile, organizzazioni del settore, esperti policy maker e via di questo passo: l’obiettivo principale è, infatti, far sì che il Contract for the Web non resti semplicemente l’ennesimo documento programmatico inattuato ma si trasformi in azioni concrete per rendere il Web un posto sicuro e vivibile per tutti.

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Più che concrete sono state in questi anni le minacce alla libertà della Rete e soprattutto alle libertà personali di chi frequenta la Rete: i dubbi rispetto all’ingerenza russa sul voto per la Brexit e durante le presidenziali americane 2016; lo scandalo Cambridge Analytica; le voci mai confermate sulle app che tracciano la posizione degli utenti anche con geolocalizzazione spenta o sugli assistenti vocali che registrano le conversazioni che avvengono nella stanza anche quando non dovrebbero essere in ascolto; gli innumerevoli leak che hanno esposto dati sensibili di molti clienti di banche; fino ad arrivare più di recente a un report di Amnesty International che ha svelato come Google ha raccolto dati sensibili sulla salute di oltre 50 milioni di Americani senza il loro consenso o alle notizie controverse provenienti dalla Russia, secondo cui sarebbero in atto delle prove per staccare il Paese dall’Internet che tutti conosciamo e creare una sorta di Rete sovranista russa e in un futuro molto prossimo potranno essere venduti solo dispositivi con preinstallati software e applicativi russi contro il pericolo spionaggio.

Cosa prevedere il nuovo piano per il Web di Tim Berners-Lee e che soggetti coinvolge

Non a caso i primi a cui il Contract for the Web chiede un impegno concreto sono i governi. A loro il compito di assicurare a chiunque il diritto di connessione, di mantenere Internet accessibile in ogni momento e di proteggere la privacy e i data rights delle persone. Il primo piano sui cui intervenire perché il Web sia un posto per tutti sembra essere, insomma, quello delle infrastrutture: è l’unico attraverso cui si può colmare quel digital divide che è prodromo di altri meccanismi esclusivi e soprattutto è quello appannaggio principalmente dei governi che soli (o quasi) hanno il potere di rendere più o meno semplice, più o meno facilitato l’accesso a Internet da parte dei cittadini. Il manifesto di Tim Berners-Lee prova a scongiurare, poi, il ripetersi di occasioni in cui quegli stessi governi decidano arbitrariamente di spegnere Internet com’è successo spesso in caso di crisi nazionali, ribellioni di piazza o manifestazioni contro i regimi autoritari. È nello sforzo chiesto a istituzioni e politica in tema di protezione della privacy e dei dati personali che sta, però, il cuore del Contract for the Web. I termini che anche a livello linguistico ricorrono di più sono quelli già utilizzati in altre fonti cardine in materia di data policy come il recente GDPR, e cioè consenso, proporzionalità, sicurezza. I governi, tramite legislazioni ad hoc e non solo, hanno il dovere di assicurare ai propri cittadini che la raccolta di dati personali – ancor più se sensibili – avvenga secondo regole precise, in maniera trasparente e punibile in caso di violazioni.

Il raggiungimento di questo obiettivo vede i governi impegnati in sintonia con le aziende. Anche soggetti privati e business company che firmano il nuovo documento di Berners-Lee devono impegnarsi nel rispettare e tutelare privacy e dati dei loro clienti, sviluppando policy ad hoc per ogni fase di raccolta e trattamento e garantendo al singolo una certa possibilità di scelta e un certo controllo rispetto a ciascuna di queste stesse fasi, nella convinzione tra l’altro che è solo così che se ne guadagna la fiducia. Alle aziende comunque, va da sé soprattutto a quelle dell’ICT e delle TelCo, è affidato anche il compito di rendere la Rete accessibile a tutti, anche per esempio fissando tariffe Internet abbordabili, e quello di lavorare in vista di obiettivi collettivi che non possono che avere a che fare con il continuo miglioramento sociale.

Se il Contract for the Web mira a rimettere le persone al centro di tutto quello che avviene online, però, chiede loro anche un impegno concreto. Sì può – e si deve, anzi – firmare il contratto per il Web di Berners-Lee anche e soprattutto se si è dei semplici utenti. Ci si impegnerà in questo modo a collaborare con gli altri utenti nel creare contenuti, diffondere una cultura dell’open source, trovare soluzioni wiki e collaborative a problemi condivisi e via di questo passo. La costruzione di community forti e compatte, del resto, dovrebbe riportare il discorso pubblico, anche quando avviene online, su un piano civile, inclusivo e rispettoso di diritti, libertà e dignità umani. Ancora, essere utenti attivi del web dovrebbe voler dire avere interesse a lottare per un Web aperto e rispettoso delle libertà di tutti, termini chiave del resto per qualsiasi discorso sulla cittadinanza digitale.

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