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Coronavirus: ricerche e query su Google dicono che siamo disinformati, forse più di quanto abbiamo paura

Coronavirus: ricerche e query su Google dicono che siamo disinformati, forse più di quanto abbiamo paura

Una cosa dicono sul coronavirus ricerche e query su Google: abbiamo paura del contagio ma non possiamo fare a meno di diffondere disinformazione.

In una settimana di allarme coronavirus ricerche e query su Google non sono solo impennate – fino a superare globalmente un +1000%, secondo l’account Twitter ufficiale di Google Trends – ma hanno mostrato chiaramente quali fossero preoccupazioni e paure degli utenti e come sull’epidemia cinese si stesse giocando l’ennesima partita della disinformazione.

Affetti da cybercondria come siamo e abituati a consultarlo spesso al posto del nostro medico di fiducia, abbiamo chiesto a Google “Cos’è il coronavirus?“, “È il coronavirus letale?“, “Come prevenire il coronavirus?“, “Come si diffonde il coronavirus?“, “Quali sono i sintomi del coronavirus?“, e via di questo passo. Sono ricerche prevedibili davanti a breaking news che continuano ad aggiornare il conto dei casi accertati di contagio da 2019-nCoV (questo il nome scientifico del nuovo ceppo di coronavirus responsabile del focolaio di Wuhan; i dati più affidabili li ha raccolti su contagi e morti da coronavirus Johns Hopkins University all’interno di una visualizzazione grafica e interattiva).

Chi cerca in Rete legami tra la birra Corona e il corona virus (e cosa significa)

Quello che forse non ci si aspetterebbe altrettanto è che paura e preoccupazione davanti a un nuovo potente virus, che è già stato per molti versi paragonato a quello che qualche anno fa causò la SARS, spingano gli utenti a essere sospettosi nei riguardi di molte cose che, in realtà, con quanto sta succedendo in Cina e con il rischio epidemiologico non c’entrano davvero nulla. Come riporta Vice, infatti, ci sarebbe per esempio un «inquietante numero di persone» convinto che la (birra) Corona e il nuovo coronavirus siano in qualche modo legati tra loro. A renderlo evidente sono dei dati, ancora una volta ricavati da query e chiavi digitate sui motori di ricerca, secondo cui in molti Paesi, da quando il coronavirus è diventato un argomento caldo di discussione, sarebbero anche aumentate le ricerche online per Corona beer virus. È accaduto in America del Nord, in paesi dell’Europa occidentale come la Finlandia ma anche in Australia, in Nuova Zelanda, in Giappone. Naturalmente non c’è alcun legame reale tra il noto produttore di birra messicano e il virus (il debunking in questo caso è superfluo). Allo stesso modo è difficile dire, almeno a partire da una sola query sui motori di ricerca, se ci siano persone realmente convinte che il coronavirus e la birra Corona abbiano in comune qualcos’altro a parte il nome. E se l’intento di ricerca fosse, per esempio, legato ai tanti meme che nel frattempo stanno cominciando a diventare virali in Rete, forse anche per esorcizzare la paura di una nuova epidemia globale difficile da controllare?

coronavirus birra meme

Molti meme stanno diventando virali in Rete e giocano con l’omonimia tra il virus cinese e la birra messicana. Un’ipotesi è che chi cerca su Google e altri motori di ricerca “corona birra virus” li abbia proprio come intento di ricerca.

Coronavirus: ricerche e query più digitate in Italia

Certo, anche guardando i dati statistici di Google Trends Italia, ci si accorge facilmente che corrispondono a coronavirus ricerche, query associate e argomenti correlati davvero più disparati.

coronavirus ricerche in Italia

L’interesse per il coronavirus è esploso in Italia solo dopo metà gennaio. Fonte: Google Trends (30 gennaio 2020)

Dopo il picco di interesse che l’argomento nel suo complesso ha registrato a partire dal 20 gennaio, nell’ultima settimana (e cioè fino al 30 gennaio 2020) il topic correlato al coronavirus più cercato in Rete sembra essere stato in Italia I Simpson, prima ancora di presunti casi – accertati o meno – segnalati nelle diverse città italiane.

coronavirus ricerche e query correlate italia

Alcuni degli argomenti correlati alle ricerche sul coronavirus in Italia. Fonte: Google Trends (30 gennaio 2020)

Cosa c’entra una serie animata con il pericolo di contagio da 2019-nCoV? Spesso ai Simpson viene attribuita la capacità di predire avvenimenti rilevanti a livello globale e, quasi sempre, catastrofici. Nel caso di specie due puntate diverse avrebbero previsto che una grave ondata di influenza infettasse Springfield – e l’America, va da sé – provenendo dall’Asia e sfruttando come veicoli d’infezione animali domestici e addirittura un pacco postale. I presunti screenshot del telegiornale di Springfield che chiama l’influenza felina coronavirus sono, però, palesemente fake: gli esegeti della serie ricordano bene, infatti, che il nome dell’epidemia era nel cartone Apocalypse Meow.

coronavirus i simpson

Chi sostiene che i Simpson avessero previsto il coronavirus cita una puntata che ha per protagonista un’influenza felina che contagia Springfield provenendo dall’Asia. Screenshoot come questi sono, però, palesemente fake: nella serie animata l’epidemia si chiamava Apocalypse Meow.

E nel secondo caso il focolaio d’infezione è giapponese e non cinese, come mostra il timbro Osaka sulla confezione del pacco incriminato.

coronavirus simpson

In un’altra puntata, Bart Simpson è infettato da un virus arrivato a Springfield attraverso un pacco. Il timbro è, però, di Osaka: l’epidemia viene cioè dal Giappone e non dalla Cina.

Cosa dicono le ricerche in Rete sulla nostra psicosi da coronavirus (e sulla macchina della disinformazione)

Se insomma “I Simpson non hanno predetto il coronavirus” come titola il debunking di David Puente su Open, una cosa già successa a Springfield sta succedendo anche in Italia e in molti paesi europei: la psicosi cresce fino a dimenticare le più basilari norme igieniche – che l’OMS ha specificato bastano a prevenire il contagio da coronavirus – e a provarsi in comportamenti irrazionali come non comprare più da negozi o non mangiare più da ristoranti cinesi, quando non addirittura evitare gli acquisti online, soprattutto da marketplace asiatici. Il possibile danno economico per le aziende e per altri soggetti business che operano con o nel Paese è concreto e difficile da stimare; basti pensare che molte compagnie aeree avrebbero già sospeso i voli da e per quelle destinazioni e che Ikea ha chiuso i trenta negozi in Cina a tempo indeterminato. Senza contare che per brand come Corona potrebbe profilarsi persino la possibilità di un danno reputazione (simile a quello, per fare un esempio, che rischiò di avere la nota azienda di prodotti per l’igiene della casa quando divenne virale in Rete la Tide Pod Challenge). O che la confusione che regna mediaticamente sull’infezione porti a comportamenti dannosi per la salute e potenzialmente letali o fortemente discriminanti nei confronti di alcune comunità etniche. Nel primo caso è ancora Vice a rivelare che qualcuno avrebbe cominciato ad assumere ipoclorito di sodio – ossia la più comune candeggina – dopo che sono circolate voci secondo cui sarebbe questo l’unico funzionante rimedio contro il coronavirus. Anche in Italia basterebbe poi avere tratti somatici indifferentemente asiatici per essere guardati con sospetto in strada o essere allontanati dai luoghi pubblici in questi giorni: tanto che, come riporta Dire, sono nati in Rete un hashtag e una campagna per dire #JeNeSuisPasUnVirus.

La colpa di tutto questo è di fake news e bufale sul coronavirus circolate abbondantemente? Stando alla ricostruzione di Valigia Blu, anche una certa complessità da un punto di vista medico e per gli addetti ai lavori non ha reso semplice fare informazione sul coronavirus senza di fatto finire a fare disinformazione. C’è confusione sui numeri, c’è confusione – e allarmismo, soprattutto – sulle capacità virulente e di contagio di questo nuovo ceppo del virus. È già partita, però, anche quella pericolosa macchina del complotto che quando si parla di salute ed emergenze mediche tira sempre in ballo la fantomatica lobby farmaceutica dei vaccini. Non a caso per tornare a coronavirus, ricerche su Google e query più usate dagli italiani sono risultate in questi giorni anche quelle che riguardano Anonymus: in un video il gruppo avrebbe rivelato presunti retroscena sul coronavirus che lo vorrebbero creato appositamente da un laboratorio cinese, ipotesi amplificata poi anche dalle reti televisive generaliste da parte di un noto giornalista. Si tratta, ovviamente, di una notizia mai verificata, metafora perfetta di come prendono il via i meccanismi della disinformazione – non solo in Italia e non solo su temi medico-scientifici – e di come, quando è incapace di coprire con contenuti di valore certi temi, il giornalismo rischi dolosamente di dare una rilevanza (fake) a loro aspetti marginali e controversi.

COSì FACEBOOK E LE ALTRE PIATTAFORME DIGITALI STANNO COMBATTENDO LA DIFFUSIONE DI FAKE NEWS SUL CORONA VIRUS

L’emergenza coronavirus, comunque, ha presto visto impegnati i big del digitale a combattere  fake news , bufale e cattiva informazione che hanno cominciato a diffondersi a vista d’occhio.

Facebook cancellerà le notizie false sul coronavirus condivise da utenti e pagine, secondo quanto annunciato in un comunicato ufficiale. Osservati speciali saranno soprattutto «informazioni devianti e teorie cospirazioniste già segnalate dalle autorità mediche globali», così come contenuti potenzialmente pericolosi perché «scoraggiano le persone dal prendere le giuste precauzioni o sottoporsi alle giuste cure mediche» e consigliano rimedi dannosi quali, come si è visto, assumere candeggina per prevenire il coronavirus. Non nuovo a iniziative contro le fake news, è la prima volta che il team di Zuckerberg opta per la rimozione totale delle informazioni controverse: fin qui link e post segnalati come problematici dai fact-checker erano stati penalizzati sul feed o contrassegnati con apposite etichette e presentati con speciali avvisi agli utenti e associati ad altre risorse verificate. La decisione di rimuovere in toto le bufale sul coronavirus è legata, con ogni probabilità, alla consapevolezza da parte di Facebook che il suo feed è per molti la fonte d’informazione prediletta anche quando si tratta di notizie medico-scientifiche. Per questo la piattaforma si starebbe impegnando anche a privilegiare fonti e documenti ufficiali, come quelli del’OMS, fissandole in alto nel feed e facendo in modo che siano tra le prime in cui gli utenti si imbattono quando cercano notizie sul coronavirus.

Allo stesso scopo da casa Zuckerberg starebbero pensando di bloccare o di limitare molto la visibilità su Instagram di alcuni hashtag che in queste settimane sono stati sfruttati per diffondere informazioni controverse sul coronavirus. Ricerche e tap su hashtag o account che postano sull’argomento inoltre dovrebbero far comparire in automatico un pop-up sullo schermo dell’utente che riporti informazioni verificate e aggiornate.

La “via” scelta per WhatsApp è, invece, quella di un hub informativo dove trovare aggiornamenti e notizie verificate sul coronavirus ma, anche e soprattutto, consigli per restare in contatto con amici e famigliari senza uscire di casa e sfruttando i servizi in Rete o per organizzare a distanza la didattica, nel caso degli insegnanti, o le proprie attività di business, se si è imprenditori.

Anche Twitter starebbe facendo la propria parte in questa lotta contro la disinformazione sul coronavirus modificando il sistema interno di ricerca, soprattutto per i Paesi più coinvolti nell’emergenza, in modo da mostrare per prime «informazioni credibili» e provenienti da fonti ufficiali. Da inizio gennaio 2020, ovvero da quando è cominciata l’emergenza, infatti, sarebbero stati pubblicati oltre 15 milioni di tweet taggati #coronavirus e non sempre si è trattato di tweet attendibili. Oltre a bloccare i suggerimenti automatici verso account, contenuti o hashtag non verificati, così, Twitter ha deciso di mostrare in evidenza nella pagina dei risultati di ricerca account ufficiali, come quello del Ministero della Salute in Italia per esempio.

coronavirus contromisure Twitter

Così, con l’account del Ministero della Salute in evidenza, appare la pagina dei risultati di ricerca quando l’utente italiano cerca su Twitter #coronavirus.

Google dal canto suo ha annunciato una partnership con l’OMS (“SOS Alert”, questo il titolo del progetto) finalizzata a mostrare, quando qualcuno fa delle ricerche sul coronavirus, al risultato zero i consigli e gli ultimi aggiornamenti ufficiali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità o di altre fonti verificate. La feauture è per ora attiva solo in alcuni Paesi.

iniziative contro fake news coronavirus google

Così funziona il nuovo SOS Alert di Google, mostrando per prime e al risultato zero della SERP fonti ufficiali e contenuti verificati come quelli dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Fonte: Mashable.com

Anche su Youtube saranno premiati i video ufficiali caricati da soggetti governativi, istituti di ricerca, eccetera. Per maggiore sicurezza, inoltre, verranno mostrate all’utente che cerchi contenuti video sul coronavirus informazioni dettagliate su chi ha condiviso le singole clip.

TikTok, infine, per assicurarsi che i propri utenti «ricevano notizie corrette riguardo al coronavirus» ha impostato un bottone informativo e una landing page che, a ogni ricerca che includa il termine, si attivano automaticamente e vengono visualizzati prima e in evidenza rispetto ai contenuti dei tiktoker.

coronavirus iniziativa tiktok

La landing page che si presenta ai tiktoker, una volta cercato sull’app “coronavirus”, rimanda a una serie di fonti ufficiali come l’OMS o il Ministero della Salute italiano dove cercare informazioni verificate e aggiornate.

coronavirus landing page tiktok

“Prevent Coronavirus” si legge sul bottone che compare quando, su TikTok, si effettua una ricerca collegata all’infezione da 2019-nCoV.

Chi ci clicchi verrà rimandato a una serie di fonti ufficiali, diverse Paese per Paese (per l’Italia, per esempio, il sito del Ministero della Salute e a livello mondiale i canali dell’OMS) e da cui poter ricavare informazioni aggiornate e verificate. La piattaforma, del resto, deve aver compreso nelle primissime settimane dell’epidemia quanto sia importante evitare allarmismi, psicosi e «infodemia» (così qualcuno ha rinominato l’attenzione spasmodica dei media verso il nuovo coronavirus, ndr) anche e soprattutto tra giovani e giovanissimi che rappresentano il grosso dei propri iscritti.

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