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È davvero in atto una crisi della carta stampata? Uno sguardo d’insieme

Da tempo si parla di crisi della carta stampata: alcuni dati su lettori e investimenti pubblicitari e le soluzioni intraprese dai giornali.

In Italia ci sono 40,6 milioni di lettori di giornali e di questi solo 1,4 milioni sono lettori digitali, ossia lettori che preferiscono la replica digitale del quotidiano o periodico alla più tradizionale copia cartacea. A guardarla attraverso i dati Audipress 2018, in altre parole, la crisi della carta stampata sembra più una progressiva disaffezione nei confronti delle fonti d’informazione classiche e mainstream a vantaggio di una dieta mediatica degli italiani che è sempre più diversificata e pensata come on demand.

Tra lettori e modalità di fruizione: com’è cambiato il mercato editoriale italiano

Cos’è successo, però, più specificamente nel mercato editoriale del 2017? La penetrazione sia di quotidiani che di periodici è diminuita e in maniera omogenea in tutte le fasce d’età. Solo i lettori fedeli – cioè chi compra almeno i tre quarti delle copie di quotidiani e settimanali nell’arco temporale di tre mesi – sono rimasti stabili nel numero. Quando si è provato, così, a tracciare un profilo del lettore tipo del giornale di carta, ci si è accorti che soprattutto chi legge i quotidiani nella loro versione cartacea ha estrazione sociale medio-alta, è mediamente più istruito e ha un’età maggiore: gli unici target in cui la penetrazione di quotidiani e periodici è aumentata in un anno e la crisi della carta stampata non sembra essersi fatta sentire sono, infatti, quelli degli over 45 e di chi ha almeno un livello di istruzione superiore. La rilevazione continua con l’evidenziare le testate più lette e quelle più diffuse: nel caso dei quotidiani è La Gazzetta il più letto in assoluto su tutto il territorio nazionale, mentre Corriere della Sera e la Repubblica continuano a contendersi storicamente il titolo di quotidiano con maggiore diffusione.

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Il ritratto del lettore “tipo” italiano di quotidiani. Fonte: Audipress

Il dato più rilevante, però, riguarda il cambiamento della modalità di fruizione del giornale nelle sue diverse forme. È facile capire in questo senso come, mentre l’online risponda soprattutto a esigenze di velocità e aggiornamento continuo, chi sceglie la carta stampata guardi sempre di più alla possibilità di approfondimento. Ciò si traduce, per esempio, nel fatto che la lettura di un quotidiano di carta si prolunga ormai ben oltre il giorno d’acquisto. Per usare una metafora cara a Gianni Paolucci, presidente dell’Associazione degli stampatori dei giornali, insomma, già ora e sempre più in futuro «la carta rappresenterà la haute couture, mentre i servizi digitali saranno il pret-a-porter».

Perché (e come) sopravvive la carta stampata

Le abitudini dei lettori, insomma, contano quanto numeri e fatturati quando si tratta di definire i contorni reali della crisi della carta stampata. Un’indagine qualitativa di FIEG-UPA ha messo in luce, per esempio, le differenze tra lettori digitali e lettori di carta e, anche se riferiti a qualche anno fa (era il 2015, ndr), i risultati dicono ancora molto sul perché e come sopravvivono le versioni cartacee dei quotidiani. C’è, innanzitutto, una dimensione relazionale che caratterizza ancora il consumo di giornali di carta: la scelta della testata, infatti, evoca sempre un rapporto emotivamente coinvolgente, segnato da fiducia, prossimità di vedute e riconoscimento nella linea editoriale, specie nella cornice di un modello di giornalismo come quello italiano in cui storicamente non esistono giornali ed editori puri.

Tradizionalmente, poi, alla testate analogiche sarebbe riconosciuta una maggiore autorevolezza: dipende dalla notorietà o, qualche volta, dalla presenza sulle pagine di grandi firme del giornalismo, aspetti che si rispecchiano appunto in una sorta di garanzia di maggiore qualità – percepita, almeno – del contenuto rispetto a quello veicolato da altre fonti. Chi preferisce i giornali di carta lo farebbe, poi, anche in virtù della loro funzione selettiva: se lo spazio è limitato, come lo è certamente in un’edizione cartacea, non può non intervenire a monte un processo di selezione nell’ampio bacino dei fatti-notizia e ciò ha come conseguenza diretta il sollevare il lettore dalla fatica di orientarsi tra le tante fonti a disposizione, i giornali di carta non hanno mai perso cioè il loro ruolo di gatekeeper da un lato e di quotidiano-agenda dall’altro.

Sembra valere, poi, la vecchia metafora del centro commerciale: chi sfoglia un giornale cartaceo lo fa senza cercare qualcosa di specifico, condizione che invece è tipica di chi approda alla home page di un sito d’informazione attraverso i motori di ricerca e, ancor di più, attraverso i social; il lettore analogico sarebbe quindi più aperto all’esplorazione e alla conseguente serendipità di quanto lo sia invece il lettore digitale. E anche il supporto gioca un ruolo fondamentale nel definire l’esperienza di lettura: la carta favorirebbe concentrazione e attenzione che si tradurrebbero, a loro volta, in una più profonda assimilazione dei contenuti.

Se la crisi della carta stampata parte dagli investimenti pubblicitari (mancati)…

Proprio quest’ultima indicazione del rapporto FIEG-UPA potrebbe risultare interessante sotto l’aspetto degli investimenti pubblicitari. Alcune evidenze sottolineano già, infatti, come gli annunci pubblicitari in contesti premium siano più efficaci. Se confermato, anche il surplus di attenzione che si otterrebbe sulla carta avrebbe come diretta conseguenza una maggiore – quando non migliore – disposizione nei confronti della pubblicità. Il tutto senza contare che, con ogni probabilità, il lettore di carta si aspetta che la testata abbia provveduto a una selezione delle marche inserzioniste, accogliendo solo brand e prodotti  in grado garantire coerenza con il proprio posizionamento. In altre parole? La pubblicità sulle testate di fiducia funzionerebbe, tra l’altro, perché contribuisce a cementare il senso di appartenenza a una comunità di lettori che condivide un certo orizzonte aspirazionale e si riconosce in un paniere di beni di consumo.

Non esattamente dello stesso parere sembrano essere comunque marketer e investitori: se si guarda ai dati sul mercato pubblicitario (gli ultimi disponibili, riferiti al 2017, sono quelli aggregati da Publicis Media Italy), infatti, è facile notare il progressivo spostamento della spesa pubblicitaria dal cartaceo verso il digitale. Solo in un anno, per fare un esempio, la spesa in adv su quotidiani e periodici di carta ha perso quasi il 7%. Ci sono, certo, settori e brand top spender: l’abbigliamento, specie se di lusso, investirebbe infatti ancora almeno il 40% del budget in pubblicità sulle riviste; mentre tra chi ha investito di più in pubblicità sui quotidiani c’è di certo il settore dei servizi professionali.

crisi della carta stampata pubblicità

Più ancora delle nuove forme di lettura digitale, insomma, la contrazione della spesa pubblicitaria sembra essere la vera causa della crisi dalla carta stampata. Gli investimenti pubblicitari sono, del resto, tradizionalmente la prima fonte di guadagno dei giornali italiani.

…e da un modello che non premia gli abbonamenti

Se si torna ai dati Audipress 2018 ci si accorge subito che la voce abbonamenti non supera in media il 5% delle fonti di provenienza della copia (con estremi che vanno da appena più che il 3% per i quotidiani al 7% per i mensili).

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Fonte: Audipress

E pensare che, come ha sottolineato Carla Turolla, key account editoria, «la diffusione via abbonamento ha per l’editore due grandi pregi: da un lato fa aumentare la frequenza di acquisto della rivista, dall’altro permette di conoscere chi è il cliente, che invece resta sconosciuto quando si reca in edicola». Il contraltare sono investimenti più consistenti richiesti allo stesso editore e che suppliscano, in alcuni casi, a mancanze infrastrutturali e sistemiche. Si è spesso lamentato il rischio di ritardo nella consegna della copia, rispetto alla sua stessa disponibilità in edicola, come una delle cause principali che hanno tenuto i lettori italiani di quotidiani lontani dalla opzione abbonamento. Ora si è finalmente compresa anche la necessità, per esempio, di un customer service funzionale e in grado di rispondere alle esigenze del cliente, assistendolo in tutte le fasi relative all’acquisto del prodotto, dall’adesione al rinnovo dell’abbonamento passando per la spedizione delle singole copie. «Acquisire un nuovo abbonato ha costi promozionali elevati – spiega, del resto, Marco Carloni, amministratore delegato di Zeuner – spesso più del prezzo che il cliente paga per il primo abbonamento. Il fattore chiave è quindi la capacità di fidelizzare nei successivi rinnovi: una buona qualità di customer service e customer retention può portare il tasso di fedeltà del cliente anche oltre il 70%, cioè 7 lettori su 10 rinnovano l’anno successivo, e ciò può garantire il ritorno sugli investimenti promozionali fatti».

Testate cartacee vs all digital: la sostenibilità dei modelli di business alla prova

Per capire meglio la crisi della carta stampata, insomma, sarebbe giusto porsi delle domande rispetto alla sostenibilità del suo stesso modello business. Già nel 2015, un rapporto sull’evoluzione dell’informazione di attualità online mostrava, proprio a proposito, come confezionare notizie per l’online costasse 8 volte meno del farlo per il cartaceo: gli editori digitali puri hanno infatti una struttura più snella e capace di adattarsi a ritmi ed esigenze di lettori moderni e 2.0 , mentre i giornali cartacei hanno ancora costi fissi ed ereditati dall’analogico, come per esempio quelli legati al personale. Nel 2018 l’AGCOM ha analizzato il panorama delle testate all digital italiane e i loro rispettivi modelli di business: è venuto fuori che, nella maggior parte dei casi, c’è una conformazione a coda lunga e cioè ogni gruppo editoriale digitale (Ciao People Media Group, per fare uno degli esempi più consistenti) ha un 2% di soggetti (tra cui Fanpage, nel caso specifico) che raccoglie il grosso, circa l’80%, degli investimenti pubblicitari e una coda, piuttosto lunga appunto, di altri soggetti (testate locali, ecc.) tra cui è suddivisa invece una porzione minoritaria di spesa adv.

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Il modello “a coda lunga” delle testate all digital italiane. Fonte: AGCOM

Nonostante questo, la condizione degli editori digitali puri sembra oggi più stabile rispetto solo allo scorso anno, per esempio, con un roi che è tornato a crescere.

Stretti insomma tra un modello di business poco sostenibile e la concorrenza del digitale, ci sono doversi modi in cui i player più tradizionali hanno provato a gestire la crisi della carta stampata. In extremis la decisione è stata smettere di stampare copie cartacee e concentrarsi sul digitale: il Wall Street Journal, per esempio, da qualche tempo non stampa almeno le sue edizioni europee e asiatiche e sorte ancora peggiore è toccata ad altre testate tradizionali e dalla lunga storia. C’è persino chi prevede che l’ultima copia del New York Times sarà venduta entro il 2043 ma, come ribadiva in una nostra intervista al WebUpdate 2015 Robin Good, «dovrebbe interessarci non tanto se verrà venduto o meno il NYT cartaceo, quanto come sarà il NYT tra trent’anni, se sceglierà per esempio per mantenersi in vita di curare, seguire e organizzare informazioni su settori molto specifici» o di trasformarsi innanzitutto in un amico e, in quanto tale, sarà depositario di fiducia per i suoi lettori.

Alcune testate hanno già provato a farlo adattandosi, sia graficamente sia nella scelta della agenda del giorno, ai gusti dei propri lettori: in Italia, ultimo solo nel tempo, il restyling de il Sole 24 Ore è partito per esempio dal presupposto, tanto banale quanto fondamentale nelle sue conseguenze, che rendere più facile anche pragmaticamente la lettura significa aumentare i livelli di attenzione del lettore. La terza opzione potrebbe essere quella di una brand extension verso prodotti in parte diversi. Da decenni c’è chi combatte la crisi della carta stampata endemica con allegati, supplementi, riviste. Una strategia per niente sbagliata se si considerano due dati: da un lato, ancora secondo Audipress 2018, per i periodici diminuisce il riscorso a copie prestate o ottenute in altri modi e si preferisce, invece, l’acquisto (la percentuale varia dal 37% dei quotidiani a oltre il 49% dei mensili); dall’altro, un’indagine di Media Insight Project sulle abitudini di lettura dei Millennial ha dimostrato che, nonostante poco propensi a pagare per un’informazione che considerano quasi un diritto di cittadinanza, più di un quarto di giovani e giovanissimi compra ancora comunque una rivista in edicola. Che la formula contro la crisi della carta stampata sia, allora, in prodotti durevoli, dalla maggior permanenza e di collezione quasi?

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