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Cosa dicono i dati sul content marketing rispetto alla fiducia che i brand hanno nei contenuti (di valore)

Dati sul content marketing nel 2019: una panoramica

Come le edizioni precedenti, The State of Content Marketing 2019 offre insight e dati sul content marketing aggiornati e validi in tutti i settori.

Tanto è già stato fatto, ma tanto c’è ancora da fare: si potrebbero facilmente riassumere così i dati sul content marketing offerti da The State of Content Marketing 2019 di Zazzle Media. Per il terzo anno consecutivo, infatti, l’indagine ha provato a misurare a che punto fossero le aziende nell’adozione di strategie di contenuti coerenti con i propri obiettivi di business, nella loro implementazione e nella loro traduzione in piani editoriali concreti per esempio.

Un’era di maturità del content marketing?

E le notizie, come già si accennava, sembrano essere positive. Il 96% dei marketer intervistati, infatti, non solo fa content marketing, ma lo considera «estremamente», «molto» o «in qualche misura» efficace per il brand . La percentuale è sorprendente se si pensa che solo tre anni fa raggiungeva appena il 70% e che è cresciuta, in un anno, di almeno un terzo. Con ogni probabilità, però, la soddisfazione dei marketer nei confronti del content marketing ha a che vedere anche, se non soprattutto, con una maggiore integrazione delle strategie: quasi il 90% di chi fa marketing con i contenuti, infatti, sostiene oggi di inglobarlo all’interno di strategie più olistiche che portino al raggiungimento degli obiettivi globali del brand, mentre solo lo scorso anno ciò avveniva nel 45% dei casi.

Anche una maggiore consapevolezza di cos’è, come si fa e perché investirvi potrebbe giustificare insight e dati sul content marketing così positivi: un marketer su tre si dice «chiaramente consapevole» del modo migliore per organizzare una campagna di content marketing.

Dalla creazione alla distribuzione di contenuti: insight e dati sul content marketing

Prima di svelare che tipo di contenuti producono i brand e che strategie di content distribution mettono in atto, The State of Content Marketing prova a indagare comunque perché e con che obiettivi si investe oggi in content marketing: la brand awareness e la lead generation sembrerebbero, in questo senso, le priorità dei marketer e va da sé che ciò non può che riflettersi, appunto, sulla stessa natura dei contenuti e sul modo in cui vengono distribuiti.

Quanto alla prima, un po’ a sorpresa, i contenuti «scritti» sembrano ancora quelli preferiti dai brand. E questo nonostante la tanta discussa popolarità dei video – che si trovano addirittura fuori dal podio di Zazzle Media, dopo email marketing e post organici sui social e con un popolarità ferma al 72% – e quella dei contenuti interattivi.

Fare contenuti, però, sempre più spesso significa anche collaborare con creator terzi, come gli influencer per esempio: l’intero campione, così, conta di collaborare con uno o più influencer per le prossime strategie di content marketing e più del 60% ha già riscontrato dei risultati concreti da questo tipo di collaborazione. Va da sé, però, che trovare l’influencer giusto o le giuste metriche per la valutazione dei risultati, così come considerare le questioni legate alla trasparenza sono task indispensabili da affrontare se si vogliono combinare content marketing e influencer marketing. Quello che questi dati sul content marketing rivelano e che, forse, non ci si aspettava, considerato tra l’altro il recente successo degli assistenti vocali, è che si investe ancora poco nella ricerca vocale: solo un marketer su dieci avrebbe integrato la voice search all’interno della propria strategia di contenuti, c’è un quasi 60% che non prevede di farlo neanche nell’immediato futuro e, soprattutto, appena nel 2% dei casi i risultati di questa integrazione sono stati tangibili e positivi.

Che canali scelgono, infine, i marketer per la distribuzione dei propri contenuti? Blog aziendali e guest post rimangono ancora il canale prediletto (su cui investe oltre il 75% del campione). Seguono le diverse attività di seo (in cui investe il 45% di chi fa content marketing) e, non a sorpresa, l’ email marketing : se più del 40% dei marketer non può rinunciarvi è non solo perché forme di marketing diretto come questo aiutano a fidelizzare l’utente o perché, se strutturata in maniera creativa, una strategia di email marketing aiuta a creare contenuti davvero di valore per il cliente, ma soprattutto perché il nuovo regolamento europeo sul trattamento dei dati personali impone più cautela alle aziende nell’utilizzare banche dati e contatti preesistenti per raggiungere i consumatori. Per la stessa ragione sorprende in parte che le attività di digital pr non siano ancora sfruttate pienamente: appena il 9% del campione sembra utilizzarle per la content distribution. Nonostante la scelta recente di alcuni grandi brand come Unicredit o Lush di abbandonare le piattaforme mainstream a favore di quello che è stato già definito come un private social , i social network rimangono ancora tra i canali di distribuzione più scelti da chi fa content marketing, con dinamiche come l’ascesa di Instagram e dei social visivi a discapito delle altre piattaforme che sembrano essere rimaste invariate nel tempo. C’è una percentuale, però, che dovrebbe far riflettere in questo senso: quasi il 50% di chi usa i social per distribuire i contenuti che produce non sembra registrare risultati tangibili o lead che riguardino le vendite.

Ed è questa una, sola, delle ragioni che fanno dire che c’è ancora molto da fare per quanto riguarda il content marketing. Tradotto in numeri, questo tanto da fare significa per esempio una crescita prevista fino al 41% del budget da destinare ad attività di creazione e distribuzione di contenuti. Più in generale, però, quello che sembra servire davvero al settore è una maggiore fiducia nei contenuti.

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