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La Dichiarazione dei diritti in internet e la nuova veste della Rete

La Dichiarazione dei diritti in Internet e la nuova veste della Rete

La mozione Quintarelli adotta la Dichiarazione dei diritti in Internet e cerca di ricondurre ad una dimensione unitaria la presenza sul web.

Come le vicende relative al caso Intesa Sanpaolo hanno una volta di più reso evidente, il problema relativo alle “regole di internet” e ai diritti in Internet è sempre al centro del dibattito pubblico.
Tuttavia, sebbene con riferimento alla normativa di divieto e a quella sanzionatoria plurimi siano i referenti positivi (codice penale e codice privacy su tutti), un dato significativo da mettere in luce – e anche piuttosto trascurato – è risultato per lungo tempo il profilo relativo ad una esatta definizione dei diritti dell’internauta, ovverosia un quadro sistematico nell’ambito del quale individuare forme e limiti di fruizione delle possibilità, tendenzialmente illimitate, che la rete offre.

In tema, va sottolineato che già il 28 luglio 2015 la Commissione per i Diritti e i Doveri in Internet istituita presso la Camera dei Deputati aveva concluso i suoi lavori giungendo all’approvazione della Dichiarazione dei diritti in Internet (anche nota come Italian internet bill of rights), atto poi recepito dall’Aula nella cd. mozione Quintarelli (1-01031, approvata il 3 novembre 2015).

La Dichiarazione dei diritti in Internet, benché non rientrante nel sistema delle fonti e quindi non produttiva di norme giuridiche, impegnava (politicamente) il Governo ad attivare ogni utile iniziativa per la promozione e l’adozione a livello nazionale, europeo e internazionale dei principi contenuti nella Dichiarazione, nonché a promuovere un percorso che porti alla costituzione della comunità italiana per la governance della rete definendo compiti e obiettivi in una logica multistakeholder.

Vediamone, quindi, in breve i contenuti.

Il preambolo: Internet come risorsa globale e democratica

In effetti, sebbene – come detto – lo strumento prescelto si appalesi piuttosto evanescente dal punto di vista normativo, non si può non sottolineare che i contenuti del documento della Dichiarazione dei diritti in Internet risultino particolarmente interessanti da analizzare, poiché dimostrano una piena consapevolezza della indefettibilità di una regolamentazione di principio dell’universo internet, per un verso superando l’esasperante polverizzazione delle disposizioni che regolano le vicende online, per altro verso proprio esplicitando in via generale finalmente anche i diritti degli utenti della rete.

Proprio in questo senso, è significativo come già nel preambolo della Dichiarazione dei diritti in Internet si metta in rilievo che «internet ha contribuito in maniera decisiva a ridefinire lo spazio pubblico e privato, a strutturare i rapporti tra le persone e tra queste e le Istituzioni. Ha cancellato confini e ha costruito modalità nuove di produzione e utilizzazione della conoscenza. Ha ampliato le possibilità di intervento diretto delle persone nella sfera pubblica. Ha modificato l’organizzazione del lavoro. Ha consentito lo sviluppo di una società più aperta e libera». Ecco, quindi, come la necessaria conclusione che consegue a tali premesse sia che «Internet deve essere considerata come una risorsa globale e che risponde al criterio della universalità».

In dipendenza di ciò, «Internet richiede regole conformi alla sua dimensione universale e sovranazionale per garantire il suo carattere aperto e democratico, impedire ogni forma di discriminazione e evitare che la sua disciplina dipenda dal potere esercitato da soggetti dotati di maggiore forza economica». Proprio per questo, «le regole riguardanti la Rete devono tenere conto dei diversi livelli territoriali (sovranazionale, nazionale, regionale)» (art. 14).

La pervasività di Internet, peraltro, è tale che il suo utilizzo non può più essere considerato in una dimensione meramente privatistica: come del resto le note discussioni in tema di responsabilità del gestore della pagina web hanno evidenziato, infatti, la funzione pubblica sub specie di diritto all’informazione è tale che gli estensori della Dichiarazione giungono ad affermare che «Internet si configura come uno spazio sempre più importante per l’autorganizzazione delle persone e dei gruppi e come uno strumento essenziale per promuovere la partecipazione individuale e collettiva ai processi democratici e l’eguaglianza sostanziale».
Ciò senza dimenticare, del resto, che Internet si configura pure come uno «uno spazio economico che rende possibili innovazione, corretta competizione e crescita in un contesto democratico». 

Tale centralità della rete consente allora alla Dichiarazione di proclamare l’accesso ad Internet «diritto fondamentale della persona e condizione per il suo pieno sviluppo individuale e sociale».
Tale affermazione reca con sé implicazioni sistematiche di primario rilievo, giacché anzitutto si attribuisce al diritto alla rete il predicato di diritto fondamentale, ricollegandosi con ogni evidenza alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (cd. “Carta di Nizza“), ed in secondo luogo colloca la fruizione della rete nell’ambito di quel diritto alla piena realizzazione della personalità sancito dall’art. 2 della Costituzione, vera norma cardine dal punto di vista assiologico del nostro ordinamento.

Le implicazioni del “diritto alla rete” ed il bilanciamento con le situazioni in conflitto

Secondo il testo della Dichiarazione, poi, Internet – operando come “mezzo” – deve essere riconosciuto come luogo virtuale nel quale è assicurato il principio di neutralità, sicché «ogni persona ha il diritto che i dati trasmessi e ricevuti in Internet non subiscano discriminazioni, restrizioni o interferenze in relazione al mittente, ricevente, tipo o contenuto dei dati, dispositivo utilizzato, applicazioni o, in generale, legittime scelte delle persone». E questo perché, anche in considerazione di quanto si è detto, «il diritto ad un accesso neutrale ad Internet nella sua interezza è condizione necessaria per l’effettività dei diritti fondamentali della persona» (art. 4).

Se ciò è vero, e se quindi il cittadino del XXI secolo non può prescindere dall’essere internauta, allora ne derivano due corollari fondamentali: l’inviolabilità del diritto di accesso alla rete ed il diritto alla conoscenza e all’educazione in rete.

Più specificamente, per un verso è chiaro occorra proclamare il diritto di ogni persona «di accedere a Internet in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e aggiornate che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale» (art. 2) e che, per altro verso ed in via strumentale, «ogni persona ha diritto ad essere posta in condizione di acquisire e di aggiornare le capacità necessarie ad utilizzare Internet in modo consapevole per l’esercizio dei propri diritti e delle proprie libertà fondamentali» (art. 4).

Tuttavia è fin troppo evidente che in rete non sussistano solo le libertà e i diritti propri, bensì anche quelli altrui, sicché – come avviene ogni qual volta vi sono più situazioni giuridiche soggettive che rischiano di entrare in conflitto – si impone una delicata azione di bilanciamento, azione che, secondo la Dichiarazione dei diritti in Internet deve essere informata al «pieno rispetto della dignità, della libertà, dell’eguaglianza e della diversità di ogni persona» (art. 1 co. III). Ciò implica, chiaramente, che «ogni persona ha diritto alla protezione dei dati che la riguardano, per garantire il rispetto della sua dignità, identità e riservatezza» sottolineandosi che tali dati, oltre a quelli che consentono di risalire all’identità di una persona, «comprendono anche i dati dei dispositivi e quanto da essi generato» e che all’interessato deve sempre essere garantito il pieno controllo sulle vicende afferenti ai suoi dati (art. 5).

Quanto detto risulta poi chiaramente strumentale anche alla concretizzazione di quel diritto all’identità personale (art. 2 Cost.) che qui si sostanzia nella identità online, ovverosia la pretesa ad una «rappresentazione integrale e aggiornata delle proprie identità in Rete» costruita secondo le decisioni dell’interessato (art. 9). Tale diritto, si badi bene, si sostanzia anche nella pretesa all’oblio, così che l’interessato deve poter ottenere «la cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei riferimenti ad informazioni che, per il loro contenuto o per il tempo trascorso dal momento della loro raccolta, non abbiano più rilevanza pubblica» (art. 11).

Una previsione rivolta poi ai pubblici poteri (dunque di portata garantistica per il privato) è quella contenuta nell’art. 7 che, nel riprendere gli artt. 14 e 15 Cost., li declina in chiave informatica, affermando che «i sistemi e i dispositivi informatici di ogni persona e la libertà e la segretezza delle sue informazioni e comunicazioni elettroniche sono inviolabili». Deroghe sono possibili nei soli casi e modi stabiliti dalla legge e con l’autorizzazione motivata dell’autorità giudiziaria.

In senso speculare, invece, è riconosciuto all’internauta il diritto di «accedere alla rete e comunicare elettronicamente usando strumenti anche di natura tecnica che proteggano l’anonimato ed evitino la raccolta di dati personali, in particolare per esercitare le libertà civili e politiche senza subire discriminazioni o censure» con deroghe possibili solo se «giustificate dall’esigenza di tutelare rilevanti interessi pubblici», nonché «necessarie, proporzionate, fondate sulla legge e nel rispetto dei caratteri propri di una società democratica» (art. 10).

Viene espressamente contemplato, poi, il ruolo delle piattaforme sociali, spazi virtuali divenuti oramai davvero centrali nell’ambito dell’esperienza online del cittadino. Ebbene, di ciò si acquisisce piena contezza, affermandosi anzitutto che, sulla scorta del combinato disposto dell’art. 2 Cost. e 1375 c.c., «i responsabili delle piattaforme digitali sono tenuti a comportarsi con lealtà e correttezza nei confronti di utenti, fornitori e concorrenti»per poi aggiungersi che «le piattaforme che operano in Internet, qualora si presentino come servizi essenziali per la vita e l’attività delle persone, assicurano, anche nel rispetto del principio di concorrenza, condizioni per una adeguata interoperabilità, in presenza di parità di condizioni contrattuali, delle loro principali tecnologie, funzioni e dati verso altre piattaforme» (art. 12).

Da ultimo, in considerazione della delicatezza e del tecnicismo della materia, nonché della sua connessione con i diritti civili e politici del cittadino-utente, nella Dichiarazione dei diritti in Internet si ribadisce l’opportunità di rimettere la tutela amministrativa non ad organi che siano articolazioni del potere centrale, bensì ad apposite «autorità nazionali e sovranazionali» (art. 14), come in effetti già è avvenuto fin dal 1997 con l’istituzione dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali.

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