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Digital disruption: come affrontarla? Qualche consiglio per le aziende

Digital disruption: come affrontarla? Qualche consiglio per le aziende

Ogni azienda oggi deve affrontare la digital disruption, ma può non essere semplice: come farlo al meglio? I consigli di McKinsey.

Il concetto di digital disruption è oggi sempre più frequente. Siamo giunti ormai a un punto della normale curva a esse dell’introduzione di una novità (tecnologica o non) in cui la digitalizzazione e l’ingresso delle tecnologie negli asset aziendali non è più «solo uno strumento per contrastare la concorrenza, ma un tema di sopravvivenza», come sottolineano da McKinsey.

curva a esse digitale e digitalizzazione

Cosa s’intende davvero per digital disruption

Ammesso quindi che «la questione, ormai, non è se l’impatto arriverà, ma quando arriverà» – come continuano dall’azienda – e prima di soffermarsi sui consigli degli esperti per una trasformazione digitale di successo, vale la pena provare a capire cosa si intende davvero per digital disruption e perché, a dispetto dell’apparente connotazione negativa, l’espressione abbia a che vedere con la proattività di un’azienda e, più in generale, di un’organizzazione rispetto ai cambiamenti del mercato.

Una sua primissima versione, quella di disruptive innovation, fu coniata ad Harvard da Clayton Christensen per indicare il comportamento di quelle aziende che, invece di limitarsi a portare avanti un’ innovazione incrementale e strettamente basata sui bisogni del mercato, sono state in grado di introdurre novità distruttive appunto, capaci di mettere in dubbio i bisogni attuali del mercato e di crearne di nuovi e, soprattutto, ideali per aumentare l’appeal dell’azienda verso target nuovi e inediti. L’esempio più classico è rappresentato, in questo senso, ovviamente dai prodotti Apple che rivoluzionarono letteralmente il mercato dell’elettronica di consumo, imponendosi non tanto come gadget elettronici quanto come una vera e propria filosofia di vita e dimostrandosi in grado di diventare di fatto prodotti di un love brand. Inevitabilmente la tecnologia, quella digitale in particolare, ha un ruolo abilitante in questo, ragione per cui un’azienda che voglia diventare leader nel suo settore non può più rinunciare, oggi, al passaggio al digitale.

Digital disruption quando non si può fare a meno di affrontarla?

Certo, se si è un’azienda media in lotta titanica con le minacce imposte dalle piattaforme di streaming o alla ricerca di nuovi e più profittabili modelli pubblicitari, per esempio, oppure se si opera in un settore dalla vocazione sempre più digitale come quello del turismo (com’è venuto fuori anche durante l’ultima edizione della BTO – Buy Tourism Online 2016, ndr) o, perché no, se si vive in prima persona il forte cambiamento imposto dal digitale alla moda o al settore del food food è probabile che ci si debba armare meglio contro – o forse sarebbe più opportuno dire per – la digital disruption. Nessuna azienda, oggi, può permettersi però di «sottovalutare le aspettative dei clienti e le sfide degli attacker. Anche se riuscire a fronteggiare queste sfide – sottolinea Roberto Lancellotti, Senior Partner di McKinsey & Company e leader di Digital McKinsey in Europa – e a cogliere le opportunità offerte dal digitale è tutt’altro che semplice, poiché la digitalizzazione tocca ogni aspetto di un’organizzazione e richiede uno sforzo di coordinamento di persone, processi e tecnologie senza precedenti».

Consigli per una trasformazione digitale di successo

trasformazione digitale di successo consigli McKinsey

Sei sono allora, secondo la società di consulenza sopracitata, le leve principali su cui un’azienda dovrebbe puntare per restare competitiva anche nella transizione al digitale, quando non addirittura per trovare in essa un vantaggio competitivo che non aveva prima d’allora.

  • Strategia e innovazione. Una strategia digitale da sola serve a poco, sottolinea l’esperto di Digital McKinsey, mettendo in guardia sulla necessità di farla convergere con una più generale strategia di business. Propensione al rischio e vision futura fanno il resto: nel 65% di casi di aziende che hanno portato a termine e con successo il passaggio al digitale, infatti, sono state intraprese iniziative con profilo di rischio inizialmente elevato e fatte valutazioni di medio termine, dai tre ai cinque anni, sul settore e sul business di riferimento.
  • customer journey decision. Si tratta di conoscere il modo, sempre più complicato e multiforme, con cui i consumatori interagiscono con l’azienda. Il trend, oggi, è quello dell’omnicanalità, con clienti che reputano naturale spaziare attraverso tutti i touchpoint disponili e con regole, alcune formulate dalla McKinsey stessa, per rendere ottimale ed efficace ogni passaggio di questo viaggio. Le aziende che dimostrano di conoscere bene il processo decisionale d’acquisto dei loro clienti, del resto, vedrebbero crescere fino al 20% la soddisfazione della clientela e del 10-15% il fatturato.
  • Automazione dei processi. Significa, per esempio, a un grado zero essere in grado di utilizzare in azienda sistemi informatici performanti, sicuri e in grado di personalizzare il tipo di servizio offerto sia agli interlocutori interni che a quelli esterni all’azienda e al cliente finale.
  • Organizzazione. Non a caso, del resto, è un sinonimo d’azienda: come un organismo, per essere in grado di funzionare un’azienda ha bisogno di ruoli chiari e identificabili e di una forte capacità di lavorare in squadra e in vista dell’obiettivo finale. Per resistere alle sfide del digitale, poi, è indispensabile che sia agile, flessibile, collaborativa.
  • Tecnologia. Come si è accennato, infatti, le innovazioni tecnologiche, se ben integrate e messe al centro della cultura aziendale, hanno un ruolo abilitante e strategico nel passaggio al digitale.
  • Dati e analytics. Non solo la massa di big data a disposizione offre all’azienda insight importanti sul suo target o sui suoi competitor , ma in un circolo virtuoso «consente di proporre ai propri clienti offerte su misura quasi in tempo reale e di identificare i micro-segmenti di clientela a più alto valore», come sottolinea Roberto Lancellotti.

Cosa serve, insomma, a un’azienda per sfruttare al meglio e a proprio vantaggio i cambiamenti imposti dalla digital disruption? Da McKinsey non hanno dubbi: serve «una struttura più agile, flessibile e collaborativa. I leader digitali sono stati capaci di creare gruppi di lavoro snelli, con un ampio set di competenze al loro interno (dal marketing alla finanza, dall’IT agli analytics) che si adattano meglio alle mutate esigenze della clientela; essi si sono dotati dei cosiddetti traduttori, ovvero di quegli esperti, molto preziosi e ancora piuttosto rari, in grado di tradurre obiettivi di business in requisiti IT o di utilizzare l’enorme mole di dati disponibili per specifiche esigenze», ribadisce l’esperto.

Problemi e soluzioni contestuali

L’azienda, però, non può essere lasciata sola ad affrontare la digital disruption: serve l’aiuto di tutti, anche dei «responsabili delle politiche nazionali ed europee e i singoli individui», continuano da Digital McKinsey. Tanto più che né lo scenario italiano né quello europeo sono rassicuranti. Secondo il Digital Europe, infatti, il contributo del digitale al PIL è in Italia solo del 4%, al di sotto della media europea (5%) e del top performer (il Regno Unito, con il 10%). È un problema legato al fatto che le più sensibili ai temi della digitalizzazione restano, ovviamente e per una questione di disponibilità di risorse, le grandi aziende e quello italiano è invece un tessuto fatto di piccole e medie imprese, in cui la presenza delle prime sfiora appena il 30% del totale (contro una percentuale di quasi il 50% ancora in Regno Unito). Più in generale, comunque, il potenziale digitale dell’Europa è sottoutilizzato: un peccato se si pensa che, solo accelerando il processo di digitalizzazione, secondo delle stime della stessa società di consulenza, il PIL potrebbe crescere di un punto percentuale ogni anno per i prossimi 10 anni.

digitale e pil in italia

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