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Direttiva consumatori 2019: le novità sulle pratiche commerciali scorrette

Direttiva consumatori 2019 e pratiche scorrette

La Direttiva consumatori 2019 e le pratiche commerciali scorrette online: adv occulta, recensioni, secondary ticketing e molto altro.

Il 17 aprile 2019 il Parlamento Europeo ha approvato, con 474 voti favorevoli, 163 contrari e 14 astensioni, la Direttiva consumatori 2019, ovverosia una normativa con la quale il Legislatore europeo si prefigge di ammodernare gli strumenti giuridici esistenti all’interno dell’Unione a tutela dei consumatori, superando quel gap che le discipline esistenti oramai accusano in considerazione degli sviluppi dell’economia digitale. Occorre sottolineare, peraltro, che il testo così come licenziato dal Parlamento Europeo si basava già su di un accordo informale raggiunto con l’altro organo del procedimento legislativo ordinario UE, vale a dire il Consiglio. Non a caso, infatti, il 2 maggio il Consiglio ha sostanzialmente dato il via libera all’adozione della Direttiva, limitandosi a sollecitare alcune rettifiche giuridico-linguistiche del Parlamento prima di pervenire alla approvazione formale. Occorre sottolineare che le modalità con cui il Legislatore Europeo ha deciso di intervenire sono tipiche di un intervento di riforma/ammodernamento della legislazione esistente, di cui, del resto, è confermata l’assoluta validità e imprescindibilità nella tutela del consumatore. Di conseguenza, diversamente da quanto è avvenuto ad esempio con il GDPR in materia di privacy, non è stato adottato un nuovo atto-fonte che riscrive la materia, bensì si è proceduto alla modifica “puntuale” delle quattro direttive già esistenti. Più in particolare, le modifiche hanno interessato le Direttive:

  • 2005/29/EC relativa alle pratiche commerciali scorrette;
  • 2011/83/EU relativa ai diritti del consumatore;
  • 93/13/EEC relativa alle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori;
  • 98/6/EC in materia di indicazione dei prezzi dei prodotti offerti ai consumatori.

Analizziamo, quindi, le novità più importanti che sono state apportate dalla Direttiva consumatori 2019 alla prima delle Direttive menzionate, rinviando a un’altra pubblicazione la disamina delle modifiche apportate alle ulteriori normative e tenendo comunque presente che la Direttiva consumatori 2019 intende perseguire i suoi obiettivi incidendo sul complesso normativo esistente attraverso l’incremento delle capacità di deterrenza delle norme, della proporzionalità degli strumenti di public enforcement con norme più severe in ordine alle sanzioni e procedure di contestazione-accertamento delle infrazioni più efficaci, nonché mediante il rafforzamento del ricorso da parte del consumatore ai rimedi individuali.

Direttiva consumatori 2019 e pratiche commerciali scorrette

Con riferimento specifico alle pratiche commerciali scorrette, va anzitutto precisato che esse possono verificarsi sotto forma di pratiche commerciali aggressiveingannevoli. Le relative definizioni sono contenute, per quel che concerne l’ordinamento italiano, nel Codice del consumo (D. Lgs. 206/2005) che riproduce, tuttavia, le costruzioni concettuali di matrice europea. Più nello specifico, per pratica commerciale scorretta si intende ogni azione professionale che «è contraria alla diligenza professionale ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto […]» (art. 20) e detta pratica sarà ingannevole allorché contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea a indurre in errore il consumatore medio riguardo a elementi decisivi dell’operazione negoziale e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso (art. 21), nonché in alcune ipotesi esplicitamente considerate tali dalla legge (artt. 22 – 23), mentre infine sarà aggressiva allorché «mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso».

Ciò chiarito, con riferimento ai rimedi individuali la Direttiva consumatori 2019 non apporta significative novità al panorama delle tutele già riconosciute dall’ordinamento interno: stabilisce, infatti, come gli Stati Membri dovranno assicurare che, in caso di pratiche commerciali scorrette, come nel caso di marketing aggressivo, il consumatore possa attivare sia rimedi che vengono a incidere sull’efficacia del contratto (garantendo quantomeno il diritto di sciogliersi dello stesso) sia rimedi riequilibratori (assicurando almeno la possibilità di ottenere il risarcimento dei danni). Il Parlamento Europeo, in verità, ha sul punto emendato il testo così come proposto dalla Commissione Europea, precisando che vadano inoltre previsti «rimedi proporzionati ed effettivi» incluso «se pertinente, la riduzione del prezzo […]. Gli Stati membri possono stabilire le condizioni per l’applicazione e gli effetti di tali rimedi. Gli Stati membri possono tener conto, se del caso, della gravità e della natura della pratica commerciale sleale, del danno subito dal consumatore e di altre circostanze pertinenti […]. Detti rimedi non pregiudicano l’applicazione di altri rimedi a disposizione dei consumatori a norma del diritto dell’Unione o del diritto nazionale» (art. 1 – punto 5; Direttiva 2005/29/CE, nuovo articolo 11 bis).

Dal punto di vista sanzionatorio, invece, la Direttiva del 2005 è aggiornata individuando un elenco, non tassativo, di criteri di commisurazione delle misure repressive da infliggere ai trasgressori da parte delle Autorità di Vigilanza (nel caso dell’Italia, l’AGCM). In particolare, poi, in caso di sanzione di carattere pecuniario, le Authorities dovranno tener conto del fatturato degli operatori commerciali, dell’utile netto e delle eventuali ammende inflitte per la stessa violazione in altri Stati membri, con la significativa precisazione che – per le ipotesi più gravi, cioè per le infrazioni diffuse e le infrazioni diffuse con una dimensione transnazionale – la sanzione massima applicabile non dovrà essere inferiore al 4% del fatturato dell’autore dell’illecito nello Stato o negli Stati Membri interessati o, in caso di mancanza dei dati occorrenti, forfettariamente non inferiore a 2 milioni di euro (art. 1 punto 6; Direttiva 2005/29/CE, nuovo art. 13).

Risultati sponsorizzati, adv occulta, dual quality product, recensioni e molto altro

Una novità particolarmente importante dal punto di vista sostanziale, poi, è sicuramente quella relativa alle ricerche con risultati sponsorizzati. Le nuove norme, più nello specifico, riguardano  marketplace online e servizi comparativi (ad esempio eBay, Airbnb, Skyscanner o Amazon; quest’ultima, peraltro, di recente oggetto di un’istruttoria da parte dell’Antitrust per questioni similari).

Ebbene, coloro i quali forniscono servizi di confronto dovranno rivelare i principali parametri che determinano la classificazione delle offerte risultanti da una ricerca. In particolare, attualmente i risultati sponsorizzati – quelli che ottengono un posizionamento migliore in virtù di un apposito servizio acquistato dall’impresa “in vetrina” e quelli in cui è la stessa inclusione nelle ricerche a essere dovuta al rapporto esistente tra il marketplace o il motore di ricerca e l’impresa – sono spesso non indicati come tali, oppure comunque di tale aspetto si dà conto all’utente con modalità ambigue e non sufficientemente chiare. La Direttiva, allora, stabilisce il divieto assoluto di advertising occulta, imponendo alle piattaforme di indicare con chiarezza quando e quali risultati sono “favoriti” o addirittura inclusi nella ricerca dell’utente in forza di una remunerazione percepita dalla piattaforma stessa e, soprattutto, le modalità di costruzione dei risultati offerti all’utente, rendendo trasparenti i parametri che l’algoritmo usa per anteporre un dato risultato a un altro.
E infatti, vengono considerate come elementi rilevanti ai fini della concretizzazione di omissioni ingannevoli «le informazioni generali, rese disponibili in un’apposita sezione dell’interfaccia online che sia direttamente e facilmente accessibile dalla pagina in cui sono presentati i risultati della ricerca, in merito ai parametri principali che determinano la classificazione dei prodotti presentati al consumatore come risultato della sua ricerca e all’importanza relativa di tali parametri rispetto ad altri parametri» (nuovo paragrafo 4-bis dell’art. 7 della Direttiva emendata).
Si tratta di una novità estremamente importante, come si vede anche con riferimento alle modifiche che la Direttiva consumatori 2019 apporta alla direttiva del 2011 sui diritti del consumatore.

La Direttiva, tuttavia, si spinge oltre, affrontando il problema del “dual quality product“, ossia del fenomeno che si realizza allorché un prodotto è commercializzato in maniera analoga in diversi altri Stati membri (essenzialmente con lo stesso marchio), ma presenta una composizione o caratteristiche significativamente diverse che, quindi, possono o potrebbero indurre il consumatore medio a prendere una decisione “transazionale” diversa da quella effettivamente adottata.
La Direttiva, allora, impegna gli stati a verificare se, alla stregua di alcuni parametri che la normativa europea detta, la pratica commerciale in questione possa essere considerata come ingannevole, giacché è ovvio come sia particolarmente elevato il rischio che il consumatore acquisti il bene o il servizio nel ragionevole convincimento che esso, acquistato in un diverso Stato Membro, fornisca le stesse utilità che quel medesimo prodotto assicura nel suo mercato nazionale.
La direttiva, inoltre, contempla “una clausola di riesame”: si prevede, infatti, che la Commissione debba esaminare l’evoluzione della situazione entro due anni, così da verificare se sia il caso di inserire, con una misura ancor più rigorosa, la pratica in questione nella black list (si pensi, ad esempio, agli artt. 22-23 Cod. Cons. già menzionati e all’allegato 1 della Direttiva) dei comportamenti considerati scorretti in via presuntiva e assoluta dalla legge.

E ancora, sempre in termini di eventuale ingannevolezza delle omissioni del professionista, una norma ad hoc è dettata in materia di recensioni pubblicate dagli utenti. In particolare, infatti, a tal fine «sono considerate rilevanti le informazioni che indicano se e in che modo il professionista garantisce che le recensioni pubblicate provengano da consumatori che hanno acquistato o utilizzato il prodotto». In altri termini, potrebbe dar luogo a un’omissione ingannevole la pratica commerciale che consista nel rendere disponibili agli utenti delle recensioni pubblicate da altri soggetti senza specificare (se e) quali misure il professionista adotta per assicurare che non si tratti di fake (nuovo paragrafo 6 dell’art. 7 della Direttiva emendata).
In termini più generali, il Legislatore europeo rileva come, quando i processi di verifica della genuinità delle recensioni sono operativi occorrerebbe «precisare quali sono le modalità di svolgimento delle verifiche e fornire ai consumatori informazioni chiare sul modo in cui vengono elaborate le recensioni, ad esempio se vengono pubblicate tutte le recensioni, sia positive che negative, o se le recensioni sono state sponsorizzate o influenzate da un rapporto contrattuale con un professionista» (Cfr. Considerando 47).

Inoltre, la Direttiva consumatori 2019 abilita gli Stati Membri a prevedere delle restrizioni o addirittura delle proibizioni in materia di pratiche commerciali (soprattutto se aggressive o ingannevoli) che si sostanzino in ripetute e sgradite sollecitazioni da parte di un professionista presso l’abitazione di un consumatore, cioè non effettuate su richiesta del consumatore (ad esempio fissando un appuntamento con il commerciante) in quanto, fermo restando che tale pratica commerciale in sé considerata e nella sua dimensione fisiologica è perfettamente lecita, si è preso atto che – nella loro dimensione patologica – tali pratiche spesso prendono di mira persone anziane o altre categorie di consumatori vulnerabili e quindi necessitano di essere regolamentate in maniera più stringente (cfr. Considerando 54). Laddove peraltro tali restrizioni siano giustificate da motivi di interesse pubblico o dalla tutela del rispetto della vita privata (quindi da ragioni diverse da quelle strettamente “negoziali”, regolate dalla normativa consumeristica) esse fuoriescono dall’ambito applicativo della direttiva 29/2005.

Particolarmente importanti sono poi le novità che la Direttiva consumatori 2019 apporta all’allegato 1, che contempla un lungo elenco di pratiche commerciali considerate «in ogni caso sleali».
Tra esse, infatti, viene inserito anche il secondary ticketingallorché venga a presentare particolari caratteristiche. In particolare, è scorretta quella pratica di rivendita ai consumatori di biglietti che il professionista ha acquistato «utilizzando strumenti automatizzati per eludere qualsiasi limite imposto riguardo al numero di biglietti che una persona può acquistare o qualsiasi altra norma applicabile all’acquisto di biglietti».
Dunque, non è considerata illecita la mera rivendita di biglietti, ma solo quella che si svolga con modalità truffaldine, perché la disponibilità massiva dei titoli di accesso all’evento deriva al professionista dall’impiego di mezzi automatizzati capaci di eludere i sistemi di limitazione «o qualsiasi altra norma» che possa venire in rilievo. Nell’ipotesi, quindi, l’acquirente potrebbe avvalersi dei rimedi individuali cui prima si è fatto riferimento e, nel caso di specie, è facile immaginare come – più che la risoluzione del contratto – sarà la riduzione del prezzo  (sovente esageratamente “gonfiato” dal professionista) lo strumento più idoneo, perché tale da consentire al consumatore di fruire dell’utilità cui ambisce (assistere all’evento) neutralizzando al contempo il profilo sleale della pratica commerciale (ovverosia la maggiorazione di prezzo che di frequente si accompagna alla necessità di acquistare il biglietto sui canali di secondary ticketing per via dell’accaparramento massivo operato da questi ultimi e della correlata indisponibilità sui canali ordinari).
Ancora, tra le pratiche da black list viene inserita quella che consiste «nell’inviare o incaricare un’altra persona giuridica o fisica di inviare recensioni di consumatori false o falsi apprezzamenti o di fornire false informazioni in merito a recensioni di consumatori o ad apprezzamenti sui media sociali, al fine di promuovere prodotti». Si prende atto, infatti, che «al momento di effettuare le loro decisioni di acquisto, i consumatori si affidano sempre più spesso alle recensioni e raccomandazioni di altri consumatori» (cfr. Considerando 47), sicché va tutelata in maniera esplicita la genuinità delle stesse, impedendo ad esempio anche pratiche come quelle di occultamento delle recensioni negative e pubblicazione solamente di quelle positive (cfr. Considerando 49).

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