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Diritto d'autore e contenuti digitali: tanto rumore per nulla?

Diritto d'autore e contenuti digitali: tanto rumore per nulla?

La proposta di Direttiva formulata dalla Commissione Europea in materia di diritto d'autore digitale introduce diverse novità: eccone alcune.

L’evoluzione delle tecnologie digitali ha cambiato non solo il modo in cui le opere dell’ingegno vengono prodotte, ma anche quello con cui vengono distribuite e sfruttate. I consumatori, in particolare, hanno potuto fruire di nuove opportunità di accesso a contenuti protetti dal diritto d’autore. Ciò ha determinato, come è facile intuire, da un lato una maggior facilità per gli autori di ottenere visibilità per le proprie opere, dall’altro una maggior difficoltà per autori ed editori di veder garantita una adeguata remunerazione per la fruizione dei contenuti. Proprio al fine di colmare questo value gap tra sfruttamento economico analogico e digitale delle opere dell’ingegno, la Commissione Europea ha predisposto una proposta di direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico.

Diritto d’autore e diffusione del web: fee obbligatorio e misure antipirateria

La materia, ad oggi ancora regolata in ambito comunitario dalla risalente direttiva 2001/29/CE, dovrebbe prevedere la necessità di un previo accordo tra l’editore, ovverosia il soggetto che detiene i diritti di sfruttamento economico di una data opera dell’ingegno e i “prestatori di servizi della società dell’informazione“.

Con quest’ultima articolata definizione, la direttiva intende far riferimento a quelle piattaforme come YouTube Spotify che consentono di accedere ad una sterminata mole di prodotti dell’ingegno (contenuti audio o audiovisivi) e che, tuttavia, solo in alcuni casi garantiscono ai titolari dei diritti (autori/editori) il dovuto compenso.

L’art. 13 della nuova direttiva, sulla scia di altri interventi protettivi, andrebbe a rafforzare le tutele per i titolari, imponendo ai soggetti che realizzano la diffusione del materiale digitale l’adozione di misure miranti a garantire il rispetto degli accordi conclusi con i titolari per l’uso delle loro opere, nonché volte ad impedire che taluni contenuti siano messi a disposizione sui propri servizi.

Nell’ottica di agevolare poi la conclusione degli accordi di licenza occorrenti per la pubblicazione del materiale, all’art. 10 viene previsto un apposito meccanismo di negoziazione. Ogni stato membro dell’UE dovrà garantire che le parti (autore/editore e piattaforme di divulgazione) possano avvalersi dell’assistenza di un organismo imparziale e con esperienza che presti assistenza nella negoziazione e a sostegno della conclusione degli accordi, specie in caso di difficoltà riguardanti la concessione in licenza del diritto d’autore.

Chiaro quindi il doppio binario che intende percorrere il legislatore comunitario: da un lato imporre la stipulazione di accordi di licenza per estirpare gli utilizzi abusivi” delle opere dell’ingegno – essenzialmente al fine di garantire, così, una adeguata remunerazione a chi su di esse detiene i diritti –, dall’altro agevolare le parti nelle trattative e nella conclusione degli accordi in questione, anche attraverso l’intervento di un’apposita Autorithy che potrà svolgere funzione di intermediazione o anche di prevenzione del contenzioso.

Piuttosto criticabile, tuttavia, è la scelta di imporre alle piattaforme di divulgazione l’adozione di «tecnologie efficaci per il riconoscimento dei contenuti». In altri termini, gli interessati dovrebbero dotarsi di appositi software bot in grado di riconoscere in via automatizzata i contenuti pubblicati in violazione degli accordi stipulati con i titolari del diritto d’autore. In realtà, se Google ha già investito 60 milioni di dollari in un programma che rimuove automaticamente i video pirata, non è difficile comprendere come siti più piccoli potrebbero trovarsi in seria difficoltà ad adeguarsi se occorresse investire somme del genere. Dunque, il provvedimento della Commissione europea potrebbe produrre l’effetto – non voluto – di alterare la concorrenza rafforzando la leadership del soggetto dominante a scapito degli altri operatori.

In mancanza di più precise previsioni nel testo normativo, la soluzione del problema sarà rimessa alle singole normative statali di recepimento ed attuazione della direttiva. Alcune indicazioni generali possono comunque trarsi dai criteri di adeguatezza proporzionalità cui la direttiva “àncora” le richieste tecniche in questione, suggerendo quindi una graduazione degli strumenti richiesti anche in ragione delle dimensioni e delle possibilità della piattaforma.

Arriva la link tax: balzello sulle condivisioni o polverone ingiustificato?

Una delle previsioni più criticate della proposta di direttiva attiene alla cd. link tax. Va detto, infatti, come l’art. 11 del testo preveda testualmente che «gli Stati membri riconoscono agli editori di giornali i diritti di cui all’articolo 2 e all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2001/29/CE per l’utilizzo digitale delle loro pubblicazioni di carattere giornalistico».

Si tratta semplicemente di una formulazione criptica con cui, attraverso il rinvio alla precedente direttiva in materia di diritto d’autore, si intende precisare che anche agli editori di giornali spetta il diritto di riproduzione e comunicazione delle opere, ovverosia la possibilità di regolarne, consentendola, condizionandola o vietandola, la diffusione. È chiaro, poi, che – trattandosi di norma di rapporti tra società commerciali –  l’assenso alla divulgazione presupporrà quasi sempre la stipula di un contratto oneroso e a prestazioni corrispettive. Dunque, anche gli editori potranno pretendere un compenso nel caso in cui le pubblicazioni su cui detengono i diritti siano utilizzate da terzi.

In questi termini, comunque, si tratterebbe di una previsione che poco o nulla aggiunge all’attuale assetto normativo di gran parte dei paesi dell’Unione. In Italia, ad esempio, la legge sul diritto d’autore – sebbene risalga ad oltre 70 anni fa (L. 633/41) – già prevede che siano considerati autori delle opere collettive (categoria giuridica in cui ricadono i giornali) coloro che organizzano dirigono le opere stesse, ovverosia proprio gli editori (art. 7).

E allora, se nulla si amplia per quanto riguarda la “platea” dei soggetti legittimati ad ottenere la rimunerazione per l’utilizzo dei contenuti giornalistici, quale significato operativo potrebbe attribuirsi alla previsione in questione? Si è ritenuto, in effetti, che essa non incida sull’ambito soggettivo bensì su quello oggettivo, cioè sul novero di casi in cui è possibile da parte dei titolari del diritto d’autore pretendere la corresponsione di un compenso per la pubblicazione della notizia: in assenza di indicazioni più precise, infatti, avrebbe pieno fondamento giuridico anche la pretesa di una somma per la mera condivisione della notizia da parte degli utenti del web, magari proprio attraverso i  social network .

Quindi, ogni qual volta un utente oltre che fruire di una notizia si decidesse a “rilanciarla” ai suoi contatti (amici, followers, ecc.) ci si troverebbe dinanzi ad un utilizzo economicamente rilevante e tale, quindi, da giustificare una pretesa remunerativa da parte dell’editore.

Chiaro che, in difetto di un accordo con i maggiori social network per consentire una “libera circolazione” delle notizie, magari attraverso la corresponsione da parte della piattaforma stessa di una somma forfettaria al titolare dei diritti economici sulla pubblicazione, questi costi rimarrebbero a gravare proprio sull’utenteche quindi potrebbe essere enormemente disincentivato a far circolare le notizie sulla piattaforma.

Sebbene la previsione risulti colpevolmente generica, l’allarme lanciato comunque non pare del tutto convincente: depone in senso contrario rispetto ad una interpretazione come quella proposta, del resto, lo stesso intervento tenuto dal presidente della Commissione, J. C. Junker, in occasione del discorso sullo stato dell’Unione del 2016, ove il rappresentante dell’esecutivo UE ha affermato che «il lavoro di giornalisti, editori e autori deve essere giustamente retribuito, che sia svolto in una redazione o a casa, che sia diffuso offline o online, che sia pubblicato con una fotocopiatrice o con un hyperlink commerciale sul web».

La condivisione, quindi, per poter essere suscettibile di remunerazione, deve essere veicolata con un link che, oltre ad incorporare immagini ed anteprima, abbia natura commerciale e cioè risulti collegato ad un rapporto contrattuale a titolo oneroso (ad es. una sponsorizzazione), mentre tale non è l’attività dei semplici utenti-fruitori delle notizie.

Per avere maggiori certezze, comunque, occorrerà attendere il testo definitivo prima e le normative nazionali di recepimento poi: la strada, dunque, è ancora lunga.

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