Home / Macroambiente / Donne, lavoro e maternità: alla ricerca di un equilibrio tra famiglia e carriera

Donne, lavoro e maternità: alla ricerca di un equilibrio tra famiglia e carriera

Lavoro femminile: donne alla ricerca di equilibrio tra famiglia e carriera

Donne, lavoratrici e mamme: lo scenario attuale riguardo a lavoro femminile e maternità spiega perché c'è ancora tanta strada da fare.

Dal movimento femminista degli anni 70′ molte cose sono cambiate per le donne, in Italia e nel mondo. In un passato relativamente recente, però, alle donne sposate non era nemmeno consentito disporre del reddito proveniente dal proprio lavoro (il riferimento chiaramente è a quelle a cui era concessa la possibilità di lavorare fuori casa).

Mentre il lavoro femminile extradomestico è diventato, dopo anni di lotta, un presupposto del contesto socio-economico e culturale contemporaneo, la battaglia verso la parità di opportunità nedl mercato del lavoro non è ancora finita e la strada da percorrere sembra essere molto lunga. Se da un lato, però, c’è un contesto socio-economico che presuppone sempre di più la necessità di un doppio reddito per far fronte alle spese familiari, dall’altro spesso le donne non hanno la possibilità di conciliare lavoro e vita domestica.

Frequentemente, infatti, esse si ritrovano a dover scegliere tra la famiglia o la carriera, riscontrando difficoltà nella crescita professionale a causa delle problematiche relative alla gestione degli impegni domestici e di quelli lavorativi. È opportuno, allora, chiedersi quali sono i fattori che incidono su questi aspetti, ma anche cosa si può fare per superare gli elementi che ostacolano le pari opportunità relative al genere e anche perché le donne sono costrette a scegliere ancora tra il sogno di costruire una famiglia e il desiderio di fare carriera.

IL DURO RITRATTO DELLE MADRI ITALIANE

Secondo alcuni dati Istat, il tasso di occupazione femminile nel 2017 ha raggiunto il 49,2%, un record storico ma ancora distante (più di 10 punti) dalla media europea. Anche se l’occupazione femminile aumenta, però, conciliare impegni familiari e lavorativi non sempre è semplice, specialmente per le mamme. Questa categoria di madri italiane viene identificata come quella delle “equilibriste” dal Rapporto mamme italia 2017 di ‘Save the children’.

Al lavoro domestico, comunque, nella fascia d’età tra i 25 e i 44 anni, le donne dedicano 3 ore e 25 minuti al giorno, contro un’ora e 22 minuti degli uomini. Lo stesso vale per il lavoro riservato alla cura dei familiari conviventi, in particolare dei figli fino a 17 anni: 2 ore e 16 minuti al giorno è il tempo impiegato dalle donne, contro un’ora e 29 minuti degli uomini. 

Confronto per genere del tempo medio impiegato per per lavori domestici

Confronto per genere del tempo medio impiegato per per lavori domestici in un giorno della settimana (2013). Fonte: Istat-Rapporto Save the children, Le equilibriste 2017

Secondo Eurostat, poi, oltre al carico di lavoro a casa, in media superiore a quello degli uomini, le difficoltà lavorative delle donne, nella fascia d’età compresa tra i 25 e i 49 anni, aumentano in corrispondenza dell’aumento del numero di figli e a questo incremento corrisponde una diminuzione del tasso di occupazione: dal 62,2% per le donne italiane senza figli si scende al 58,4% per le donne con un figlio (percentuale ben lontana dalla media europea, pari al 72,5%), fino ad arrivare al 41,4% nel caso di donne con tre e più figli, dimostrando così come la situazione del lavoro femminile in Italia sia ancora fortemente connessa a quella familiare.

Le equilibriste 2017

Fonte: Eurostat-Rapporto di Save the children, Le equilibriste 2017

LA SOLUZIONE? DIMETTERSI DAL RUOLO DI MAMMA

Tanti impegni e poche agevolazioni per le donne che lavorano e intendono diventare mamme: questo è la scenario attuale, delineato da alcuni studi. Secondo i dati Istat del 2015, il 30% delle donne occupate abbandona il lavoro dopo la gravidanza; in base alla relazione annuale dell’Ispettorato del lavoro nel corso del 2016 il 78% delle dimissioni volontarie ha riguardato le madri lavoratrici. Dati davvero infelici, insomma, specialmente se si considerano le motivazioni alla base delle dimissioni, tra cui vi è “la difficoltà a conciliare il lavoro e le esigenze di cura dei figli,  segnalata in 13.854 casi di dimissioni. Entrando nel dettaglio, vengono individuate anche altre difficoltà, come “l’assenza di parenti di supporto“, “il mancato accoglimento al nido” e costi troppo elevati per la “assistenza del neonato (es. asili privati o baby sitter)“.

Più difficili da trovare sono sicuramente i dati relativi alle interruzioni del rapporto di lavoro non volontarie e alle pratiche illegali portate avanti (per troppo tempo) da molti datori di lavoro attraverso le diffuse dimissioni in bianco: la richiesta di una firma su una lettera di dimissione con data in bianco, in modo da poterla usare, per esempio, in caso di gravidanza, costituisce una crudele forma di ricatto nei confronti delle giovani donne che decidono di avere un bambino. I dati Istat mettono in evidenza come con molta frequenza le interruzioni di lavoro da parte delle giovani madri siano tutto fuorché una scelta volontaria: l’8,7% delle madri lavoratrici o che hanno lavorato in passato ha dichiarato, infatti, di aver subito un licenziamento oppure di essere stato costretto a dimettersi a causa di una gravidanza, come riportato nel rapporto di Save the Children. Proprio per cercare di combattere le dimissioni imposte dai datori di lavoro, da marzo 2016 è prevista la consegna delle dimissioni volontarie e di fine del rapporto lavorativo esclusivamente per via telematica, partendo dal sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, secondo il Decreto Legislativo n.151/2015.

Tralasciando le ricerche che mettono in evidenza la disparità di retribuzioni tra “lavoro maschile” e “lavoro femminile“, è opportuno soffermarsi sugli studi che sottolineano l’esistenza motherhood penalty“, la frequente penalizzazione subita dalle lavoratrici riguardo a contrattazione e stipendio. Da uno studio condotto dall’Università Cornell è emerso, per esempio, come le donne senza figli abbiano una probabilità di essere raccomandate per ottenere una promozione 8,2 volte superiore rispetto alle lavoratrici madri.

Se la dimissione dal lavoro sembrerebbe essere, però, in alcuni casi l’unica soluzione, cosa si direbbe se le donne decidessero invece di dimettersi dal ruolo di madre? Questo è il quesito da cui parte l’iniziativa “Moms Don’t Quit” che, con un video provocatorio, pone la questione: cosa accadrebbe se le mamme consegnassero una lettera di dimissione ai propri figli«Ho bisogno di lavorare e una donna che lavora non può essere anche una mamma», leggono le mamme ai loro bambini in un video molto ironico ma commovente, in cui sono gli stessi bambini a dimostrare l’assurdità della scelta che molte donne sono costrette a fare.

MATERNITÀ: CHI RESTA A CASA E PER QUANTO TEMPO?

Esistono diverse tipologie di benefici e agevolazioni concesse ai genitori e le normative a riguardo cambiano molto a seconda del paese, cosa che influisce anche sui tassi di natalità. Il tipo di congedo più comune, comunque, è quello di maternità. Secondo l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, «il congedo di maternità è il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro riconosciuto alle lavoratrici dipendenti durante la gravidanza e il puerperio». Questo periodo ha la durata complessiva di cinque mesi, corrispondenti nello specifico ai due mesi precedenti alla data del parto e i tre successivi oppure, mediante il permesso del medico, decorre un mese prima della data del parto e per i quattro mesi successivi.

papà cura figlio neonato

Fonte: DepositPhoto

Il congedo di paternità in Italia, invece, prevede un periodo obbligatorio di astensione dal lavoro di 4 giorni, da fruire entro il quinto mese di vita del bambino, come si legge nell’articolo 1, comma 354, legge 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di bilancio 2017). Inoltre, è previsto anche un periodo di astensione facoltativo rivolto ai padri, ma che però può essere richiesto in sostituzione della madre in alcuni casi specifici come morte o malattia grave della donna; abbandono del bambino o affidamento esclusivo al padre; rinuncia al diritto da parte della madre in situazioni di adozione o affidamento. Durante i periodi di congedo di maternità e paternità, il lavoratore o la lavoratrice hanno diritto a un’indennità, da parte dell’INPS, pari all’80% della retribuzione giornaliera, calcolata di solito sulla base dell’ultimo mese di lavoro precedente il mese di inizio di congedo.

Esiste, poi, un’altra modalità facoltativa per entrambi i genitori (di figli minori di 12 anni): si tratta del congedo parentale che dà la possibilità di astenersi dal lavoro per sei mesi per la madre e sette mesi per il padre. I genitori, inoltre, possono anche decidere di assentarsi contemporaneamente per un periodo non superiore a undici mesi. Per l’anno solare di 2018, l’INPS prevede per i genitori che richiedano la fruizione di questo diritto facoltativo

  • il congedo parentale retribuito al 30% nel caso di figli fino a 6 anni;
  • il congedo parentale retribuito al 30% per famiglie disagiate nel caso di figli da 6 a 8 anni;
  • il congedo parentale non retribuito nel caso di figli da 8 fino a 12 anni.

SITUAZIONE LAVORO FEMMINILE: CHI PUÒ (E DEVE) AGIRE IN QUESTA LOTTA?

Il ruolo preponderante della donna nel mercato di lavoro è ormai, finalmente, un dato più che scontato. Nonostante ciò, l’idea che la cura dei bambini debba diventare una responsabilità maggiormente condivisa non sempre risulta ovvia. Per responsabilità condivisa, comunque, si intende non solo la ripartizione dei compiti tra genitori e altri membri della propria famiglia ma anche il coinvolgimento di tanti altri soggetti, partendo dagli enti pubbliciorganizzazioni non-profit aziende.

Un buon punto di partenza: la propria casa

Sicuramente, promuovere il cambiamento partendo dal proprio nucleo familiare potrebbe essere un buon punto di partenza per trovare maggiore equilibrio: se la mentalità non cambia all’interno di ogni casa, come possiamo pretendere che ci sia un vero cambiamento al di fuori di essa?

Molte persone mi chiedono: “Tu hai la tua azienda, hai tanti dipendenti e hai tre bambini. Come fai a gestire il tutto?”. La mia risposta è sempre: “Non riesco a gestire tutto!” Senza l’aiuto di tante persone, di marito, dei miei colleghi, dei miei dipendenti, di mia madre, dei miei vicini, non sarebbe del tutto possibile. E credo che qualsiasi persona che dica il contrario non stia dicendo la verità.

L’opinione di Gesa Lischka, CEO di Kochstrasse, agenzia tedesca di marketing, in un’intervista ai nostri microfoni, è quella di una madre-datore di lavoro che descrive la propria esperienza di madre lavoratrice come un «gioco di destrezza continuo per determinare a cosa devi dedicare più attenzione in un determinato momento: ai tuoi figli o al tuo lavoro. Devi per forza scendere a compromessi, non riuscirai a vedere i tuoi figli tanto quanto ti piacerebbe e non passerai tanto tempo a lavoro come vorresti».

Allo scopo di agevolare questo “gioco di destrezza”, da alcuni anni l’Unione Europea cerca di promuovere una maggior partecipazione dei padri nella cura dei propri figli. Nel rapporto del 2015 in materia di congedo parentale e di paternità vengono menzionati alcuni dei paesi in cui le normative in merito a maternità e paternità sembrano promuovere una maggior gender neutrality: in Portogallo, per esempio, per i padri sono previsti 20 giorni di congedo di paternità obbligatorio ed esclusivo (dunque non trasferibile alla mamma) e in Germania la legislazione concede benefit ai genitori che condividono le responsabilità parentali.

Come spiega Gesa Lishcka, quando le donne decidono di restare a casa per più di un anno e mezzo il ritorno al lavoro diventa molto difficile, specialmente in settori come quello del marketing, in costante evoluzione, cosa che implica un aggiornamento continuo da parte dei professionisti. In quest’ottica, la condivisione del tempo di congedo con il padre, potrebbe essere, ove possibile, una soluzione molto efficace per diversi motivi: per esempio, per una miglior distribuzione del lavoro domestico tra i due genitori, facilitando così il ritorno per entrambi al lavoro, evitando le difficoltà associate a congedi molto lunghi che possono ostacolare il reinserimento nel contesto lavorativo.

Non ci si può limitare, però al ruolo del padre: esistono tanti altri attori con cui bisogna aprire un dialogo diretto, come spiega Stefania Baucè, madre e consultant presso l’organizzazione Wise Growth:

È importante rivolgersi all’esterno negoziando con i diversi attori: marito, nonni, tate, capo, colleghi, collaboratori, amiche. La maggiore difficoltà è dovuta, quindi, alla mancanza di un confronto aperto con i vari attori del sistema. Il confronto, la comunicazione e la negoziazione rappresentano l’unica via per trovare punti di incontro verso una conciliazione migliore.

Il ruolo chiave delle aziende, dello Stato e dei servizi sociali

Le aziende hanno un ruolo fondamentale in quest’ottica. In effetti, dovrebbe partire anche dai datori di lavoro la preoccupazione di creare condizioni favorevoli affinché i dipendenti possano avere la serenità mentale che consenta loro di essere realmente produttivi. Questa condizione può realizzarsi se c’è la certezza che i propri figli siano in buone mani. Cosa succede, però, con uno sciopero a scuola o con l’assenza della babysitter? La CEO tedesca spiega che alla Kochstrasse è possibile portare i figli a lavoro, ovviamente con dei limiti e in situazioni eccezionali. Gesa Lischka aggiunge che questo tipo di flessibilità è possibile nel suo caso, poiché si tratta di un’agenzia di marketing in cui queste opzioni sono, solitamente, concesse purché i dipendenti adempiano i compiti che gli sono stati assegnati; tuttavia, in altri settori o aziende portare i figli a lavoro non è un’opzione contemplata.

Quando il tipo di lavoro non permette queste flessibilità, chi può correre in aiuto? Maggior ausilio dovrebbe provenire, per esempio, dalle istituzioni scolastiche: esistono ancora molte scuole primarie che non offrono servizi di mensa. Secondo l’indagine IPSOS per ‘Save the Children’, in questi casi il 67% dei genitori manderebbe il figlio alla mensa se questo servizio fosse disponibile e il 36% delle mamme intervistate ha fatto riferimento proprio ai disagi associati all’assenza della mensa scolastica.

Spesso anche la mancanza di servizi sociali adeguati diventa un serio problema. Come si legge nel Rapporto Asvis del 2017, la carenza di questi servizi e un «insufficiente sostegno alla maternità e paternità fanno sì che il 30% delle madri che hanno un lavoro lo interrompa alla nascita del figlio»L’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile segnala però i progressi raggiunti con l’ultima Legge di Bilancio mediante l’introduzione dei voucher per gli asili nido e i cosiddetti “bonus bebè“, cioè 1000 euro all’anno per l’iscrizione presso asili pubblici o privati, ma anche i “bonus mamma domani“, un totale di 800 euro per le nascite e per le adozioni. Tre misure indubbiamente importanti ma che, come spiegano gli esperti dell’Asvis, «purtroppo non bastano».

Il problema non riguarda ovviamente solo l’Italia o l’Europa. Come dichiara Georgene Huang, CEO e co-founder dell’azienda statunitense Fairygodboss, «negli Stati Uniti soltanto il 15% dei dipendenti ha accesso al congedo familiare retribuito, motivo per cui molte donne, dopo aver partorito, devono scegliere tra continuare a lavorare per soddisfare i bisogni economici e la riabilitazione fisica e psicologica dal parto».

Il supporto alle mamme da parte dalle organizzazioni contribuisce al benessere di tutti e, in ultima istanza, a quello aziendale, per cui la CEO statunitense mette in risalto l’importanza della «adozione di modelli alternativi di business»:

Dati raccolti da Fairygodboss, provenienti da migliaia di donne, dimostrano che le donne che hanno accesso a congedo di maternità retribuito e flessibile sono più soddisfate del proprio lavoro.

Da mamma lavoratrice a mamma lavoratrice

Chi meglio di una donna, comunque, può comprendere i problemi, i dubbi e le paure di un’altra donna? Geogene Huang, a tal proposito, sottolinea gli insegnamenti che le donne possono trarre dall’esperienza di altre mamme che lavorano o che hanno lavorato. «Non deve per forza trattarsi di un’esperienza così isolata», spiega, aggiungendo che trovare altre persone che possano fornire consigli pratici e supporto psicologico può rivelarsi una risorsa preziosa. Fairygodboss ha infatti la missione di aiutare le madri e le dipendenti (già madri o meno) attraverso la raccolta e condivisione di critiche e commenti di altre donne sulle aziende in cui hanno lavorato, relativi benefici concessi e flessibilità lavorativa; donne provenienti da tutto il mondo hanno così accesso a rating aziendali, proposte di lavoro e consigli in ambito professionale.

GLI STRUMENTI DI CONCILIAZIONE CASA-LAVORO: I PRO E I CONTRO

Quando si parla di conciliare gli impegni tra casa e lavoro, una soluzione che si palesa sembra essere quella del regime di lavoro part-time. In Italia, nella fascia d’età compresa tra i 25 e i 49 anni, la percentuale di donne occupate che lavorano part-time è del 34,6%, numero che sale con l’aumento del numero di figli (nel caso di donne con tre o più figli è del 43,1%), secondo i dati Eurostat. Un possibile svantaggio di questo regime, però, è la difficoltà di crescita professionale, come spiega Stefania Baucè:

Al rientro dalla seconda gravidanza ero riuscita ad ottenere un part-time […] però […] soprattutto nei primi anni un orario ridotto non risolveva in toto le esigenze di conciliazione e sicuramente professionalmente ha messo uno stop alla mia carriera professionale. In Italia, purtroppo, il part-time è ancora sinonimo di rallentamento o stop alla crescita lavorativa.

Georgene Huang, co-founder e CEO di Fairgodboss, ha descritto l’ambiente lavorativo all’interno della sua azienda come flessibile, poiché consente ai dipendenti di lavorare da casa o in part-time. Ovviamente è importante stabilire dei limiti alla flessibilità concessa ai dipendenti, dando loro la possibilità di gestire eventuali imprevisti di carattere personale e una maggiore libertà nella gestione del proprio lavoro, il tutto ammesso che riescano a portare avanti gli obiettivi prefissati.

Tra gli utili “strumenti di conciliazione” per le donne Stefania Baucè fa riferimento a smart working, asilo nido aziendale, lavoro part-time e corsi di rientro dalla maternità, ma avverte:

Queste pratiche non funzioneranno se all’interno non è avvenuto un reale e sentito cambiamento nella cultura manageriale di queste aziende. Perché questi strumenti possano essere efficaci deve esserci la reale accettazione di un nuovo modo di lavorare, per obiettivi e non basato sul presenzialismo, che valga per tutti e non solo per le esigenze delle madre lavoratrici.

ANCORA NON SI PUÒ AVERE TUTTO?

Rispondere alla domanda “È possibile trovare un equilibrio tra famiglia e lavoro?” in maniera monosillabica risulta impossibile, data la complessità dell’argomento. In effetti, come spiega Stefania Baucè

L’equilibrio non è raggiunto una volta per sempre, ma il balance è dinamico. Gli assetti che ogni donna organizza variano con il variare delle esigenze e del ciclo di vita, proprio e della famiglia.

L’esperienza di Anne-Marie Slaughter come madre lavoratrice l’ha portata a scrivere un articolo dal titolo “Perché le donne ancora non possono avere tutto” che nel 2012, nonostante alcune critiche, ha richiamato l’attenzione verso la difficoltà delle mamme nel gestire carriera e vita domestica. La prima donna ad occupare il ruolo di Direttrice delle Politiche di Pianificazione del Dipartimento di Stato nordamericano, sotto l’amministrazione Obama, spiega che diversi fattori fanno sì che la cura dei figli sia ancora oggi maggiormente appannaggio delle donne che, nella coppia, sono quelle che più spesso sacrificano la propria carriera per la famiglia: «Gli uomini sono ancora socialmente portati a credere che il loro dovere familiare primario sia quello di sostenere economicamente la propria famiglia; mentre le donne sono portate a credere che il loro dovere primario sia quello di cura». Si può dedurre che il problema in questione, purtroppo globalmente diffuso, abbia radici di natura storico-culturale molto profonde.

Gesa Lischka, Stefania Baucè e Georgene Huang, tre mamme, provenienti da tre paesi diversi, concordano nel dire che le donne sono oggetto di molta pressione e giudizio per quanto concerne la maternità, la cura della famiglia, ma anche per il tempo di congedo che decidono di prendere.

Georgene crede inoltre che per ragioni di carattere sociale ci sia una pressione maggiore sul sesso femminile per quanto concerne il tempo e l’attenzione dedicata alla famiglia e spiega: «Poche persone si chiederanno se l’uomo adempia alle proprie responsabilità familiari così bene come accade a livello professionale». Stefania Baucè, che ha contribuito alla scrittura del libro “Genitori al lavorol’arte di integrare figli, lavoro, vita” insieme a Laura Girelli, Adele Mapelli, Lucilla Bottecchia e Maria Cristina Bombelli, crede che potrebbe essere utile parlare di condivisione, anziché di conciliazione, «portando a bordo anche i padri nella cura dei figli. Iniziare quindi a diffondere il concetto di “genitorialità” e non solo di maternità», spiega l’autrice.

È possibile affermare, dunque, che la lotta in questione deve innanzitutto partire da un importante cambio culturale e di mentalità che promuova, nel tempo, la riformulazione (e non solo) anche dei modelli di business, creando i meccanismi necessari per poter rispettare i diritti delle donne che, oltre a un lavoro e a una carriera, hanno anche il desiderio e il coraggio di diventare mamme.

Altre notizie su:

© RIPRODUZIONE RISERVATA È vietata la ripubblicazione integrale dei contenuti

Resta aggiornato!

Iscriviti gratuitamente per essere informato su notizie e offerte esclusive su corsi, eventi, libri e strumenti di marketing.

loading
MOSTRA ALTRI