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Il potere placebo dei brand, tra aspettative e autostima

Effetto placebo sui consumatori: cos'è e che uso ne fanno i brand

Diversi studi rivelano che i brand possono avere un effetto placebo. In cosa consiste questo fenomeno? Come influisce sulle preferenze dei consumatori?

Prima di definire l’effetto placebo è opportuno partire dal singolo concetto di placebo, termine solitamente utilizzato in ambito medico per descrivere una sostanza o una cura priva di proprietà terapeutiche, ma che può portare a un miglioramento indotto dalle aspettative positive degli individui nei confronti della sostanza somministrata. L’effetto placebo, quindi, è quindi la reazione di un individuo che, inconsapevole di assumere una sostanza in realtà inerte, percepisce miglioramenti o effetti positivi. Che relazione esiste, però, con il marketing? Come fanno i brand a sfruttare questo fenomeno? Diversi studi mettono in evidenza proprio l’effetto placebo che i brand possono avere sui consumatori.

Effetto placebo: L’IMPATTO DELLE ASPETTATIVE E DEI BRAND

L’effetto placebo può essere ricondotto al ruolo che hanno le aspettative degli individui. In poche parole, se pensiamo che la diminuzione di un mal di testa possa essere la conseguenza della somministrazione di una sostanza che crediamo efficace (anche se in realtà innocua), è possibile effettivamente percepire una riduzione del dolore. Questo effetto può quindi essere connesso «all’attivazione delle aree sottocorticali e dei lobi frontali coinvolti nei sistemi motivazionali, in particolare nei processi di valutazione, delle emozioni e dell’aspettativa», come spiegato da Costantino Panza in “Neurobiologia dell’effetto placebo. L’esperto riconosce, infatti, nell’effetto placebo un «complesso meccanismo d’interazione tra mente, cervello e corpo», il che spiegherebbe in parte perché ciò che un individuo pensa e crede possa condizionare le risposte dell’organismo.

Come spiega l’enciclopedia Treccani, poi, associato a questo fenomeno può esserci anche una forma di condizionamento classico, cioè si impara per ripetizione ad associare la somministrazione di un determinato farmaco a una determinata risposta dell’organismo (come la riduzione del dolore, per esempio). Di conseguenza, è possibile indurre una risposta condizionata, in questo caso un vero effetto analgesico.

Ritornando però all’impatto di questo fenomeno in ambito marketing, se i brand riescono a condizionare le aspettative dei consumatori relativamente a efficacia, qualità o bontà di un prodotto è possibile che riescano anche a influire sulla loro percezione del prodotto. La comunicazione creata dal marchio , infatti, può condizionare le aspettative dei consumatori, guidando la percezione del gusto o dell’odore di un prodotto, per esempio, come spiegato da Vincenzo Russo, professore di Psicologia dei Consumi e Neuromarketing.

Case study del marchio ‘O BoticÁrio’: attenzione e aspettative

Restando ancora in tema “aspettative”, l’agenzia di neuromarketing Forebrain ha condotto uno studio per ‘O Boticário’, gruppo brasiliano che si occupa di profumi e prodotti di bellezza. L’indagine condotta mediante le tecniche di neuromarketing aveva lo scopo di comprendere l’impatto che una leggera variazione nella formula di una delle body lotion più vendute avrebbe potuto avere sull’esperienza di consumo. L’esperimento, riportato sul “Neuromarketing Yearbook 2018” dell’NMSBA, è stato realizzato in due giorni diversi nei quali durante l’applicazione delle due versioni della body lotion (cioè quella nuova e quella già in vendita) la reazione dei partecipanti all’uso e all’odore del prodotto veniva monitorata grazie a elettromiografia facciale, elettrocardiografia e pupillometria (misurazione del diametro della pupilla). Per capire se la conoscenza del brand potesse incidere sulla percezione del prodotto e individuare così un eventuale effetto placebo collegato al marchio, in entrambi giorni i partecipanti dovevano usare e sentire il profumo delle due lozioni corporali una alla volta durante il monitoraggio; tuttavia, durante il primo giorno è stato realizzato un blind test : il marchio, infatti, non veniva fatto vedere ai partecipanti, mentre nel secondo giorno invece sì. Il coinvolgimento attentivo indotto da entrambi i prodotti è stato misurato con l’elettrocardiografia, mentre l’elettromiografia facciale è stata usata per analizzare l’attivazione del muscolo corrugatore (collegato a emozioni negative) e di quello zigomatico (collegato a emozioni positive). Infine, la pupillometria è stata utilizzata per misurare l’arousal emotivo.

La ricerca ha messo in evidenza come i partecipanti fossero più attenti nel giorno in cui veniva presentato loro il marchio. Ciò, come riportato sul “Neuromarketing Yearbook 2018”, dimostra che «quando i consumatori conoscono il marchio che stanno valutando, saranno più attenti e potranno inoltre essere più critici nei confronti dei prodotti». Durante la fase di conoscenza del marchio c’era inoltre una maggiore attivazione del muscolo corrugatore mentre veniva usata la nuova versione della lozione. Lo studio, poi, ha dimostrato il ruolo che le aspettative nei confronti di un brand possono avere sulla percezione del prodotto: quando i soggetti conoscevano in anticipo il marchio della lozione e quindi erano anche più attenti, un leggero cambiamento nella formula della fragranza provocava una reazione più negativa rispetto alla versione in commercio che, alla fine, risultava quella preferita.

IL MARCHIO COME PLACEBO

Possiamo pensare, allora, al marchio come a un placebo: l’interpretazione del brand fatta dal cervello può suscitare emozioni, ricordiaspettative (come conseguenza dell’esposizione alla comunicazione del marchio) che, come abbiamo visto, influiscono sulla fruizione del prodotto e, a lungo termine, sullo sviluppo di un’eventuale preferenza. L’effetto placebo contribuisce a spiegare il modo in cui i marchi ben consolidati riescono ad aumentare in maniera sostanziale il valore dei propri prodotti e servizi (che spesso, oggettivamente, non possiedono caratteristiche qualitativamente superiori a quelli dei competitor ). Si pensi al classico blind test condotto da Read Montague che mette in evidenza la forza di una strategia di branding ben curata e consolidata nel tempo.

A questo proposito, Frank Germann, Aaron Garvey e Lisa Bolton hanno condotto un esperimento per comprendere l’impatto dell’effetto placebo sulla prestazione dei consumatori in determinate attività. Se pensiamo ai marchi sportivi, è vero che determinati materiali, design o caratteristiche possono contribuire a ottimizzare la performance degli atleti, in alcuni casi però nello studio condotto i prodotti utilizzati dai partecipanti erano esattamente uguali. La domanda da porsi, allora, è: la performance dei consumatori può essere condizionata dalle loro aspettative nei confronti del marchio utilizzato e del suo potenziale al fine di migliorare la propria prestazione? Agli individui è stato chiesto di partecipare a una ricerca di mercato su un nuovo putter (mazza utilizzata per giocare golf) lanciato sul mercato. Tutti hanno ricevuto un prodotto con le medesime caratteristiche, tuttavia i partecipanti sono stati divisi in tre gruppi: a un gruppo è stato detto che si trattava di un modello del marchio Nike, presentato come un brand di qualità superiore e più performante; a un altro gruppo i putter sono stati presentati come appartenenti ad altri brand; al terzo gruppo non sono state fornite informazioni relative al brand.

Gli stessi autori hanno condotto anche un altro esperimento: è stato chiesto ai partecipanti di indossare tappi per le orecchie durante la realizzazione di un esame di matematica allo scopo di evitare eventuali rumori o distrazioni e di migliorare la concentrazione. Come nel precedente studio, i partecipanti hanno ricevuto prodotti uguali, presentati però, in base al gruppo di appartenenza, come prodotti realizzati da marchi diversi (uno più efficace nel ridurre rumori, mentre degli altri non sono state specificate le caratteristiche).

I risultati dei due esperimenti sono stati simili: i partecipanti che credevano di usare un marchio più performante riuscivano ad ottenere risultati migliori, quindi punteggio più alto a golf e maggior numero di risposte corrette nel test di matematica. Secondo Frank Germann, professore presso l’Università di Notre-Dame, l’utilizzo di un marchio ritenuto più performante aumenta l’autostima degli individui rispetto all’attività o al compito da svolgere. «L’aumento dell’autostima riduce il livello di ansia, cosa che, di conseguenza, porta a migliori risultati», spiega l’autore.

UNA QUESTIONE DI AUTOSTIMA?

L’impatto dell’effetto framing, comunque, risultava essere minore nel caso di esperti o professionisti, a differenza dei principianti: «Le persone che hanno poca esperienza sono più insicure e soffrono maggiormente di ansia durante la realizzazione dei compiti – problemi, questi, che i brand aiutano a risolvere –, mentre gli esperti hanno maggiore autostima e meno ansia durante la realizzazione delle loro attività», spiega Germann.

Lo studio ha fatto luce su un altro aspetto interessante, cioè la differenza tra marchi volti a migliorare la performance (performance brand) e marchi di prestigio. Secondo Frank Germann, per aver un effetto placebo sui consumatori non basta che i brand siano considerati rinomati o di prestigio, ma «devono essere percepiti come brand in grado di migliorare la performance in un dato compito». In effetti, i partecipanti a cui era stato detto che avrebbero giocato con un putter di Gucci non hanno ottenuto risultati migliori rispetto a quelli che non avevano informazioni sul marchio, a differenza di ciò che è avvenuto invece a chi sapeva di utilizzare il putter Nike. Questo perché il marchio Gucci, nonostante il prestigio, non veniva percepito come maggiormente performante in questo campo. La ricerca permette di affermare, quindi, che i brand che riescono a affermarsi come brand più performanti nel settore di appartenenza possono produrre un effetto placebo sui propri clienti, contribuendo a ottimizzare la performance dei consumatori in attività fisiche ma anche in compiti strettamente cognitivi.

Kit Yarrow, psicologa dei consumi e autrice del libro “Decoding the New Consumer Mind: How and Why We Shop and Buy” spiega come packagingprezzo incidono sulle aspettative nei confronti di un prodotto, cosa che porta a ritenere che questo possa avere maggiori qualità di un altro proprio perché ha un design più bello o un prezzo più alto. In merito al ruolo dell’autostima nell’industria del beauty, per esempio, l’autrice aggiunge che se siamo convinti che un determinato rossetto ci renderà le labbra più carnose, allora «è molto probabile che vedremo ciò nello specchio».

Ovviamente una strategia di branding che punta a incidere sulle aspettative dei consumatori non basta per indurre questa suggestione. Se la comunicazione del brand non rispecchia le reali caratteristiche e potenzialità del prodotto la delusione provocata dalle false aspettative indotte può avere un impatto negativo sulla reputazione del marchio.

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