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Quello che racconta il caso Elle Darby su influencer marketing e turismo

Che lezioni dà il caso Elle Darby su influencer marketing e turismo?

Si è vista rifiutare un soggiorno in hotel in cambio di “visibilità”: che lezioni può dare il “caso” Elle Darby su influencer marketing?

Non è solo la storia di una blogger criticata aspramente dal direttore dell’hotel a cui chiedeva ospitalità in cambio di «visibilità». C’è una cosa che mostra chiaramente la vicenda di Elle Darby: l’ influencer marketing non è una scienza esatta, non ha regole o prassi formalizzate e applicabili in ogni contesto e, soprattutto, si porta ancora addosso retaggi non indifferenti, retaggi da cui per di più non sembrano immuni neanche soggetti che avrebbero dovuto imparare in questi anni a confrontarsi con la materia.

Capire chi davvero abbia sbagliato toni, modi, messaggi in un “caso” come quello che ha animato la polemica in questione, del resto, è difficile. Da un lato c’è una « social media influencer » – così si presenta lei stessa – con un canale Youtube da oltre 100mila iscritti e quasi 97mila follower su Instagram (a febbraio 2018, ndr) che chiede di poter soggiornare in hotel con il partner in cambio di contenuti branded destinati alla sua community. Dall’altro c’è il direttore di The White Moose Café, l’hotel dublinese in questione, che decide di rispondere pubblicamente con un post sulla pagina aziendale, condividendo uno screenshot della mail ricevuta e replicando che niente – acqua ed elettricità consumate durante il soggiorno, personale che si occuperà di sistemare la stanza, ecc. – si può pagare a sua volta con la «visibilità» offerta dalla youtuber.

Dear Social Influencer (I know your name but apparently it’s not important to use names),Thank you for your email…

Posted by The White Moose Café on Tuesday, January 16, 2018

A guardarla bene, così, l’intera vicenda sembra quasi essere frutto di «una strategia di marketing mirata da parte dell’albergatore, che in questo modo ha aumentato la visibilità di entrambi seguendo il vecchio adagio del nel bene nel male purché se ne parli», confessa durante un’intervista ai nostri microfoni Anna Pernice di Travel Fashion Tips. E, in effetti, il direttore del White Moose Café non sembrerebbe nuovo a infinite querelle sui social e a polemiche che accendano i riflettori sull’hotel: clienti vegani insoddisfatti dalle proposte del menù, celiaci, mamme che chiedono di allattare i loro bambini sono state fin qua le vittime di post dai toni ironici e che, agli occhi di qualcuno, sembrano voler provocare a tutti i costi, quasi alla ricerca spasmodica di quella stessa visibilità pure rifiutata come moneta di scambio.

Perché il turismo non può fare a meno di influencer e travel blogger

È difficile pensare, infatti, che un albergatore ignori completamente la direzione in cui si stanno muovendo le strategie di marketing e promozione nel settore turistico. C’è, cioè, una tendenza reale dietro alla proposta di Elle Darby: influencer marketing e collaborazioni con travel blogger e altri trend setter del settore sono leve su cui sta puntando sempre di più chi si occupa di ospitalità. Il modo in cui si prendono le decisioni di viaggio, infatti, è notevolmente cambiato: il turista è mediamente più informato, usa i social non solo per farsi ispirare sulle sue mete ma anche per organizzare logisticamente ogni dettaglio del suo viaggio e, soprattutto, sceglie in base a un meccanismo fiduciario basato sui consigli degli amici tanto quanto su quelli di piccole celebrità che segue su Instagram e non solo.

A patto di saper scegliere quelli giusti, insomma, investire su travel influncer, blogger e simili può portare anche nell’hotellerie a «un miglioramento del tasso di conversione, con non più semplici visitatori (del sito, delle pagine ufficiali, dei canali social, ndr) ma clienti e quindi più vendita delle camere», come sottolinea durante un’intervista ai nostri microfoni Marika Marangella, community manager e content creator con diverse esperienze nel settore del travel. Quello che l’albergatore avrebbe potuto fare ospitando gratuitamente nelle stanze del White Moose Café Elle Darby era, in altre parole, sfruttare il potere dei micro-influencer: sono persone comuni, spesso sconosciute ai più, particolarmente appassionate di qualcosa – lifestyle e beauty, nel caso in questione – e con un forte seguito all’interno della loro piccola community. Un micro-influencer che visita un albergo e che si gode in totale relax il soggiorno preparato per lui può invogliare decine di suoi fan se non a fare lo stesso, a prendere almeno in considerazione quell’hotel in fase di scelta. E proprio a proposito c’è chi, avendo provato a calcolare i tassi di engagement di Elle Darby e del direttore dell’hotel, ha fatto notare come la capacità di coinvolgere la community dell’una è più di dieci volte maggiore di quella dell’altro.

elle darby influencer marketing tasso engagement

elle darby influencer marketing tasso engagement white moose cafe

Fonte: Socialpeeks

Perché pagare un blogger se si lavora nell’ospitalità?

Se contestualizzata in una strategia di influencer marketing, opportunamente studiata e concordata con l’hotel, la richiesta di Elle sarebbe stata del tutto lecita. «Per blogger ed influencer – ribadisce infatti Silvia Ceriegi di Trippando.it – è normale essere invitati a provare esperienze di viaggio e di soggiorno, da soli, con il partner o con la famiglia. È normale anche essere retribuiti per raccontare attraverso blog e social un’esperienza di viaggio. È normale perché i lettori, il pubblico, i followers sono potenziali futuri clienti che si fidano delle opinioni del loro blogger di riferimento». Quello per cui un travel blogger o un travel influencer viene pagato, insomma, non è solo il suo tempo o i contenuti multimediali e social che è in grado di creare e che riguardano il brand : è, innanzitutto, la capacità di parlare a un target molto selezionato, potenzialmente interessato al prodotto o servizio in questione e che con ogni facilità si trasforma in un prospect per le aziende coinvolte. Ogni collaborazione, del resto, è scrupolosamente studiata da parte del blogger, frutto di una selezione rigorosa basata sui gusti personali e su quelli del proprio pubblico – se a un micro-influencer non piace un brand o se pensa che potrebbe non piacere alla sua community difficilmente la collaborazione andrà avanti – e preparata in ogni singolo dettaglio. La maggior parte di chi lavora nel mondo dell’ospitalità lo sa bene e da tempo ha cominciato a  lavorare a «dei veri e propri progetti che coinvolgano i blogger, che possono portare non soltanto visibilità alla struttura, ma anche un incremento delle prenotazioni, un cambio di immagine, ecc.» come racconta ancora Anna Pernice. «Le collaborazioni tra chi si occupa di ospitalità e travel blogger, il più delle volte, nascono da un trovarsi reciprocamente sui social – le fa eco Marika Marangella – e la formula migliore e più usata è proprio quella di concedere stanze con formula barter, che per chi non mastica il revenue management consiste nel mettere a disposizione una stanza per fini promozionali. In questo caso, l’unica cosa fondamentale è di dichiarare fin da subito la natura dei contenuti che verranno realizzati o che si richiede vengano realizzati».

Cosa è andato storto, insomma, nel caso di Elle Darby? C’è chi ha fatto notare come il brand a cui la ragazza si è rivolta non fosse esattamente in linea con la sua proposta editoriale: agli occhi di chi gestisce un hotel una lifestyle e beauty blogger ha un peso e una credibilità diversa da quella che avrebbe potuto avere una blogger specializzata in viaggi. Il direttore di un albergo, a meno che non sia esattamente la persona che si occupi anche di strategie di marketing e di promozione dell’attività, poi, non potrebbe essere la persona più adatta a cui rivolgersi per una proposta di questo tipo; senza contare che in qualche caso anche gli operatori del settore turistico che investono in influencer marketing preferiscono formule che prevedano un intermediario – un’agenzia, una piattaforma, ecc. – come forma di maggiore sicurezza reciproca. Con ogni probabilità, però, è stato il modo in cui la youtuber si è proposta a far ingigantire la polemica: è vero che è prassi comune, infatti, nel mondo dell’influencer marketing proporsi spontaneamente a un brand con cui si vorrebbe iniziare una collaborazione, ma è altrettanto vero che serve aver lavorato prima al proprio personal branding . «Prima di e per diventare influencer c’è tanto da lavorare sulla propria immagine, brand reputation e sui propri contenuti. Tanti pensano di essere influencer perché pubblicano selfie con mille mila like, ma un vero influencer ha qualcosa di concreto da comunicare», sottolinea proprio a proposito Anna Pernice. Completamente d’accordo sembra essere anche Marika Marangella, secondo cui «creare contenuti di qualità, avere e far crescere un seguito reale, essere coerenti con quello che si condivide e quello che si è e fare networking sono gli elementi più apprezzati dai brand e che potrebbero portare a delle collaborazioni».

Come un travel blogger, un travel influencer dovrebbe proporsi insomma ai soggetti del settore con cui vuole iniziare una collaborazione?

Il miglior modo di proporsi per monetizzare il proprio blog è con un media kit aggiornato nel quale siano presenti i dati statistici, i numeri e le potenzialità del proprio blog, i social a supporto, i punti di forza, le collaborazioni svolte e tutto ciò che è importante sapere per far capire cosa può offrire il proprio blog all’azienda alla quale ci si sta proponendo per una collaborazione. (Anna Pernice)

Un blogger o un influencer serio dovrebbero senza dubbio porsi di fronte a enti del turismo o alberghi proponendo un progetto di viaggio, con un itinerario in mente, le idee chiare su ciò che vogliono scoprire e poi raccontare ai loro lettori nel blog o nei loro canali social sia durante sia dopo il viaggio. (Silvia Ceriegi)

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