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Emoji: alla ricerca di un linguaggio universale tra iniziative, aggiornamenti e applicazioni nel marketing

Come gli emoji possono aiutare a superare barriere comunicative e linguistiche? Campagne, aggiornamenti e iniziative anche nel marketing.
Gli emoji (termine utilizzato di seguito sempre al maschile perché tradotto come “pittogramma” (s.m.). Si veda “emoji” su Treccani, ndr.) sono diventati parte del linguaggio quotidiano di ogni paese e cultura. Con il tempo, infatti, si sono trasformati in uno strumento non soltanto utile ma quasi essenziale, specialmente in quelle situazioni molto ricorrenti in cui le parole non bastano per esprimere determinate emozioni. Per questo motivo le faccine colorate possono rivelarsi utili anche nel settore del marketing e nella creazione di iniziative di promozione o di supporto a differenti cause, essendo inoltre rappresentative dei cambiamenti sociali e culturali delle società e per questo soggette ad aggiornamenti continui.
L’uso degli emoji nel mondo
Gli emoji possono essere descritti come una sorta di «forma evoluta o “aumentata“» delle emoticon, cioè quelle «composizioni originariamente realizzate con serie di combinazioni di caratteri, quali la punteggiatura», come ha spiegato in un’intervista rilasciata ai nostri microfoni Francesca Chiusaroli, coordinatrice del LaFoS – Laboratorio di Fonetica e Scrittura dell’Università di Macerata.
La ricercatrice nel corso dell’intervista ha invitato a uno sguardo sull’universo degli emoji e ha presentato i progetti “EmojiWorldBot” e “emojitaliano“, iniziative che mettono in risalto il potenziale di questi simboli nello sviluppo di un linguaggio comune tra popoli e culture diverse. Tuttavia, come ha spiegato Francesca Chiusaroli, «l’uso delle faccine varia da una cultura all’altra, da una lingua all’altra, così come diversa è, a volte, la stessa visualizzazione nei diversi sistemi operativi»; differenti possono essere, infatti, stile e grafica.
Gli emoji, quindi, sono utilizzati diversamente a seconda del paese, come dimostra una ricerca di Swiftkey che ha cercato di individuare le faccine che ogni popolo predilige. I risultati attestano una curiosa e simpatica eterogeneità nel loro uso, frutto chiaramente di differenze culturali, comunicative ma anche gastronomiche. In Australia, ad esempio, si usano maggiormente simboli riguardanti i farmaci e il junk food e, in particolare, l’emoji “lecca-lecca” è usato cinque volte in più rispetto agli altri paesi. I canadesi, invece, usano con maggiore frequenza rispetto alla media degli altri paesi (il 50% in più) emoticon ‘violente’ come coltelli, bombe e teschi.
Francesca Chiusaroli, ai nostri microfoni, ha spiegato comunque che «emoticon ed emoji esprimono connotazioni e stati d’animo e in tal senso sono fondamentali innanzitutto per la disambiguazione di intonazioni tipiche del parlato, che naturalmente si perdono nella dimensione del cosiddetto ‘parlato digitato’, nelle cosiddette ‘scritture brevi’ digitali». Il modo di esprimere stati d’animo ed emozioni può, tuttavia, assumere moltissime sfumature, anche nel linguaggio digitale: i Kaomoji ne sono un esempio. Nello specifico si tratta di emoticon molto popolari in Giappone, costruite attraverso caratteri e punteggiatura giapponesi.
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Gli emoji come linguaggio universale?
Nonostante l’eterogeneità culturale e comunicativa, la ricercatrice ha sottolineato «costanti tendenze all’uniformità manifestate a tutti i livelli, a partire dalla comune leggibilità garantita da Unicode», sistema di codifica dei caratteri – cui assegna un numero univoco indipendente da lingua, piattaforma o programma usati proprio per garantire una comune leggibilità – utilizzati per la scrittura di testi.
Favorito dal contributo di Unicode, il sistema degli emoji può, dunque, mirare all’universalità, come sottolineato dall’esperta che aggiunge come i progetti “emojitaliano” e “EmojiWorldBot” puntino a fornire un nuovo contributo scientifico in questo senso.

“Wonderland” di Joe Hale
A questo proposito è possibile menzionare l’iniziativa “Pinocchio in emojitaliano” che si ispira ad altri progetti quali “Emojidick“, traduzione di Moby Dick di Melville, e la serie di poster in emoji realizzata dal designer Joe Hale, tra cui vi è Wonderland.
Attraverso un’attività di traduzione collettiva realizzata tra febbraio e settembre 2016 su Twitter, all’interno della comunità social Scritture Brevi, si è cercato di usare gli emoji «per assegnare ad esse corrispondenze con parole della lingua e realizzare versioni integrali in emoji di un testo letterario», nello specifico il romanzo di Collodi. Ogni giorno le corrispondenze parola-emoji (ad esempio l’abbinamento della parola scarpa all’emoji di una scarpa, ndr) venivano proposte, analizzate e finalmente pubblicate in un dizionario ad hoc, @emojitalianobot – realizzato da Johanna Monti dell’Università di Napoli L’Orientale e Federico Sangati (ricercatore indipendente) – come bot sulla piattaforma Telegram. La scelte di Collodi per la realizzazione del primo testo letterario italiano in versione emoji è stata quindi strategica, poiché si tratta di uno dei romanzi più tradotti al mondo.
Questo progetto, comunque, si distingue dai precedenti principalmente per lo sviluppo di un codice standardizzato: “l’emojitaliano” che consiste – come ci ha spiegato Johanna Monti – in un

Pinocchio tradotto con l’emoticon del “ragazzo che corre”
«repertorio di corrispondenze lessicali stabilizzate e coerenti e nella elaborazione di una struttura grammaticale semplificata che consenta di riconoscere le parti del discorso permettendo in tal modo la lettura e la decodificazione del testo indipendentemente dalla disponibilità del testo originale. A tale scopo è stato approntato un set di regole, la grammatica di emojitaliano».
“EmojiWorldBot“, invece, come ha spiegato la professoressa di Glottologia e Linguistica presso l’Università di Macerata, rappresenta il primo dizionario digitale in crowdsourcing sulla corrispondenza emoji-lingue, creato sulla base di “emojitaliano” e di @emojitalianobot, con la collaborazione del KamusiGOLD project di Martin Benjamin dell’Istituto Federale di Tecnologia di Losanna e disponibile su Telegram. Il suo obiettivo è quello di sviluppare un dizionario a base emoji per tutte le lingue del mondo, partendo dalle 72 lingue già identificate da Unicode. La professoressa ai nostri microfoni sottolinea l’importanza del contributo degli utenti, spiegando che essi «possono accedere al bot e proporre abbinamenti (tag, ovvero descrizioni) degli emoji costruendo una rete di sensi che, col tempo, collegherà i vocabolari di tutte le lingue».
Come spiega l’intervistata, gli emoji sono infatti «simboli oggi sempre più preponderanti nell’odierna comunicazione scritta del web, che si sta ormai sostituendo al rapporto “in presenza” tra gli interlocutori». Il potenziale degli emoji a livello comunicativo si estende, quindi, alla dimensione relazionale permettendo non solo di esprimere emozioni impossibili da veicolare attraverso le parole, ma aiutando anche ad evitare fraintesi. In effetti, nonostante molti ritengano l’utilizzo delle faccine in ambito lavorativo poco professionale, una ricerca della City University di Hong Kong ha dimostrato, invece, che quando si riceve una critica scritta da parte di un collega, se viene utilizzata una emoticon si crede che la persona abbia migliori intenzioni rispetto a una che invece non l’ha usata.
Simboli che si adattano ai cambiamenti della società
Le lingue sono soggette a dei mutamenti continui e la diffusione globale dell’uso degli emoji ha reso sempre più evidente la necessità di adattare questi simboli ai cambiamenti sociali: ne è un esempio l’introduzione progressiva di nuovi emoji in grado di rappresentare generi e sessualità in maniera varia, così come diverse tipologie di famiglia, con l’aggiunta di emoji con due mamme o due papà con i bambini, di emoji rappresentativi delle coppie interrazziali e dell’emoji della bandiera transgender, della sposa con lo smoking e dello sposo con il velo nuziale.
👀 New emojis in iOS 14.2 beta https://t.co/883idFLiJn pic.twitter.com/KMmATUf6NQ
— Emojipedia (@Emojipedia) September 29, 2020
Simili adattamenti hanno riguardato anche i simboli, gli alimenti e gli indumenti associati a diverse religioni e culture: a ottobre 2020, infatti, sono stati introdotti su WhatsApp alimenti come il flatbread (molto comune in differenti paesi e culture) oppure emoji relativi alle differenti religioni che sono stati aggiunti nel corso degli anni.
Infine è possibile pensare anche all’impatto di avvenimenti storici importanti sull’uso degli emoji, citando a questo proposito la pandemia da coronavirus e l’effetto che ha avuto anche sulla comunicazione tra gli utenti.
USO DI EMOJI NEL MARKETING E IN CAMPAGNE PROMOZIONALI
Questi piccoli simboli si sono rivelati utili anche nel marketing e non mancano gli esempi creativi del loro utilizzo a fini promozionali. Ci sono anche diversi esempi di istituzioni o associazioni che hanno sfruttato l’uso degli emoji a questo scopo, come spiega Johanna Monti, Docente di Linguistica Computazionale per la traduzione presso l’Università degli Studi di Sassari, in un’intervista al ChatBot Day 2016.

In particolare, la docente ha fatto riferimento all’iniziativa della WWF (organizzazione mondiale per la conservazione di natura, habitat e specie in pericolo) che ha fatto uso di emoji per «aumentare la consapevolezza sulle specie animali a rischio di estinzione». Attraverso la campagna #EndageredEmoji, l’organizzazione ha utilizzato i diversi simboli di animali per invitare gli utenti a fornire il proprio contributo per la conservazione di queste specie.
Inoltre, Johanna Monti ha menzionato anche il brand General Electric che ha creato la campagna “Emoji Science“. Per questo progetto l’azienda ha creato una web serie in cui lo scienziato Bill Nye ha utilizzato gli emoji per spiegare ai più giovani alcuni difficili concetti scientifici in maniera semplice e divertente.

Il team di marketing della multinazionale statunitense ha deciso anche di ricreare la tavola periodica degli elementi che, essendo ben più interattiva e colorata, risulta anche più facile da comprendere e memorizzare. L’obiettivo è quello di coinvolgere le nuove generazioni di scienziati, incentivandoli a partecipare anche alle conversazioni online.
Johanna Monti ha spiegato che un primo esperimento è già stato realizzato anche in Italia, con l’uso del dizionario #EmojiItaliano: l’@EmojitalianoBot è stato utilizzato, infatti, dal Museo Archeologico di Cagliari per raccontare la storia e descrivere le opere al fine di promuovere la cultura, mettendo in pratica l’uso di questo codice condiviso.
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