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Cosa spinge gli italiani a cambiare lavoro e perché l’employer branding è vitale per le aziende

Employer branding: perché è importante per le aziende

Employer branding: perché lavorare sulla reputazione dell'azienda in quanto datore di lavoro è essenziale per mantenere e attrarre risorse.

Il 47% degli italiani lascerebbe il lavoro a causa di retribuzioni troppo basse o non adeguate all’impegno richiesto. Al di là delle motivazioni di natura economica, ci sono tante altre ragioni di insoddisfazione che possono portare i dipendenti a lasciare l’azienda per cui lavorano: è quello che emerge da una ricerca condotta da Randstad su un campione di oltre 200mila individui, appartenenti a 32 paesi, tra cui l’Italia. Lavorare sul coinvolgimento dei propri dipendenti risulta dunque fondamentale per poter non solo trattenere le risorse già presenti in azienda, ma anche attrarre nuovi talenti: infatti, in base allo studio menzionato, un’azienda nota per essere un buon datore di lavoro avrà il doppio delle richieste di lavoro rispetto ad aziende con una reputazione negativa. In questo senso l’ employer branding risulta fondamentale per il business: lavorare sulla reputazione dell’azienda in quanto datore di lavoro è vitale per il benessere dell’organizzazione, anche perché una cattiva reputazione potrebbe comportare l’allontanamento di risorse preziose per il buon funzionamento e la crescita del business.

Ovviamente, il modo in cui l’azienda comunica quello che è l’ambiente di lavoro e il proprio rapporto con i dipendenti a potenziali candidati e al pubblico deve essere sempre coerente con l’effettivo funzionamento interno e con la reale percezione che i lavoratori hanno del luogo di lavoro. Quali sono, allora, le problematiche che possono portare i dipendenti, nello specifico quelli italiani, a lasciare il proprio lavoro e a cercare un’altra azienda in cui e per cui lavorare? In che modo cercare di risolvere tali problemi può essere vantaggioso per le aziende?

Perché i dipendenti italiani decidono di lasciare il lavoro?

Oltre il 30% dei lavoratori italiani intervistati ha rivelato l’intenzione di cambiare datore di lavoro nel prossimo anno: questi sono i dati dell’indagine sopracitata che in Italia ha contato su un campione di 7700 individui con un’età compresa tra i 18 e i 65 anni.

Oltre a una retribuzione inadeguata, quali altre motivazioni spingono i dipendenti a lasciare il lavoro?

Fonte: Randstad

La mancanza di equilibrio fra la vita lavorativa e quella privata sarebbe la ragione che porterebbe il 38% degli italiani a lasciare l’azienda: la difficoltà nel coniugare gli impegni personali e il carico di lavoro è tra i primi fattori di scontento per i dipendenti. Nel 36% dei casi, invece, il problema riguarderebbe la possibilità di fare carriera limitate, che porterebbero così gli individui a cercare un lavoro che offre più prospettive di crescita. Per il 34% degli italiani intervistati l’assenza di riconoscimento, da parte del datore di lavoro, del loro impegno e la non attribuzione di premi che ricompensino il loro sforzo sono le ragioni principali che porterebbero a cercare un nuovo lavoro.

Il report di Randstad presenta, poi, fra le principali motivazioni per lasciare l’azienda quella che sembra essere, almeno in parte, una conseguenza delle ultime due citate, ossia la mancanza di compiti o di obiettivi personali e quindi l’assenza di stimoli, menzionata come motivo dal 30% degli intervistati italiani.

Problematiche come la mancanza di stabilità finanziaria dell’azienda, la lontananza eccessiva del luogo di lavoro da casa e un cattivo rapporto con i superiori vengono presentate anche come ragioni che giustificano l’uscita da un’azienda.

Occorre notare che le motivazioni possono variare a seconda dell’età degli intervistati e a seconda della fase di vita in cui si trovano i dipendenti, dunque con diversi obiettivi e aspettative, cosa che cambia anche le motivazioni che li portano a decidere di abbandonare un’azienda e a cercare lavoro altrove. Infatti, per il 43% degli individui compresi tra i 18 e i 24 anni (generazione Z) è particolarmente importante lavorare in un’azienda che offra loro opportunità di visibilità e di carriera. Il 36% dei lavoratori compresi tra i 35 e i 54 anni, invece, sarebbe disposto a lasciare l’azienda se non sente il proprio impegno riconosciuto, mentre per la generazione dei Millennials e la generazione z , invece, questo fattore sembra essere meno determinante per la scelta.

Perché decidere di rimanere in un’azienda?

Coerentemente con le motivazioni che portano i dipendenti a lasciare un lavoro, quelle che li portano a decidere di restare riguardano la maggiore facilità nel trovare un equilibrio tra vita privata e vita professionale, la sicurezza del luogo di lavoro, la retribuzione, i benefit e le aspettative di crescita professionale.

Altri aspetti dell’azienda in cui lavorano, però, sembrano essere importanti per i dipendenti: per esempio, l’impegno dell’organizzazione nell’ottica di responsabilità sociale o diversità e inclusione, l’adozione di nuove tecnologie e quindi anche il livello di innovazione del datore di lavoro.

Sembra che oltre ad aspetti essenziali come la giusta retribuzione, un ambiente di lavoro salutare e la soddisfazione professionale, sempre di più gli individui vorrebbero lavorare in un’azienda in cui si identificano, un’azienda che in qualche modo possa portare benefici alla società e di cui sarebbero felici di far parte: il 96% degli intervistati ha dichiarato che «l’allineamento dei valori personali con la cultura di un’azienda» rappresenta un fattore chiave per la soddisfazione dei lavoratori.

Employer branding: perché è vitale per il business?

L’employer branding , allora, si rivela fondamentale per il business. Innanzitutto perché l’88% degli italiani che cercano lavoro si informa sulla reputazione delle aziende prima di inviare una candidatura o di accettare un lavoro e lo fa in diverse maniere: dall’analisi del sito aziendale a quella di LinkedIn e altri social, fino alle opinioni di parenti, amici e siti dedicati al mondo del lavoro.

Fonte: Randstad

Questa fase di indagine si rivela determinante, specialmente se si considera che il 50% degli intervistati ha affermato che non lavorerebbe per un’azienda con una cattiva reputazione. Parallelamente, il 76% dei dipendenti che riscontrano una forte coerenza tra ciò che il datore di lavoro dichiara sull’azienda e l’esperienza da loro vissuta ogni giorno sarebbe più propenso a consigliare quest’ultima come un buon posto in cui lavorare.

L’employer branding e un’adeguata strategia di coinvolgimento dei dipendenti consentono dunque di aumentare l’attrattiva dell’azienda, favorendo il mantenimento e l’arrivo di risorse utili al business.

Quali sono le migliori aziende in cui lavorare in Italia?

Il report sull’employer branding di Randstad del 2019 ha individuato le tre aziende in cui gli italiani preferirebbero lavorare: al primo posto c’è Ferrero, al secondo BMW e al terzo Lamborghini. Altre aziende sono state poi identificate come top employer 2019: per esempio Coca-Cola e PriceWaterhouseCoopers.

Aziende che investono nello sviluppo di strategie di employer branding ben strutturate e che riescono a coinvolgere davvero i propri dipendenti tendono ad avere ripercussioni positive sulla propria reputazione, non solo tra i dipendenti ma anche tra i consumatori. Alcune aziende adottano anche dei programmi di employee advocacy, riuscendo a sfruttare la motivazione dei dipendenti nei confronti della mission aziendale. Il passaparola positivo generato da questi avrà ovviamente degli effetti positivi sulla brand image e sulla percezione che il pubblico avrà dell’azienda, vista come un luogo in cui le persone sono soddisfatte del proprio lavoro e specialmente sono fiere di far parte dell’organizzazione.

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