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Fact-checking: perché è essenziale per la propria strategia di contenuto?

Fact-checking: perché è essenziale per chi fa content marketing?

Il fact-checking è una buona pratica non solo per chi fa informazione, ma anche per i brand che fanno content marketing: scopriamo perché.

La paura delle  fake news e la lotta alle (cosiddette) bufale sono state inserite tra i trend per il giornalismo del 2017. Nonostante si stenti ancora a trovare una definizione di fake news chiara e univoca, però, c’è chi a ragione sostiene che la battaglia conto bufale, post-verità, fatti alternativi e, dunque, il fact-checking non possano essere delegati semplicemente a chi si occupa di informazione, ma debbano coinvolgere più soggetti diversi.

Brand e fake news: l’importanza di fare fact-checking se si producono contenuti

I brand ovviamente dovrebbero impegnarsi a combattere le fake news e non solo come parte ormai attiva e integrante della comunità, ma anche e soprattutto come diretti protagonisti dell’ecosistema delle news. Anche le aziende che non si sono cimentate in veri e propri esperimenti di brand journalism, infatti, hanno ormai strategie di content marketing avanzate ed efficaci. E se l’obiettivo finale di ciascuna di queste è garantirsi una buona lead generation attraverso contenuti che siano di valore per i propri consumatori, è facile capire allora perché dovrebbero tenersi il più possibile lontane da bufale e simili. Una notizia non verificata inserita nel proprio calendario editoriale e di contenuti, peggio se presto smentita dalla Rete o dai tanti soggetti che fanno debunking, è infatti sicuramente da considerare tra quei fattori che possono nuocere alla reputazione di un brand. Tutto è reso più difficile, oggi, dal fatto che la maggior parte delle storie fake sono costruite ad arte, secondo i principali criteri di notiziabilità, per risultare credibili e di appeal per chi sia alla ricerca di contenuti. C’è un buon mantra del vecchio giornalismo, però, che può essere utile a chi si occupa di content curation: se un notizia sembra troppo bella per essere vera, probabilmente non lo è. È un mantra che, fuor di metafora, sottolinea l’importanza di integrare la verifica delle notizie nella strategia di content marketing. È un piccolo accorgimento che può giovare, come si accennava, alla credibilità di un brand: fidarsi dei suoi prodotti o servizi, infatti, è uno step che viene anche cronologicamente dopo la possibilità di fidarsi dei messaggi di cui si fa portatore.

Investire sulla verifica delle fonti, comunque, può avere anche altri vantaggi concreti per brand. Lo mette al riparo, innanzitutto, dalle penalizzazioni che – com’è stato sottolineato, tra l’altro, durante una tavola rotonda al Festival of Media Global 2017 – la maggior parte delle piattaforme publisher prevede per contenuti di scarsa qualità e dagli algoritmi di motori di ricerca e social media che, nelle loro ultime versioni almeno, dovrebbero essere addestrati a riconoscere fake news e simili. Fare fact-checking nell’ambito della propria content strategy, però, è anche una forma di tutela legale per il brand: si pensi a querele per diffamazione online che potrebbero seguire la pubblicazione di contenuti non veritieri che coinvolgano e risultino offensivi per altre persone, brand, competitor o alle accuse di plagio che potrebbero riguardare contenuti scopiazzati dal web. Senza contare che, proprio a proposito di plagio, chiunque stia seguendo una strategia di SEO on-site e off-site lo sa bene: contenuti copiati per intero o anche solo in parte possono far abbassare anche notevolmente il proprio ranking.

Come fare fact-checking se si è un’azienda content-oriented

Che significa, allora, fare del fact-checking un punto cardine della propria strategia di contenuti? C’è chi ha pensato ad agili guide per gli strumenti per la verifica di notizie che possono essere molto utili anche ai brand. E c’è chi, invece, sostiene che un’azienda che voglia occuparsi di contenuti branded non possa rinunciare oggi a tre figure professionali strategiche: il content strategist, il content writer e il fact-checker. Il primo stabilisce una strategia di contenuti a lungo termine e che sia quanto più coerente possibile con la storia, la vision e i valori aziendali. Il content writer si occupa, quindi, di cercare le fonti e trasformarle in un contenuto originale; contenuto che passa poi ancora dalle mani del content strategist per essere corretto nella forma soprattutto. A questo punto interviene la figura nuova del fact-checker: il suo compito è quello di controllare qualsiasi elemento della notizia. Lo fa cercando quanto più fonti possibili sullo stesso argomento e confrontandole tra di loro; offrendo un contesto, soprattutto quando si tratta di numeri, statistiche, dati che potrebbero apparire incomprensibili senza altri elementi di riferimento; cercando ed eliminando eventuali scopiazzature da parte del content writer che, come si accennava, possono avere effetti deleteri per il brand; non ultimo, rinunciando a qualsiasi parte della storia in dubbio nonostante le opportune verifiche. Solo a questo punto un contenuto è davvero pronto per essere reso disponibile ai propri consumatori o alla propria fanbase e, soprattutto, si potrà definire un contenuto di valore e che dia valore al brand e alla sua immagine. Non importa insomma, secondo gli esperti, che le tre figure coinvolte siano fisicamente tre persone diverse: l’importante è che non manchi nessuno di questi step nella messa in pratica della propria content strategy.

Credibilità, si è già detto, è del resto oggi una delle parole chiave più importanti per i brand, in qualsiasi contesto. Dal prodotto all’immagine che veicolano di sé attraverso la strategia di comunicazione e, quindi, attraverso anche una strategia di contenuti, passando per le eventuali iniziative di corporate social responsibility: è essenziale che il brand risulti credibile e degno della fiducia di chi acquista per poterlo trasformare in cliente affezionato e, perché no, in ambasciatore dei suoi prodotti o servizi.

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