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Fake news sul web: il drastico intervento della Germania

Fake news: la Germania è pronta al drastico intervento

La pubblicazione di fake news può avere risvolti penali anche seri. In Germania è entrato in vigore un drastico provvedimento.

Il problema della incidenza delle cd.  fake news  sugli orientamenti dell’opinione pubblica è oggi indiscutibilmente al centro del dibattito pubblico. In realtà è chiaro che – con l’avvento di Internet e l’ampliamento  incontrollato del novero di coloro che si fanno soggetti attivi dell’informazione – esiste un tasso fisiologico di imprecisione per le  informazioni divulgate in maniera, per così dire, amatoriale.

Ciò che però desta preoccupazione e che ha già spinto il legislatore a tentare di correre ai ripari con la legge di riforma sull’editoria, è il problema della divulgazione di notizie consapevolmente false al solo fine di “assecondare” gli impulsi – in larghissima parte rancorosi – dei lettori.

FAKE NEWS, CLICK-BAITING E MANIPOLAZIONE DELL’INFORMAZIONE

Al riguardo occorre anzitutto precisare che non si è in presenza di una nuova “versione del click-baiting. Tale fastidioso fenomeno, infatti, si sostanzia nel ricorso a titoli capziosi che inducono sì il lettore ad aprire l’articolo sfruttando un qualche fraintendimento, ma veicolano una notizia sostanzialmente vera. In questo caso, quindi, il “raggiro” sta nel fatto che il contenuto della notizia (magari ovvia o banale ma vera) non rispecchia quello che il titolo suggerisce e l’obiettivo dell’autore non è quello di informare, ma semplicemente di lucrare attraverso banner pubblicitari.

Con la bufala, diversamente, vi è piena congruenza tra il titolo ed il contenuto della notizia, nel senso che entrambi sono inesorabilmente falsi. Il fenomeno in questione è stato per lungo tempo inquadrato in una dimensione banalizzante, tant’è che anche nel gergo corrente si è soliti riferirsi a tali notizie con il termine “bufale“, dunque con una parola che evoca sostanzialmente uno scherzo o poco più.

A differenza del passato, tuttavia, si tratta di un problema che oggi non è più possibile sottovalutare, anzitutto per i connotati epidemici che va, via via, assumendo: si pensi, ad esempio, alla velocità e alla viralità con cui si è diffusa – pochissime ore dopo l’insediamento del Governo Gentiloni (dicembre 2016) – la notizia di talune esternazioni del nuovo Presidente del Consiglio relative alla necessità per i cittadini di sottoporsi a nuovi e pesanti sacrifici economici.

In realtà, se i lettori fossero in grado di riconoscere le fake news come tali si potrebbe al più porre un problema di fastidioso “intasamento” della Rete, ma non vi sarebbero conseguenze particolarmente gravi. Diversamente, però, è sufficiente richiamare il dato per cui – nell’ambito di una più ampia analisi sul rapporto tra gli utenti e le fonti di informazione – la stragrande maggioranza degli utenti (tra il 72 e il 90%non è in grado di identificare la vera natura di un profilo Facebook o Twitter.
Ebbene, in un universo informativo in cui i  social network  svolgono un ruolo sempre più centrale, questo comporta, in buona sostanza, che una analoga percentuale di utenti non è in grado di identificare la vera natura di una notizia. 

È stato oramai accertato, peraltro, che le notizie false, pur essendo divulgate da una considerevole congerie di siti “specializzati“, sono riconducibili a pochissimi soggetti, dunque a veri e propri professionisti del falso notiziale.

I riflessi negativi di un sistema dell’informazione infettato dal virus della bufala epidemica sono piuttosto facili da intuire e si sostanziano, in estrema sintesi, nella manipolazione – o addirittura nel controllo – del convincimento dell’opinione pubblica.

SI CORRE AI RIPARI?

Per porre un freno ad un fenomeno dilagante e apparentemente incontrollabile, molteplici sono i rimedi sperimentati. Già da tempo, infatti, anche nelle cd. tribune politiche sono stati introdotti con discreto successo dispositivi di fact-checking, ovverosia attività di verifica della genuinità e veridicità delle informazioni demandate solitamente ad istituti universitari.

Ebbene, lungo lo stesso solco di recente si è registrato l’impegno collettivo degli operatori del sistema dell’informazione digitale. Così è successo, per esempio, con la First Draft Coalitioncioè un raggruppamento di media agency e società che si occupano di tecnologia impegnatosi a promuovere non solo l’adozione di un apposito codice di condotta anti-bufale, ma soprattutto l’alfabetizzazione degli utenti, così da consentire ad essi di disporre degli strumenti per riconoscere le notizie macroscopicamente false allorché ci si imbatte in esse.

Peraltro, va anche segnalato come siano via via nati diversi siti o pagine Facebook che hanno fatto della lotta alle fake  news la loro  mission  e che addirittura offrono servizi di verifica delle notizie “sospette” su segnalazione dei lettori.

A MALI ESTREMI, ESTREMI RIMEDI: L’INTERVENTO DRACONIANO DEL LEGISLATORE TEDESCO

Come già da tempo si vociferava, il legislatore tedesco è intervenuto in maniera estremamente ferma sulla questione, essendo da ultimo stata approvata una legge ad hoc (c.d. Netwerkdurchsetzungsgesets) con la quale sono stati dettagliati obblighi e sanzioni per siti e social network che ospitano – scientemente – fake news.

In particolare il Parlamento tedesco (Bundestag) ha adottato un atto-fonte che prevede l’obbligo per le piattaforme sociali e mediali che abbiano più di 2 milioni di iscritti di cancellare i contenuti illeciti presenti al loro interno, con eventuali sanzioni che potranno raggiungere anche i 50 milioni di euro (ponendo enfasi proprio su quest’ultimo aspettorepubblica.it ha riportato la notizia con questo titolo: “Germania, entra in vigore la ‘legge Facebook’”, ndr). L’obbligo, peraltro, non riguarderà solamente le fake-news, bensì anche il cd. hate-speech, ovverosia quelle pubblicazioni discriminatorie, sessiste o più genericamente diffamatorie che sempre più spesso “infestano” la rete.

Le norme sanzionatorie in questione, pur entrando in vigore dal 2 ottobre 2017, concedono un termine di adattamento di tre mesi ai destinatari per adeguare, anche dal punto di vista tecnico, le rispettive piattaforme.
Va peraltro sottolineato come, rispetto al disegno di legge così come licenziato dal Governo, il Parlamento ha fatto cadere l’obbligo per i gestori di eliminare anche le copie o le riproduzioni online delle pubblicazioni incriminate.
Per contro, gli obblighi di intervento sono particolarmente stringenti allorché vengano in rilievo contenuti chiaramente e gravemente illeciti, come nel caso di post espressione di negazionismo, ovverosia che propinano la negazione delll’Olocausto: in tali ipotesi, infatti, la rimozione dovrà avvenire al più entro 24 ore. Per le ipotesi meno gravi o che richiedano un vaglio più approfondito, invece, il termine concesso ai social per la rimozione è esteso fino a 7 giorni.

Proprio per questa tipologia di violazioni, poi, il Bundestag ha deciso che le reti sociali potrebbero rimettere la decisione sull’eliminazione di contenuti ad un’istituzione di autoregolamentazione regolamentata.

Sicuramente positiva è la previsione concernente l’obbligo per le piattaforme interessate di nominare un responsabile per le segnalazioni relative alle violazioni in questione, nonché l’obbligo – nel caso non infrequente di ricezione di più di 100 segnalazioni semestrali – di predisporre una relazione illustrativa delle modalità di intervento rispetto alle stesse da inviare al Ministero della Giustizia, plesso in seno al quale è stato creato un apposito ufficio che dispone di una dotazione organica di ben 50 unità.

Va sottolineato, poi, che secondo le dichiarazioni rilasciate in proposito dal Ministro della Giustizia, l’obiettivo della legge chiaramente non è quello di limitare la libertà di espressione, bensì di proteggere la libera manifestazione del pensiero, essendo quest’ultima messa a repentaglio da dall’hate-speech, in quanto esso spinge gli utenti “perseguitati” a rinunciare alla fruizione delle piattaforme social, cancellandosi dalle stesse, in totale antitesi rispetto a quella decodifica del diritto alla rete come situazione giuridica fondamentale offerta in proposito in Italia dalla Dichiarazione dei diritti in internet.
A tutela dell’utente, poi, è previsto che gli operatori stabiliscano norme vincolanti per la loro gestione dei reclami, predisponendo a tale scopo una procedura semplice e nell’ambito della quale tutte le decisioni, compresa la giustificazione del provvedimento di rimozione/mantenimento del contenuto contestato, vengano comunicate al denunciante.

Peraltro la legge, pur essendo stato mantenuto il “furore draconiano” che fa del provvedimento in questione il più severo al mondo, pare aver adottato una impostazione di fondo ragionevole: ed infatti, se da un lato la tutela più elevata per gli utenti sarebbe per certo derivata da sanzioni che colpissero la pura e semplice presenza sul portale di contenuti illegittimi (sistema del controllo preventivo), sicuramente la scelta compiuta, che come abbiamo visto attribuisce un congruo termine ai gestori delle piattaforme (sistema del controllo successivo) per la rimozione, consente di superare alcune criticità, anche tecniche, che sarebbero derivate dall’implementazione di un sistema sanzionatorio automatico. Una tale soluzione, infatti, avrebbe comportato l’obbligo per i social network di censurare i contenuti pubblicati dagli utenti, differendo la pubblicazione fino alle opportune verifiche, impostazione che avrebbe generato non poche perplessità in chiave di legittimità costituzionale per contrasto proprio con quella libertà di manifestazione del pensiero che la ratio legis intende tutelare, oltre che sul piano operativo, non essendo affatto agevole sottoporre a revisione tutta la moltitudine di notizie inserite sulle piattaforme o addirittura sull’intero web.

Del resto, anche Facebook a dicembre 2016 ha reso noto di voler perseguire la strada della review, ovverosia del controllo successivo: in collaborazione con alcune autorevoli redazioni giornalistiche, procederà (verosimilmente a campione o su segnalazione) alla verifica delle notizie che, in caso di sospetta (o accertata) falsità, saranno semplicemente segnalate come tali ai lettori, senza che però ne sia impedita la pubblicazione agli utenti.

Inoltre, a partire dall’8 aprile 2017, è stato lanciato in 14 paesi, tra cui l’Italia, un nuovo strumento di “prevenzione”, ovverosia una sorta di vademecum disponibile per tutti gli utenti nel Centro Assistenza Facebook, che raccoglie una serie di “dritte” di buon senso per l’individuazione delle notizie false, «come ad esempio controllare l’Url del sito, investigare sulle fonti e cercare altre segnalazione sul tema». 

LE CONSEGUENZE DI RILIEVO PENALE secondo la legge italiana

Al di là di questi meccanismi di auto-correzione adottati da quelle piattaforme che veicolano informazioni eteroprodotte e di autodifesa degli utenti, non va dimenticata la responsabilità diretta degli autori delle notizie in questione.

Sebbene non sia possibile estendere a soggetti non professionali le conseguenze sanzionatorie previste per la stampa periodica, contrariamente a quanto spesso si crede la divulgazione delle fake news non è (solo) una goliardia, ma può assumere risvolti penali anche molto gravi.

E, in effetti, la serie di reati che potenzialmente vengono commessi con la pubblicazione di notizie consapevolmente fasulle è piuttosto nutrita e prevede pene non propriamente lievi.

Sicuramente configurabili, infatti, sono le fattispecie “tradizionali” di diffamazione aggravata (reclusione da sei mesi a tre anni), procurato allarme (arresto fino a sei mesi o ammenda da dieci euro a cinquecentosedici euro) e abuso della credulità popolare (sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 15.000).

Possono anche venire in rilievo fattispecie di maggiore gravità. Si pensi, ad esempio, a quelle notizie con cui – paventando inesistenti effetti cancerogeni – si “avvertono” i consumatori di non acquistare più determinati prodotti. Ebbene, tali condotte potrebbero integrare il reato di  rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio punito dall’art. 501 c.p. con la reclusione fino a tre anni e con la multa da 516 euro a 25.822 euro o con pene ancor più alte se l’alterazione del mercato effettivamente si verifica.

Ancora, si pensi a quei “proclama” con cui si istigano i lettori a “farsi giustizia da sé” paventando fantomatiche usurpazioni politiche (molto in voga, ad esempio, è quella relativa all’asserito carattere abusivo dei Governi non eletti) o ruberie dell’inviso politico di turno, che potrebbero integrare le ipotesi di istigazione a delinquere (reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti).

Da ultimo, rispetto alla ipotesi del negazionismo, per la quale la proposta di legge tedesca prevede le reazioni repressive più drastiche, occorre sottolineare che con la Legge 16/06/2016 n°115 è stata introdotta nel nostro ordinamento una nuova fattispecie di reato che – aggiungendosi a quelle concernenti la propaganda di idee xenofobe o razziste  va ad incriminare con la pena della reclusione da due a sei anni i casi in cui la propaganda, ovvero l’istigazione e l’incitamento commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondi in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra.

Con le fake news, quindi, non si scherza.

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