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Fake news e politica: un rapporto controverso che (non) si risolve con il fact-checking

Fake news e politica: analisi e soluzioni dalla campagna elettorale 2018

A ogni appuntamento elettorale il rapporto tra fake news e politica torna nell’occhio del ciclone. Ne abbiamo parlato con Giovanni Zagni di Pagella Politica

Con l’avvicinarsi dell’appuntamento alle urne, anche in Italia i riflettori sembrano essere puntati sul complicato rapporto tra fake news e politica. Da un lato le ultime tornate elettorali hanno mostrato, infatti, come fatti alternativi e post-verità siano diventati delle vere e proprie issue politiche su cui i candidati sentono il dovere di confrontarsi. Dall’altro, come scrive Valigia Blu, le notizie false rischiano di diventare «il capro espiatorio di qualsiasi risultato elettorale che non soddisfi le aspettative di analisti politici ed editori di giornali».

[Tweet “Le #fakenews sono diventate capro espiatorio dei risultati elettorali non attesi. @valigiablu”]

Elettori e fake news: è (anche) una questione di media literacy

È legittimo, in un quadro come questo, chiedersi  innanzitutto che percezione abbiano gli elettori di un discorso politico in cui i confini tra verità, bufale, dati e loro (cattive) interpretazioni siano estremamente labili. È quello che, in vista dalle elezioni politiche del 4 marzo 2018, ha provato a fare per esempio Findomestic con un sondaggio su cosa pensano gli italiani delle fake news. A venirne fuori è che almeno la metà degli elettori nostrani ha creduto, negli ultimi dodici mesi, a una notizia che si è poi rivelata falsa. Forse è la stessa metà che si dice convinta della necessità di un «controllore esterno» e super partes che filtri l’informazione e controlli cosa è vero e cosa no. Un dato che dice molto della media literacy, cioè della capacità di comprendere davvero meccanismi e linguaggi mediali degli italiani: non sorprende che, chiamati per lo stesso sondaggio a riconoscere alcune notizie «strane ma vere» da altre palesemente false, abbiano avuto non poche difficoltà soprattutto nel secondo caso (appena il 35% del campione ha correttamente individuato come falsa, per esempio, la presunta notizia della bambina di 8 anni data in sposa a Padova a un uomo di 35, ndr). Il corollario di tutto questo è, come evidenziato da Findomestic, che l’80% degli italiani crede che le fake news siano in grado di «influenzare l’opinione pubblica».

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Fonte: Findomestic

Le fake news spostano voti?

«È difficile arrivare a una conclusione certa se la domanda è: le fake news riescono a spostare voti?», sottolinea però proprio a proposito Giovanni Zagni, direttore di Pagella Politica, il principale sito che si occupa in Italia di fact-checking politico. È molto più probabile che bufale e notizie non verificate operino nel «confermare nei pregiudizi e nelle opinioni politiche un certo tipo di elettorato – continua l’esperto – e che aiutati, soprattutto in riferimento alla politica americana ma non solo, alla polarizzazione estrema dell’elettorato, un elettorato che è oggi più che mai diviso in bande che non si parlano, non si toccano tra loro, le cui opinioni non sono per niente congruenti e che sembrano addirittura abitare mondi differenti». Il discorso vale anche se riferito al panorama italiano: «l’attuale campagna elettorale ha visto circolare molte notizie false, sul tema immigrazione soprattutto, e ciò potrebbe riuscire soprattutto nel rafforzare un certo elettorato nelle sue convinzioni, nella credenza che tutti i mali del Paese vengano dal fenomeno migratorio nello specifico».

[Tweet “Le #fakenews contribuiscono alla polarizzazione estrema dell’elettorato. @giovannizagni @PagellaPolitica”]

Fake news e politica: il caso Trump

Il grande precedente quando si parla di fake news e politica, del resto, è l’elezione di Donald Trump. Più studi hanno provato a dimostrare nel tempo come – e se – la vittoria del candidato repubblicano alle presidenziali americane del 2016 fosse da attribuire proprio a una spregiudicata strategia di newsjacking che non di rado è scaduta nella diffusione appunto di notizie non verificate né verificabili, quando non palesemente false e manipolate. Ultimo in ordine tempo, per esempio, uno studio del Computational Propaganda Project sul consumo di junk news durante la campagna presidenziale americana del 2016, avrebbe dimostrato come l’elettorato trumpiano sia stato allora il più propenso a condividere informazioni scorrette, non verificate, di scarsa qualità, coprendo da solo più della metà (il 55%, ndr) del traffico delle notizie spazzatura.

È un risultato che sembra confermare i numeri di un altro studio: secondo il Social Media and Fake News in 2016 Election, infatti, durante quella stessa campagna elettorale almeno 30 milioni di volte sono state condivise delle notizie false pro-Trump, contro appena 7,6 milioni di volte in cui sono state condivise invece delle fake news che avrebbero favorito la candidata democratica. Le conclusioni di questo secondo studio, però, sono in parte diverse. Fatta una stima di chi visita un sito di informazione a partire dai link in cui si imbatte su Facebook, è vero che in media una singola fake news a tema politico fu letta in quel periodo almeno tre volte da ogni elettore, ma appena l’1,2% degli americani ricorderebbe di essere stato esposto a una fake news politica durante la campagna elettorale (lo 0,92% in favore di Trump e lo 0,23% in favore di Clinton, ndr). Difficile, insomma, attribuire la vittoria di Trump alla circolazione di fake news.

Tanto più che un altro studio – di tre ricercatori americani e dal titolo “Selective Exposure to Misinformation. Evidence from the consumption of fake news during the 2016 U.S. presidential campaign” – ha provato a tracciare contorni e dimensioni del fenomeno. Le notizie false, di qualunque orientamento esse fossero, rappresentavano appena il 2,6% di tutte le notizie consumate dagli americani durante la campagna elettorale. È il ritratto dell’elettore medio che più di tutti gli altri è risultato esposto a fake news e disinformazione, comunque, a dare dei suggerimenti interessanti. Il 60% delle visite a siti di fake news o di notizie non verificate o montate ad arte proveniva del 10% dell’elettorato più conservatore, over 60, con una dieta mediatica già di per sé poco equilibrata e più propenso verso la proposta politica repubblicana. C’è un altro dato che vale la pena considerare: in poco più che un caso su cinque gli elettori hanno letto su Facebook o hanno avuto accesso tramite Facebook alle notizie fake in questione. I social media hanno avuto, cioè, la loro parte di responsabilità nel determinare la qualità del discorso politico e non stupisce che, memore di questo periodo e delle pesanti accuse che gli sono piovute addosso, tra le novità per il 2018 di Facebook, Zuckerberg abbia introdotto anche delle nuove misure contro le fake news.

È impossibile e scorretto, però, attribuire a questa tipologia di piattaforme l’intera responsabilità di una campagna elettorale viziata da cattiva informazione.

Ciò che di interessante ancora sottolinea lo studio è, infine, che c’è una percentuale di utenti che durante la campagna per le presidenziali americane è venuta a contatto con delle fake news ma non è mai stata esposta, invece, a operazioni e contenuti frutto di fact-checking. Come sottolineano da Poynter, un limite dello studio è non considerare che il fact-checking sia diventato nel tempo una sorta di genere giornalistico praticato ormai da molti soggetti diversi, non per forza e non sempre specializzati nel debunking delle notizie false. Anche gli elettori americani che non hanno frequentato, durante la campagna elettorale, siti appositamente dedicati al fact-checking, cioè, potrebbero essere stati esposti alla verifica delle fonti fatta da media mainstream, news outlet, ecc.

fake news e politica fact-checking presidenziali americane 2016

Fonte: Poynter

Come e perché fare fact-checking politico in campagna elettorale e non solo?

Ciò dimostra comunque come «il fact-checking ha due problemi», ci racconta ancora Giovanni Zagni. Il primo riguarda tempistiche e modalità. Verificare una notizia può richiedere molto tempo e, soprattutto, richiede un’accuratezza che spesso non è sinonimo di velocità o brevità: per questo il fact-checking arriva dopo, a volte con contenuti solo testuali o eccessivamente lunghi e può avere una diffusione molto inferiore a quella della dichiarazione del politico, per esempio, visto che di fake news e politica si sta parlando. In secondo luogo il fact-checking «tende ancora a essere utilizzato in maniera parziale, per screditare una certa parte politica», continua l’esperto. È come dire che, con ogni probabilità, l’elettore di una determinata area politica leggerà solo il debunking delle notizie false utilizzate come argomenti dall’area politica opposta per screditarne le posizioni: andando a ritroso, non è niente di diverso dei meccanismi con cui funzionano i bias confermativi.

Tornando agli effetti sull’orientamento di voto, «il fact-checking tende a cambiare quello che un elettore sa su un determinato tema, ma questo non per forza la sua decisione di voto – ribadisce il direttore di Pagella Politica – e, cioè, molte persone hanno votato Trump, per esempio, nonostante sapessero benissimo che Trump avesse detto un sacco di balle». Ciò non toglie certo che il fact-checking sia essenziale per la salute del dibattito pubblico, in tempo di elezioni e non solo.

Come si fa, allora, correttamente fact-checking politico?

L’importante è cercare di garantire sempre imparzialità: lo si può fare per esempio mettendo sempre tutte le fonti che si utilizzano a disposizione del lettore, che così le può consultare per farsi la sua opinione. Chi fa fact-checking politico non attribuisce un “giudizio” alla dichiarazione del politico, né bolla questo o quello come un mentitore. Fornisce, piuttosto, al lettore il contesto che esiste intorno a quell’affermazione, in modo che possa lui stesso farsi un’idea: molto spesso, infatti, è il politico stesso che tende a dare un’unica interpretazione, qualche volta faziosa e parziale, anche dei dati.

Quando si tratta di fake news e politica, insomma, il terreno è franoso, anche per chi opera nel campo da tempo. Il confine è labile, del resto, tra la fake news politica e ciò che è considerato normale artificio retorico, normale frutto di spin doctoring. C’è, innanzitutto, un problema definitorio: «il termine fake news viene usato oggi in un modo estremamente improprio anche dai politici che se ne occupano. Esponenti di tutto lo spettro politico – Renzi, Di Maio, Berlusconi – lo hanno usato infatti quasi esclusivamente per bollare come “spazzatura” le argomentazioni politiche della parte opposta»,  ci racconta Zagni.

Ben oltre l’incertezza semantica, però, è il campo d’azione del fact-checker politico che rischia di essere largamente frainteso. Una cosa è la dichiarazione di un candidato che è, naturalmente, frutto di una strategia, una visione, un giudizio politico; un’altra cosa è quando la dichiarazione di un politico è farcita di dati: solo all’apparenza oggettivo, un dato – lo stesso dato – può essere utilizzato a sostegno di una tesi, come a sostegno di un’altra. La missione del fact-checker è, allora, quella di smascherare una dichiarazione veritiera da una che non lo è, un’affermazione che è fatta esclusivamente per sviare l’elettorato, ecc.

Qualche iniziativa contro le fake news in campagna elettorale

Non sorprende, allora, che chi fa fact-checking sia diventato l’alleato ideale delle piattaforme che ospitano contenuti. Proprio Pagella Politica, in vista delle politiche italiane 2018, ha chiuso una partnership con Facebook che dovrebbe avere come effetto principale una penalità – nel ranking e, di conseguenza, nella probabilità che vengano mostrate nel NewsFeed – per le notizie bollate come fake. Non è l’unica misura d’emergenza che Facebook Italia sembra aver adottato per rendere il clima elettorale quanto più sano possibile: sarebbero stati migliorati i sistemi per identificare gli account fake e previste delle misure specifiche per assicurare la par condicio a tutti gli schieramenti politici.

Fuori dall’universo Zuckerberg, le elezioni del 4 marzo 2018 saranno ricordate anche come le prime durante le quali un Red Button della Polizia di Stato ha permesso a chiunque – pur con i dovuti dubbi sulla legittimità dello strumento – di segnalare direttamente alle autorità una fake news. Come sempre quando si tratta di iniziative contro le fake news, sorge il dubbio però che soluzioni d’emergenza come queste valgano a poco se mancano approcci soft e una cultura che premi il dibattito politico sano ed equilibrato. Un’interessante operazione di Ipsos e Parole Ostili (associazione che si è occupata di scrivere il primo manifesto italiano contro l’hate speech, ndr) ha provato, in questo senso, a misurare settima per settimana l’aggressività della campagna elettorale del 2018: il risultato è stato che toni offensivi e insulti hanno reso teso e poco civile, fin qui, il discorso politico italiano e che, in un contesto del genere, la diffusione di fake news non possa che considerarsi fisiologica.

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Gli indici sintetici di aggressività e ostilità della prima settimana (19-26 gennaio) della campagna elettorale 2018. Fonte: Parole Ostili, Ipsos

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