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Fake news sul coronavirus: su Facebook più viste di notizie verificate e informazioni ufficiali

Da uno studio di Avaaz è emerso che su Facebook le fake news sul coronavirus hanno avuto più visibilità dei contenuti verificati: alcuni dati e dettagli.
Le fake news sul coronavirus sono state più viste su Facebook di contenuti verificati e scientificamente accurati riguardanti l’emergenza sanitaria in corso. È questo il principale insight di uno studio di Avaaz incentrato su come l’algoritmo di Facebook contribuisce a creare disinformazione su temi quali scienza e salute appunto.
Quanta (e che tipo di) disinformazione è circolata su Facebook durante l’emergenza sanitaria
Bufale, notizie non verificate o manipolate ad arte e fake news sul coronavirus sarebbero state viste, nel dettaglio, almeno quattro volte di più di informazioni e contenuti diffusi su Facebook da soggetti istituzionali come l’Organizzazione Mondiale della Sanità o, per l’Italia, l’Istituto Superiore di Sanità con cui, pure, da Menlo Park avevano annunciato a inizio anno una collaborazione finalizzata alla realizzazione di un COVID-19 Information Hub, un centro informazioni a tutti gli effetti in cui gli iscritti avrebbero dovuto trovare aggiornamenti costanti e affidabili sulla situazione sanitaria. Non si tratta, tra l’altro, dell’unica iniziativa con cui Facebook ha provato a frenare la diffusione di fake news riguardanti la pandemia, le sue cause e i suoi effetti politici e sociali: a livello regionale una partnership con i debunker di Pagella Politica avrebbe dovuto rendere più veloce l’individuazione di bufale a tema coronavirus, per esempio, ed era un’iniziativa che si sommava al lavoro di routine di fact-checker e moderatori terzi che da anni ormai vigilano sulla qualità dell’informazione che circola su Facebook.
Gli sforzi sembrano serviti a poco, però, se è vero, come sostiene Avaaz, che lo scorso aprile 2020, mentre la maggior parte dei Paesi si trovava nel picco dell’emergenza sanitaria, anche la disinformazione a tema salute raggiungeva i suoi livelli massimi, alimentata da contenuti controversi visti in quel mese già 460 milioni di volte (l’anno precedente, la stessa tipologia di contenuti aveva raggiunto 3,8 miliardi di visualizzazioni su Facebook in un anno).

La quantità di disinformazione sui temi sanitari, medici e della salute ha raggiunto il suo picco su Facebook ad aprile 2020, proprio mentre molti paesi affrontavano il clou dell’emergenza sanitaria. Fonte: Avaaz
Lo scenario assume tratti ancor meno rassicuranti se si considera che lo studio in questione è riferito solo a cinque Paesi – Italia, Germania, Francia, Regno Unito e Stati Uniti – e che di cattiva informazione a tema coronavirus ne è circolata, quindi, con ogni probabilità a livello globale decisamente di più.
Avaaz ha provato comunque a individuare anche le fake news sul coronavirus che più facilmente sono circolate su Facebook e in cui, è legittimo pensare, gli utenti hanno creduto maggiormente. I risultati sembrano confermare che la paura del 5G (le bufale sul tema sono state viste su Facebook oltre 13 milioni di volte), le teorie complottiste su un presunto piano di vaccinazioni voluto da Bill Gates (che hanno raccolto 8,4 milioni di visualizzazioni) e le più strampalate cure alternative per il COVID-19 siano stati i grandi topos della disinformazione online in questi mesi.

Tra le bufale sul coronavirus più “di successo” su Facebook ci sono state quelle che cercavano un legame tra la pandemia e gli esperimenti col 5G, sulle presunte responsabilità di Bill Gates e degli altri big del tech o che mettevano in dubbio la gravità degli effetti del COVID-19 e la validità delle misure anti-contagio adottate dai diversi governi. Fonte: Avaaz
Basato in parte sul lavoro di NewsGuard (un’iniziativa indipendente di fact checking che, tramite estensione per i browser, assegna alle notizie sui motori di ricerca bollini che vanno dal verde al rosso a seconda del grado di affidabilità delle stesse), lo studio in questione si è accorto soprattutto che meno di una fake news sul coronavirus su cinque – appena il 16% per la precisione – è stata etichettata come controversa su Facebook. Il sistema messo a punto in questi anni dal team di Zuckerberg per permettere agli utenti di accorgersi facilmente di quando una notizia è falsa, ha bisogno di essere contestualizzata o anche semplicemente è ormai datata e per questo fuorviante; non sembra aver retto, insomma, alla prova di un’emergenza sanitaria, se è vero che la maggior parte della disinformazione a tema salute ha circolato ampiamente ed è rimasta liberamente leggibile su Facebook proprio nei giorni in cui si avrebbe avuto bisogno di comunicare la scienza online in maniera il più possibile attendibile e scrupolosa.
Fake news sul coronavirus su Facebook più viste delle notizie reali: che responsabilità?
Non è la prima volta, in questo senso, che Facebook viene accusato di un certo lassismo: mentre i responsabili di prodotto di Menlo Park sono sempre in prima linea quando si tratta di annunciare nuove feature, nuovi tool contro fake news e disinformazione, poco sembra essere stato fatto in concreto per disincentivare le condotte più controverse degli iscritti. Poco conta che si tratti di condotte ben note ai gestori della piattaforma e, soprattutto, che ben noti ne siano gli autori. Avaaz ha individuato, infatti, dei «superdiffusori» («superspreader» nella versione originale dello studio) di fake news sul coronavirus: da RealFarmacy.com, un sito noto da anni per pubblicare bufale mediche, al sito italiano Jeda News, sono quarantadue soggetti che hanno da anni la fama di hoaxer e che, da soli, con i loro 28 milioni di follower in totale, hanno generato 800 milioni di visualizzazioni per bufale, fake news e disinformazione a tema coronavirus.

Ci sarebbero quarantadue “superdiffusori” di fake news sul coronavirus: tra questi molti sono pagine pubbliche su Facebook e siti noti da anni per fare disinformazione scientifica. Fonte: Avaaz
Tra questi hub (nella teoria delle reti «hub» sono detti i nodi dotati e responsabili di più connessioni) che hanno partecipato massivamente alla diffusione di bufale sul COVID-19 ci sarebbero, ancora, molte pagine pubbliche su Facebook: a queste è riferibile almeno il 43% delle visualizzazioni ottenute da fake news e disinformazione durante la pandemia ed è un dato, quest’ultimo, che rende difficile credere ancora che la cattiva informazione su Facebook, e sui social più in generale, proliferi in gruppi nascosti o veicolata esclusivamente da bot e profili fake.
La conseguenza, quasi diretta, è che con un po’ di impegno in più (e con un atteggiamento che, di recente, è stato definito di nudging ) Facebook potrebbe ridurre di almeno l’80% la diffusione di fake news sul coronavirus e, più in generale, della cattiva informazione sui temi scientifici e della salute e far sì che si dimezzi anche la quantità di persone che ancora credono alle bufale.
La soluzione sta almeno in parte nello slogan coniato da Avaaz: «detox the algorithm». Per il poco che è ancora dato sapere, infatti, e nonostante a più riprese Zuckerberg e il suo team di sono detti impegnati a far sì che vengano premiati informazione e contenuti di qualità, l’algoritmo di Facebook continua a favorire i contenuti più visti, quelli con più engagement in termini di Mi Piace o commenti o più condivisi e, in un solo aggettivo, virali. Non sempre è detto, però, che i contenuti più di successo su Facebook siano anche quelli in grado di assicurare agli utenti «l’informazione affidabile di cui hanno bisogno, e non bugie tossiche e cospirazioni che ci stanno rendendo malati», scrive Avaaz. Depotenziare l’algoritmo di Facebook, insomma, è, secondo gli esperti in questione, l’unica via per non rendere superflue – e quasi del tutto inefficaci – anche precauzioni e iniziative contro le fake news già intraprese.
Facebook promised to keep people safe & informed during the pandemic – but Avaaz’s new report shows Zuckerberg is failing his biggest test yet. People need reliable information, not toxic lies and conspiracies that are making us sick. #DetoxTheAlgorithm https://t.co/UOVhWnBXwx pic.twitter.com/QOQkJNpkE2
— Avaaz (@Avaaz) August 19, 2020
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