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Fashion e programmatic advertising full-funnel: una case history

Fashion e Programmatic Advertising Full-Funnel: una case history

Con Luisa Via Roma e MediaMath abbiamo approfondito la relazione tra fashion e programmatic advertising, soffermandoci sui concetti chiave.

Che relazione c’è tra industria del fashion e programmatic advertising ? Il fashion retail è un mondo dinamico e in continua evoluzione, in cui lo sviluppo e la diffusione di nuove piattaforme digitali si rivela sempre più determinante nella configurazione del customer journey . Da un lato, infatti, vi è una vasta gamma di brand e prodotti, dall’altro una competitività crescente: per questo la programmatic advertising risulta essere uno strumento indispensabile per raggiungere le audience più profilate e ricettive con i prodotti più pertinenti e rilevanti rispetto ai propri bisogni e interessi.

Targeting e reach sono, dunque, due dei vantaggi competitivi principali che la programmatic advertising è in grado di assicurare ai brand che operano nel mercato del fashion. Non solo: l’estrema versatilità dei formati – desktop, mobile, social, video, native dynamic ads – e la multiformità dei processi di segmentazione dell’audience – contestuale, basata su specifici posizionamenti, per device, per data profiling – sono due dei plus più interessanti per i brand che operano in un mercato così attento alle variabili socio-demografiche, di gusto, di abitudini di acquisto e navigazione, come il mercato della moda.

Il report realizzato da Epiphany sul rapporto tra industria fashion e programmatic advertising mette in evidenza alcuni dati davvero interessanti. Innanzitutto, è il settore dei vestiti a generare il maggior numero di impression per mese (oltre 570 milioni), a cui segue la categoria degli abiti da donna (oltre 52,7 milioni).

Fashion e programmatic advertising rappresentano, quindi, un connubio vincente almeno per Luisa Via Roma, uno dei marchi leader nel settore della moda. La collaborazione tra questo brand e MediaMath  azienda pioniera nel programmatic con l’introduzione della prima DSP nel lontano 2007 – è iniziata nel 2016 ed è attualmente uno dei progetti più ambiziosi di programmatic advertising applicata al settore che ha visto l’implementazione di una campagna attiva lungo tutto il funnel di conversione.

Abbiamo avuto modo di approfondire il tema con Giovanni Tricarico (Platform Solutions Manager EMEA di MediaMath), Jan Schmitz (Enterprise Account Director DACH, Nordics and Central/Eastern Europe di MediaMath) e Véronique Franzen (Programmatic Marketing Manager del brand Luisa Via Roma), partendo proprio dalla loro collaborazione.

Gli obiettivi della strategia e le metodologie di misurazione adottate

Véronique Franzen: Adottare una strategia omnicanale coerente per un brand come Luisa Via Roma è essenziale. Abbiamo provato diverse soluzioni in passato, dal puro retargeting al prospecting, ma non eravamo convinti dall’assenza di trasparenza. Con MediaMath abbiamo deciso di focalizzarci sulle campagne display e abbiamo utilizzato come metriche principali di valutazione il CTR e il tempo speso sul sito. Avevamo bisogno di una visione più granulare delle performance e dell’efficacia del targeting, oltre ad incrementare le relazioni con i publisher attraverso una modalità di acquisto degli spazi pubblicitari programmatica. Il tutto mantenendo sempre un vincolo di fiducia e trasparenza. Per questo ha funzionato: abbiamo avuto un ROI 11,7 volte maggiore, al punto da convincerci a concludere le collaborazioni con altri partner specializzati in programmatic advertising.

Jan Schmitz: La soluzione migliore per noi è stata costruire una strategia di programmatic advertising trasparente, full-funnel, attivata su un marketplace privato che ha coinvolto un publisher del settore moda di fascia alta, cui è stato concentrato il 100% del budget del nostro cliente.

Giovanni Tricarico: La campagna condotta ha utilizzato un approccio misto tra Demand-Side Platform (DSP) e Data Management Platform (DMP) per massimizzare l’efficienza e assicurare uno storytelling consistente e in grado di fornire insight immediati sulle performance e il coinvolgimento. Abbiamo seguito anche una strategia di prospecting, retargeting e analisi dei journey degli utenti, in una logica multi-device.

Da queste premesse, ne è venuta fuori un’interessante discussione a tutto tondo sulle recenti evoluzioni e sul futuro del programmatic advertising.

Tecniche di segmentazione in tempo reale

Partiamo dalle più recenti tecniche di segmentazione del mercato obiettivo in tempo reale. L’acquisto di spazi pubblicitari in modalità programmatica va di pari passo con un processo di targetizzazione – rigorosamente real time – sempre più sofisticato. L’approccio data-driven non è solo uno dei punti di forza della programmatic advertising, ma ne definisce i tratti essenziali. Le DMP (Demand Side Platform), del resto, contengono una vasta pluralità di dati provenienti da una diverse fonti come sito, app, crm , db corporate e dai canali social, solo per fare qualche esempio.

Maggiore sarà la precisione con cui una piattaforma di programmatic advertising consente la gestione e la comprensione di tali dati, maggiore sarà la probabilità di acquisire spazi sui canali in cui interessi, bisogni e desideri dell’audience di riferimento coincidono e le probabilità di conversione dell’utente aumentano. In altre parole: più sofisticate sono le piattaforme DMP, più efficaci sono le campagne pubblicitarie.

Adaptive Segments è lo strumento messo a punto da MediaMath per la creazione e la comprensione in tempo reale della base clienti. Un modello scalabile ed estremamente sofisticato, in linea con gli standard richiesti oggi dal mercato e pensato – spiega Giovanni Tricarico nell’intervista ai nostri microfoni – per far fronte «allo stream infinito di insight provenienti da molteplici piattaforme, canali e device da cui marketer e agenzie sono travolte. Abbiamo pensato ad uno strumento per unificare i dati, definire l’audience in maniera granulare, analizzare le performance e assicurare l’ottimizzazione in tempo reale». 

La comprensione in tempo reale dell’audience di riferimento è il vero punto di forza. Come sostiene Jan Schmitz, infatti, «in questo modo marketer e agenzie possono disporre di una visione esaustiva dell’audience di riferimento: chi sono, dove effettuano gli acquisti, cosa vogliono comprare. Il che è essenziale per fornire messaggi customizzati attraverso differenti canali, incrementando l’impatto e l’engagement». Maggiore ottimizzazione e comprensione dell’audience si traduce, dunque, in maggiore precisione nel targeting.

Programmatic advertising, viewability e trasparenza per gli advertiser

La viewability rappresenta la metrica – ed anche l’ossessione, in un certo senso – dei webmarketer quando si parla di garanzie e di affidabilità in una campagna di programmatic advertising. Quindi, è inevitabile sostenere che quello della viewability – anche in Italia – sia un tema caldo, soprattutto in relazione alla lotta alle frodi pubblicitarie che riguarda tanto i centri media quanto gli advertiser. Per questo motivo proprio su questo argomento è incentrato il dibattito sulla trasparenza di tutti gli attori dell’ecosistema pubblicitario.

Per Giovanni Tricarico il concetto di viewability «è una sfida imprescindibile. L’effetto su una campagna di visualizzazioni false anche in proporzioni minime può essere devastante», per questo è importante lavorare anche eventualmente con partner in grado di fornire un’analisi pre-bid accurata, ma anche soluzioni di targeting cookie-free e brand safety, utilizzando tecnologie di classificazione semantica che garantiscano agli annunci di essere pubblicati su inventory safe, rilevanti e strategiche. Sarebbe importante, poi, anche riuscire ad assicurarsi il cosiddetto «triumvirato della pubblicità di qualità: visualizzazione completa, da occhio umano – e non da bot – e in un ambiente sicuro», come sottolinea l’esperto.

L’obiettivo della trasparenza, però, non va disgiunto sugli obiettivi strategici e i bisogni dei clienti – dall’acquisto di prodotti al rilascio di lead , dall’iscrizione ad una newsletter alla visualizzazione di una pagina. Risulta fondamentale, quindi, sostiene Jan Schmitz «offrire sempre una visione completa delle performance ottenute». 

UNO SGUARDO AL FUTURO

La viewability, però, non è l’unico concetto fondamentale: tra i trend del 2017 della programmatic advertising è possibile trovare, oltre ad una intensificazione delle metriche di efficacia e dei processi di ottimizzazione, numerose criticità per quanto concerne l’evoluzione multicanale – in primis relativa alla programmatic advertising in TV – e una consistente tendenza verso la pubblicità nativa. Del resto, programmatic e native advertising rappresentano un connubio felice perché costituiscono la sintesi perfetta tra targeting contestuale e ottimizzazione, soprattutto se applicati al mobile.

Jan Schmitz, a tal proposito, è convinto che per il prossimo anno sia prevista un’espansione sui canali audio e stampa (oltre a quella nativa), in uno scenario in cui la richiesta di efficienza e l’approccio data-driven spingono l’industria pubblicitaria verso una interconnessione sempre maggiore di formati e media mix.

Per Giovanni Tricarico, invece, il vero trend del 2017 «è la consistenza. I recenti sviluppi della tecnologia programmatic hanno reso possibile l’unificazione dei messaggi attraverso diversi schermi e su ogni singolo stage del funnel di vendita. All’incremento della domanda di forme di targeting sempre più avanzate, abbiamo risposto con campagne di programmatic sviluppate su tutto il funnel di conversione. La data science aiuterà i marketer a individuare l’audience e a tracciare l’impatto attraverso diversi canali, con una strategia omnicanale in costante fase di learning, per migliorare le performance e l’engagement. La qualità dei dati, in questa prospettiva, sarà sempre più necessaria, così come la scelta dei partner migliori per implementare e gestire gli algoritmi». 

Il passo da una segmentazione limitata a specifici user-group verso una profilazione dinamica, in real time e coerente con il customer journey sembra inevitabile. Soprattutto in un settore in evoluzione e contraddistinto da pattern decisionali così multiformi – e in alcuni casi imprevedibili per quei brand che ancora si ostinano a investire in forme pubblicitarie tradizionali – come quello della moda. Come sottolinea, Jan Schmitz, poi «il programmatic è destinato ad affermarsi come la principale forma di acquisto degli spazi pubblicitari per la gran parte dei media. La competizione crescente sulle inventory indubbiamente accrescerà l’enfasi sulla qualità dei media e la sicurezza dei brand». 

Contestualizzare, offrire valore in tempo reale, creare punti di raccordo con gli stage del processo di acquisto con messaggi pertinenti e segmentati sembra essere, dunque, la vera moda, con cui anche l’industria del fashion ha imparato a stare al passo.

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