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Fatturazione a 28 giorni tra interventi delle Authorities e rimborsi bloccati

Fatturazione a 28 giorni tra interventi delle Authorities e rimborsi bloccati

Gli interventi delle Authorities provano a segnare un punto di svolta nella vicenda della fatturazione a 28 giorni, ma il TAR può paralizzare i rimborsi.

La vicenda relativa alla fatturazione a 28 giorni ha oramai assunto le sembianze di una (lunga) partita a scacchi che le compagnie di tlc sono costrette a giocare su più tavoli e che, soprattutto alla luce dei recentissimi provvedimenti adottati dall’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) e dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), le costringe a subire un doppio scacco dal quale, nonostante i recentissimi provvedimenti del TAR, sembra possa essere davvero difficile liberarsi.

Fatturazione a 28 giorni: la vicenda originaria

La questione è oramai nota ai più: nel 2015, con una mossa praticamente coordinata, le compagnie che offrono servizi di telefonia (seguite da quelle di intrattenimento televisivo in pay per view) si erano avvalse dello ius variandi (che il codice delle comunicazioni elettroniche “benevolmente” riconosce) per mutare il periodo di fatturazione ordinario (ancorato al mese commerciale o a quello solare) in altro del tutto sconosciuto fino a quel momento, ossia basato su addebiti quadrisettimanali (cd. fatturazione a 28 giorni). La decisione aveva suscitato la pronta reazione degli utenti, per mezzo delle associazioni di categoria, nonché dell’AGCOM, che con la oramai celebre Delibera n. 121/17/CONS del 15 marzo 2017 aveva imposto uno stop, almeno parziale, alla pratica commerciale, ritenendo che, con specifico riguardo al traffico post-pagato, il «[…] venir meno di un parametro temporale certo e consolidato per la cadenza del rinnovo delle offerte e della fatturazione, ossia il mese» contrastasse con ineludibili esigenze di tutela dei consumatori sub specie di trasparenza, chiarezza e comparabilità delle offerte.

Le compagnie telefoniche e i broadcaster televisivi, tuttavia, avevano ignorato il desistat imposto dall’AGCOM, perseverando con la fatturazione a 28 giorni, così che lo scontro si era aggravato: da un lato, infatti, l’AGCOM, esaurita l’istruttoria, aveva accertato la violazione della Delibera 121, e – avvalendosi dei suoi poteri di autotutela sanzionatoria  aveva irrogato sanzioni pecuniarie ai soggetti inottemperanti, disponendo al contempo misure restitutorie; dall’altro lato, tanta era stata l’eco mediatica della vicenda, che sulla questione era intervenuto direttamente il legislatore. Ed infatti, con la L. 4 dicembre 2017 n. 172 si è introdotto un nuovo comma all’art. 1 del D.L. 31 gennaio 2007, n. 7 (Misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche) stabilendo che «i contratti di fornitura nei servizi di comunicazione elettronica […] prevedono la cadenza di rinnovo delle offerte e della fatturazione dei servizi, ad esclusione di quelli promozionali a carattere temporaneo di durata inferiore a un mese e non rinnovabile, su base mensile o di multipli del mese» (art. 1, co. I-bis).

Le puntate precedenti tra AGCOM, AGCM e TAR

L’intervento legislativo, comunque, non era stato così incisivo quanto ci si sarebbe potuto aspettare, giacché alle società interessate era stato attribuito comunque un termine di 120 giorni per adeguarsi, con un grave difetto di coordinamento rispetto alla procedura sanzionatoria che l’AGCOM aveva già avviato per le medesime condotte, considerando che le stesse, come detto, erano state censurate con la Delibera 121/17.

Come se non bastasse, la novella legislativa aveva generato immediatamente un’ambiguità interpretativa, non essendo chiaro se il riferimento operato fosse al mese commerciale o a quello solare e, da ultimo, ad aggravare la confusione imperante aveva provveduto il TAR Lazio che, su ricorso delle società di tlc, con quattro sibilline ordinanze di identico contenuto, aveva sospeso in via cautelare i provvedimenti sanzionatori dall’AGCOM nella parte in cui erano state disposte misure ripristinatorie, ossia disposto lo storno degli «importi corrispondenti al corrispettivo per il numero di giorni che, a partire dal 23 giugno 2017, non sono stati fruiti dagli utenti in termini di erogazione del servizio a causa del disallineamento fra ciclo di fatturazione quadrisettimanale e ciclo di fatturazione mensile». 

L’epilogo, quindi, nei fatti era una sconfitta su tutta la linea del consumatore: per un verso, infatti, le compagnie di tlc erano sì ritornate alla fatturazione mensile come (oramai) previsto dalla legge, ma avevano ricalibrato su trenta giorni il canone che prima era stato reso quadrisettimanale, realizzando e consolidando dunque lo stesso aumento che la fatturazione a 28 giorni aveva assicurato in via “occulta”; per altro verso, poi, come sì è visto il TAR aveva sospeso anche i rimborsi per gli utenti. Dunque, il cliente – nonostante l’intervento legislativo e dell’AGCOM – si trovava a pagare un canone più alto del precedente e nell’impossibilità (allo stato) di ottenere il rimborso di quanto pagato in eccedenza per il passato.

La contromossa vincente delle Authorities?

Prontamente, tuttavia, sono intervenute nuovamente le Authorities per cercare di evitare che, proverbialmente, al danno seguisse la beffa. Ed infatti, a stima dell’AGCM il fatto che a seguito dell’entrata in vigore della Legge che ha imposto la fatturazione mensile le società di tlc avessero deciso, ancora una volta con perfetta armonia e sincronismo, di trasformare il ritorno alla fatturazione “ordinaria” in un’occasione per praticare un aumento tariffario rappresenta un indizio sintomatico di una possibile intesa anticoncorrenziale: in buona sostanza quel che si ipotizza è che le imprese del settore abbiano fatto “cartello”, così da neutralizzare o falsare la concorrenza e “incastrare” il cliente, giacché se è vero che a fronte di una modifica (peggiorativa) delle condizioni contrattuali questi ha diritto a recedere senza costi dal contratto, è pure vero che se gli altri gestori telefonici praticano un eguale aumento, de facto l’efficacia dello strumento messo a disposizione del consumatore è molto compromessa.

Va precisato, comunque, che ai sensi dell’art. 2 della L. 10.10.1990 n. 287, sono «nulle ad ogni effetto» le intese volte a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita o altre condizioni contrattuali». Ebbene, più l’AGCM (che già aveva a sua volta sanzionato gli operatori di telefonia, ritenendo che le modalità con cui era avvenuto l’esercizio dello ius variandi integrassero pratiche commerciali scorrette ai sensi degli artt. 20, 24 e 25 del Codice del Consumo) ha ipotizzato che, nel superare la fatturazione a 28 giorni a favore di quella (da sempre adottata in passato) a cadenza mensile, le società di tlc riunite in seno ad Assotelecomunicazioni-Asstel «abbiano coordinato, quantomeno a far data dall’adozione della Delibera AGCOM 121/17/CONS, la propria strategia commerciale» con conseguente «adozione di pressoché identiche modalità di attuazione dell’obbligo […] di prevedere per i contratti stipulati una cadenza di rinnovo delle offerte e della fatturazione dei servizi su base mensile o di multipli del mese». Tale convincimento è avvalorato dalla circostanza per cui «nonostante la legge e le Linee Guida AGCOM non contenessero alcun riferimento alla rideterminazione del numero dei canoni, né tantomeno al concetto di spesa complessiva annuale, i quattro operatori hanno tradotto il portato delle nuove regole nell’applicazione delle medesime variazioni contrattuali alla propria base clienti mediante il riferimento al parametro di spesa annuale invariata».

L’AGCM ha quindi concluso, determinandosi per l’avvio dell’istruttoria, che è prefigurabile una intesa «in violazione dell’articolo 101, comma 1, del TFUE volta a determinare la variazione delle condizioni contrattuali dei servizi al dettaglio di comunicazione fissi e mobili […] e a restringere la possibilità dei clienti-consumatori di beneficiare del corretto confronto concorrenziale tra operatori in sede di esercizio del diritto di recesso». Non solo: l’Antitrust si spinge anche oltre, arrivando ad affermare, «alla luce delle evidenze relative alle condotte descritte connesse alla periodicità della fatturazione», che «l’intesa possa avere una durata e una portata più ampia e risalire all’introduzione stessa della cadenza quadrisettimanale dei rinnovi e all’incremento del prezzo unitario delle prestazioni offerte che ne è conseguito».

Dunque, tutta la vicenda relativa alla fatturazione a 28 giorni potrebbe essere frutto di una intesa anticoncorrenziale, come tale illecita. Ed infatti, «l’intesa in questione riguarda l’intero territorio nazionale e coinvolge i maggiori operatori dei mercati rilevanti operanti su tutto il territorio nazionale, appartenenti a importanti gruppi multinazionali. Pertanto, i comportamenti sopra descritti sono potenzialmente idonei a pregiudicare il commercio intracomunitario e appaiono integrare gli estremi per un’infrazione dell’articolo 101 del TFUE».

C’è di più: poco più di un mese dall’avvio dell’istruttoria, l’Antitrust – che si avvale di appositi reparti della Guardia di Finanza – ha ritenuto che «a seguito dell’attività ispettiva svolta presso le sedi delle Parti del procedimento sono state rinvenute diverse evidenze che confermano prima facie la sussistenza del coordinamento delineato nel provvedimento di avvio dell’istruttoria». In particolare sono stati rinvenuti documenti che dimostrano come i principali soggetti fornitori di servizi tlc abbiano intensificato i rapporti e concordato la posizione da assumere a fronte della Delibera 121 dell’AGCOM (ossia ignorare la stessa ed impugnarla, anche tramite Asstel, dinanzi al TAR). Addirittura poi «contatti tra gli operatori sono divenuti poi quasi giornalieri a far data dalla notizia di un intervento legislativo conseguente al mancato adeguamento degli operatori agli obblighi imposti dal regolatore (settembre 2017)». Successivamente, v’è stata piena sinergia tra gli operatori, sia nell’attività di lobbying esperita presso il Governo, sia nelle dichiarazioni rilasciate ai media, addirittura cementate da un documento unitario (cd. position paper) attraverso cui veicolare «la posizione ufficiale dell’Associazione e, quindi, degli operatori» rivendicando la libertà di iniziativa economica degli operatori di telefonia e criticando l’intervento «eccessivamente invasivo» da parte di AGCOM e del Governo. Quel che più rileva, tuttavia, è che dai documenti acquisiti da AGCM emerge come, nelle rispettive interlocuzioni, i responsabili delle compagnie telefoniche avessero praticamente fin da principio convenuto «di mantenere fermo l’aumento dell’8,6% delle tariffe a prescindere dalla periodicità della fatturazione» anche scambiandosi «informazioni sensibili sulle politiche di repricing e sui tempi di adeguamento dei sistemi informatici alla nuova fatturazione».

Sulla scorta di tali acquisizioni, l’AGCOM anzitutto ritiene sussistente il fumus boni iuris, ovverosia la probabile fondatezza dell’ipotesi d’intesa anticoncorrenziale. Ma non solo: ritiene individuabile, altresì, «il requisito del periculum in mora ai fini dell’adozione di una misura cautelare, inteso come pericolo di un danno grave e irreparabile alla concorrenza». Ciò perché se la variazione di prezzo correlata al ritorno alla fatturazione mensile fosse effettivamente resa operativa, «le dinamiche competitive sui mercati rilevanti sarebbero irrimediabilmente compromesse e l’eventuale diffida intimata all’esito del procedimento sarebbe inidonea al ripristino delle condizioni di concorrenzialità dei mercati precedenti all’infrazione». Inoltre, se la condotta fosse effettivamente realizzata, stima l’AGCM, «la continua commercializzazione di nuove offerte e piani tariffari e i cambi di operatore renderanno estremamente complessa all’esito del procedimento l’individuazione dei soggetti lesi dalla condotta contestata e la quantificazione di eventuali rimborsi».

A questo punto l’Antitrust, rilevato che nella fattispecie sussistono «ragioni di estrema gravità ed urgenza» correlate alla necessità di intervenire prima che l’intesa sia attuata con l’aumento dei prezzi, adotta misure cautelari provvisorie (ovverosia di massima sollecitudine, in quanto adottate senza neppure instaurare il contraddittorio con i relativi destinatari) ai sensi dell’articolo 14-bis della legge n.287/90, imponendo agli operatori di sospendere l’attuazione dell’intesa anticoncorrenziale (e quindi definire in via indipendente la propria politica tariffaria).

Dunque il repricing, almeno per il momento e almeno con riferimento alle modalità di cui s’è detto, sembra scongiurato. Non è tutto: gli utenti, infatti, erano rimasti grandemente penalizzati – come si è visto – dalla decisione del TAR di sospendere il provvedimento dell’AGCOM che prevedeva, tra l’altro, il rimborso dei costi illegittimamente applicati per effetto della inottemperanza alla Delibera 121 che aveva imposto l’abbandono della fatturazione a 28 giorni.

Ebbene, per rimediare alle nefaste conseguenze della pronuncia del TAR, è intervenuta nuovamente l’AGCOM che, esercitando poteri di autotutela decisoria, ha provveduto a modificare il suo precedente provvedimento con cui erano stati imposti i rimborsi di cui si è detto. L’Authority, premettendo che la misura ripristinatoria aveva la funzione di compensare gli utenti dei giorni illegittimamente erosi a causa della prolungata inottemperanza e di evitare che «ogni singolo utente dovesse agire uti singulus per il recupero di tale “erosione”, mediante procedure contenziose che, sebbene gratuite, avrebbero rappresentato comunque un aggravio sproporzionato rispetto al valore dell’indebita erosione e che, per altro verso, avrebbero comportato un carico insostenibile per il sistema giustiziale affidato all’Autorità» ha ritenuto – condivisibilmente – che a fronte della pronuncia del TAR, «il congelamento di ogni aspettativa dell’utenza, almeno fino all’udienza di merito del 31 ottobre 2018, lascerebbe gli utenti privi di una tutela immediata ed effettiva, in quanto essi sarebbero costretti ad attendere molti mesi prima di vedersi riconosciuta tale restituzione, e nel frattempo non sarebbero nemmeno pienamente liberi di migrare verso altri».

Per questa ragione, l’AGCOM ha cercato di individuare uno strumento che «garantisca un immediato effetto ripristinatorio a beneficio degli utenti, assicurando, al contempo, una soluzione ai rilievi formulati dal Giudice amministrativo con riguardo agli equilibri finanziario-contabili dell’azienda», individuandolo conclusivamente nella rimodulazione delle modalità di rimborso: in particolare, anziché provvedere al riconoscimento di un credito a favore degli utenti (da compensare in fattura con i costi addebitati), l’AGCOM ha imposto alle società di tlc di differire il periodo di fatturazione di un numero di giorni uguale a quelli addebitati in eccesso in precedenza. A giudizio dell’Autorità, infatti, per tali vie e confrontando i periodi in precedenza fatturati, risulta «agevolmente quantificabile per l’operatore il monte giorni eroso per ciascun cliente, sulla base della data di decorrenza della prima fattura successiva al 23 giugno 2017 (termine per l’abbandono della fatturazione a 28 giorni in ossequio alla Delibera 121, n.d.r.) e della data di ripristino della fatturazione con periodicità mensile».

Dunque, neutralizzata la (sospetta) intesa illecita d’incremento dei prezzi e individuato un meccanismo di ristoro degli utenti che possa superare l’alt imposto dal TAR, è forse possibile ritenere che la querelle della fatturazione a 28 giorni abbia finalmente trovato il suo epilogo? Neanche a pensarci: nemmeno un mese dopo l’adozione del provvedimento dell’AGCOM, in forza di un ricorso per motivi aggiunti presentato contro lo stesso dalle società di tlc nell’ambito del giudizio già pendente, il TAR – con provvedimento presidenziale, dunque per ragioni di estrema urgenza – ha sospeso (parzialmente) anche la nuova forma di storno elaborata dall’Authority (Decr. N. 01782/2018).

In particolare, anche se il TAR effettivamente dà atto che «la disposta posticipazione della fatturazione costituisca misura ragionevole e di più facile applicazione (oltre che di non impossibile reversibilità) rispetto allo “storno” di somme» aggiunge che «appaiono sussistenti i presupposti di estrema gravità e urgenza, di cui al citato art. 56 cod. proc. amm., tenuto conto dell’entità dell’onere addossato a ciascun operatore, dei tempi ristretti imposti e dell’assenza di qualsiasi interlocuzione con i medesimi, al fine di individuare eventuali soluzioni meno afflittive». 

Per sintetizzare banalizzando, quindi, secondo il TAR il provvedimento adottato dall’AGCOM è stato troppo rapido ed incisivo, imponendo un adeguamento fin dal successivo periodo di fatturazione. Piuttosto oscuro, invece, è l’inciso secondo cui non sarebbero state esplorate vie per verificare l’esistenza di soluzioni “meno afflittive”: nello stesso provvedimento, infatti, il TAR come si è detto dà atto che la nuova misura risulta “ragionevole e di più facile applicazione” e non bisogna dimenticare che la misura in predicato non ha funzione di afflizione, quanto piuttosto ripristinatoria essendo volta al riequilibrio del rapporto operatori-utenti.

In ogni caso, però, occorre ben intendersi: contrariamente ad alcune letture giornalistiche, non è affatto vero che il TAR abbia “neutralizzato” in toto anche il nuovo provvedimento dell’AGCOM; il Decreto Presidenziale, infatti, si è limitato a sospendere il provvedimento de quo «limitatamente all’imposta coincidenza del periodo di fatturazione prolungato con la prima fase di ripristino del ciclo di fatturazione con cadenza mensile». In altri termini, quel che il TAR ha censurato è la corrispondenza tra ritorno alla fatturazione mensile (con decorrenza aprile 2018) ed il rimborso-differimento dei giorni addebitati in eccesso in passato.

L’effetto pratico, però, è che almeno fino al 21 aprile (data in cui è fissata l’udienza per la trattazione collegiale della domanda cautelare proposta con i motivi aggiunti), il ristoro per gli utenti resta congelato.

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