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Fatturazione a 28 giorni: le mosse di AGCOM, AGCM e...TAR

Fatturazione a 28 giorni: le mosse di AGCOM e AGCM e...TAR

Si arricchisce di nuovi problematici sviluppi la saga della fatturazione a 28 giorni nelle telecomunicazioni.

La querelle sulla fatturazione a 28 giorni o, meglio, sulle conseguenze della sulla oramai acclarata illiceità, non riesce proprio ad avviarsi verso la risoluzione.

La questione è nota, ma è opportuno riassumerla brevemente per riannodare i fili degli episodi precedenti e prepararsi ai nuovi sviluppi di questa intricata trama. A partire dal 2015 le compagnie che forniscono servizi di telecomunicazione hanno, in tempi simili, esercitato le facoltà che gli attribuisce l’art. 70 del D. Lgs. 259/2003 (cd. Codice delle Comunicazioni digitali), apportando ai contratti in essere con i rispettivi clienti una modifica unilaterale (cd. ius variandi) mediante la quale il periodo di fatturazione per i servizi offerti è mutato: si è passati, quindi, dalla tradizionale fattura su base mensile a quella quadri-settimanale, ovvero con cadenza ogni 28 giorni. L’ovvia conseguenza è che, mediante “l’accantonamento” di 2 o 3 giorni per ciascun mese si giunge(va) praticamente ad esigere dall’utente 13 fatture in un anno anziché 12 e quindi un aumento del corrispettivo annuo per gli utenti che – secondo quanto riporta Il Sole 24 Ore – si attesta(va) all’8,6%.

Fatturazione a 28 giorni: ius variandi, trasparenza e poteri AGCOM

Contro la fatturazione a 28 giorni era intervenuta l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) che con la Delibera n. 121/17/CONS del 15 marzo 2017 aveva «riscontrato problemi in termini di trasparenza e comparabilità delle informazioni in merito ai prezzi vigenti […] nonché di controllo dei consumi e della spesa, determinati anche dal venir meno di un parametro temporale certo e consolidato per la cadenza del rinnovo delle offerte e della fatturazione, ossia il mese». Di conseguenza, si era stabilito che «per la telefonia fissa la cadenza di rinnovo delle offerte e della fatturazione deve essere su base mensile o suoi multipli. Per la telefonia mobile la cadenza non può essere inferiore a quattro settimane. In caso di offerte convergenti con la telefonia fissa, prevale la cadenza relativa a quest’ultima»Il provvedimento, come si vede, aveva comunque un ambito di operatività parziale, giacché “bandiva” la deroga al mese commerciale solamente per i contratti aventi ad oggetto utenze fisse e non per quelle mobili: ciò sulla base dell’assunto per cui solo nel primo caso la modifica del periodo di fatturazione avrebbe potuto ingenerare problemi di trasparenza e accessibilità delle tariffe praticate, in quanto solo per le utenze fisse il traffico è post-pagato, mentre per le mobili di solito è pre-pagato, così che l’utente può più agevolmente sorvegliare i costi addebitatigli.

Questo distinguo era in verità sintomatico del fatto che le “armi” del Garante fossero piuttosto “spuntate”: non si poteva, infatti, censurare la fatturazione a 28 giorni tout court, giacché come detto il mutamento delle condizioni economiche ricade nell’eccezionale (e forse non del tutto giustificato) ius variandi attribuito dalla legge. L’Authority, allora, aveva illuminato il problema da altro angolo visuale, mettendo in evidenza il problema del deficit di trasparenza e computo dei costi.

Peraltro, le compagnie telefoniche avevano comunque completamente ignorato lo stop imposto dall’AGCOM, ritenendo che questa avesse ecceduto i suoi poteri andando indirettamente a incidere su un ambito, la determinazione dei costi delle prestazioni, che nulla ha a che fare con la chiarezza e la trasparenza delle condizioni contrattuali.

L’intervento del legislatore e le linee guida AGCOM

Dopo mesi di roventi polemiche, è intervenuto direttamente il legislatore con la Legge 4 dicembre 2017 n. 172 mediante la quale ha introdotto un nuovo comma all’art. 1 del D.L. 31 gennaio 2007, n. 7 (Misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche) stabilendo che «i contratti di fornitura nei servizi di comunicazione elettronica […] prevedono la cadenza di rinnovo delle offerte e della fatturazione dei servizi, ad esclusione di quelli promozionali a carattere temporaneo di durata inferiore a un mese e non rinnovabile, su base mensile o di multipli del mese» (art. 1, co. I-bis).

Alle compagnie telefoniche (già, come visto, inadempienti al provvedimento dell’AGCOM) è stato tuttavia attribuito un termine di quattro mesi per adeguarsi alle (nuove) disposizioni, stabilendo tuttavia che «in caso di violazione del comma 1-bis l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ordina all’operatore la cessazione della condotta e il rimborso delle eventuali somme indebitamente percepite o comunque ingiustificatamente addebitate agli utenti, indicando il termine entro cui adempiere, in ogni caso non inferiore a trenta giorni» (art. 1, co. I-quinquies).

Si è previsto, poi, che la violazione delle previsioni in questione sia sanzionata dall’AGCOM ai sensi dell’art. 98 co. XI del Codice delle comunicazioni elettroniche, le cui pene sono state raddoppiate e ora oscillano tra 240mila euro e 5 milioni di euro.

A stretto giro, poi, è intervenuta l’AGCOM per adottare le linee guida che lo stesso legislatore aveva demandato all’Authority al fine di disciplinare le modalità con le quali dovrà essere gestita la fase di passaggio dalla fatturazione a 28 giorni a quella mensile e, in particolare, chiarimenti su come si debba intendere la locuzione base mensile”. E infatti era emersa immediatamente una nuova “scappatoia” interpretativa, giacché le compagnie di TLC avevano prospettato la decodifica del “mese” in termini commerciali e non solari, superando sì la fatturazione a 28 giorni, ma consolidando quella a 30 giorni, indipendentemente dalle giornate effettive del mese. L’Autorità, invece, sconfessa questa impostazione, chiarendo che con cadenza su base mensile si fa riferimento al mese “solare” ovvero, «per quanto concerne i contratti prepagati, ad una dodicesima parte dell’anno solare». Si afferma, infatti, che «tale conclusione, oltre a corrispondere al dato testuale, appare l’unica coerente con la ratio della legge, ossia fornire agli utenti un criterio certo e inequivocabile in ordine alle tempistiche della cadenza di rinnovo delle offerte e della fatturazione» (Allegato alla Del.495/17/CONS).

Periodo di fatturazione vecchio, prezzi nuovi: scende in capo l’AGCM

Disinnescato anche questo pericolo, la vicenda avrebbe dovuto placidamente avviarsi verso il ripristino dello status quo ante, ovverosia al ritorno alla fatturazione mensile senza ulteriori scossoni. Ma ecco il colpo di scena: le compagnie di TLC torneranno al periodo “fisiologico” di fatturazione, ma lo faranno (ri)adeguando le tariffe. In altri termini, quella manovra di aumento dei costi mensili che in origine era avvenuta sotto le mentite spoglie della riduzione del periodo di fatturazione oggi diventa esplicita, giacché si procede al ricalcolo dei corrispettivi applicati su base quadrisettimanale rispetto al mese solare. Mutatis mutandis, quindi, il profilo economico dell’operazione congegnata oramai più di due anni fa dai principali fornitori di servizi di telecomunicazioni, mediante l’introduzione della fatturazione a 28 giorni, rimane il medesimo (o quasi). Ciò da un lato conferma come, al di là delle elaborate spiegazioni originariamente addotte dai fornitori, la ragione giustificativa della rimodulazione del periodi di fatturazione è stata fin da principio di carattere squisitamente economico, ovverosia aumentare i canoni, magari cercando di evitare che ciò risultasse troppo evidente agli occhi (o al portafogli) del cliente.

Esiste, però, anche un ulteriore dato da mettere in evidenza: per quale motivo ora l’aumento dei costi viene effettuato esplicitamente e senza timore di migrazione massiccia dei clienti di un operatore verso la concorrenza? Per il semplice fatto che gli aumenti sono stati applicati praticamente da tutti i fornitori di servizi di TLC, così che il diritto di recesso del cliente viene praticamente annullato nella sua funzione concreta: trattandosi infatti di servizi dei quali oggi non si può far a meno (e dunque escludendo un recesso che fa fuoriuscire il cliente dal mercato), è ovvio che se tutti i  competitor  adottassero politiche analoghe, l’equilibrio del mercato resterebbe invariato (e la concorrenza, almeno sulla specifica vicenda, neutralizzata). Proprio per queste ragioni è intervenuta l’AGCM, ovverosia l’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato (da non confondere con l’AGCOM, Authority che vigila sulle comunicazioni, ndr). In particolare, l’Autorità ha deliberato l’avvio di un procedimento istruttorio nei confronti dei principali operatori di telefonia (e della relativa Associazione) per verificare – anche avvalendosi dell’attività della Guardia di Finanza – se, in violazione dell’art. 101 del TFUE, essi abbiano realizzato un coordinamento della strategia commerciale, ossia, in altri termini, se i fornitori abbiano “fatto cartello“, dando vita ad una intesa anticoncorrenziale illecita.

Quel che si contesta è, più specificamente, «l’adozione di pressoché identiche modalità di attuazione dell’obbligo introdotto nell’articolo 19 quinquiesdecies del D.L. 148/2017» così che «è possibile ipotizzare un’intesa restrittiva della concorrenza volta a determinare la variazione delle condizioni contrattuali dei servizi al dettaglio di comunicazione fissi e mobili in occasione dell’adeguamento alle prescrizioni contenute nell’articolo 19quinquiesdecies del D.L. n. 148/2017, e a restringere la possibilità dei clienti-consumatori di beneficiare del corretto confronto concorrenziale tra operatori in sede di esercizio del diritto di recesso». Ciò anche in virtù del fatto che gli operatori che avrebbero preso parte alla ipotizzata intesa illecita rappresentano addirittura il 90% dell’offerta sul mercato.

Un’ultima beffa: il TAR congela i rimborsi

I rischi per gli utenti di subire, oltre il danno, una vera e propria beffa, poi, non finiscono qui.

Va detto, anzitutto, che contro il provvedimento dell’AGCOM del 15 marzo 2017 inibitorio della fatturazione a 28 giorni (almeno) per le utenze post-pagate, le compagnie telefoniche avevano proposto ricorso al TAR del Lazio. Ora, con la sentenza 1661 del 2018 (di cui al momento si conosce solo il dispositivo e non le motivazioni) il giudice amministrativo ha rigettato il ricorso, ritenendo quindi legittimo l’intervento dell’Autorità. Proprio in forza del riferito provvedimento dell’AGCOM (la cui legittimità, come visto, è stata confermata dal TAR), il Garante aveva avviato i procedimenti sanzionatori nei confronti di quegli operatori (praticamente tutti) che non avevano ottemperato all’obbligo di ripristinare il sistema mensile di fatturazione.

Ebbene, anche contro l’ordinanza-ingiunzione in predicato era stato proposto ricorso e il TAR, in sede cautelare, ha ritenuto che «le complesse questioni dedotte necessitano di una più accurata disamina propria della fase di merito” e che quindi “sussistono le condizioni per sospendere la delibera impugnata nelle parte che ha ad oggetto il pagamento “degli importi corrispondenti al corrispettivo per il numero di giorni che, a partire dal 23 giugno 2017, non sono stati fruiti dagli utenti in termini di erogazione del servizio» per effetto del mantenimento della fatturazione a 28 giorni. In particolare, la concessione della misura cautelare si impone, a giudizio del Collegio, sia poiché «il carattere – allo stato – indeterminato della somma da corrispondere agli utenti, per effetto dello storno (nella prima fattura emessa con cadenza mensile) dei predetti importi, appare in grado di incidere sugli equilibri finanziario-contabili della azienda», sia in forza della «difficoltà per la medesima società di ripetere dai clienti le somme eventualmente corrisposte». In altri termini, viene paralizzato l’obbligo restitutorio della società ricorrente nei confronti dei suoi clienti per le somme che essa ha continuato ad addebitare in violazione del provvedimento AGCOM essenzialmente per due ragioni: a) le somme in questione sono difficili da determinarsi e potrebbero mettere in crisi gli equilibri finanziario-contabili dell’azienda; b) ove restituiti ai clienti, in caso di accoglimento del ricorso proposto, la società avrebbe difficoltà a recuperare gli importi in predicato.

Con tutta la cautela che si impone, non possono non destare perplessità le argomentazioni in questione. Anzitutto ai sensi dell’art. 55 co. IX del codice del processo amministrativo l’ordinanza cautelare dovrebbe indicare i profili che, ad un sommario esame, inducono a una ragionevole previsione sull’esito del ricorso (cd. fumus boni iuris): occorre, in altri termini, un elevato grado di probabilità in ordine all’accoglimento del ricorso, mentre il provvedimento in questione nulla afferma rispetto alla fondatezza – anche solo apparente – delle ragioni addotte dal ricorrente.

Sotto altro profilo, poi, anche il periculum in mora (ovverosia il danno che il ricorrente allega di subire dal provvedimento impugnato nel tempo occorrente per ottenere la pronuncia di merito) risulta decodificato in una dimensione particolarmente benevolente per il ricorrente: affermare che i rimborsi possano «incidere sugli equilibri finanziario-contabili della azienda» pare piuttosto singolare a fronte di un fatturato netto realizzato dalla Società nell’esercizio di bilancio 2016, pari a 5.250 mln di euro (cfr. ordinanza ingiunzione AGCOM – DELIBERA N. 498/17/CONS). Che poi gli stessi siano “indeterminati” è un argomento piuttosto illogico: l’ammontare dei rimborsi continua ad aumentare in virtù del fatto che, come ha puntualmente rilevato AGCOM, «la delibera n. 121/17/CONS è stata pubblicata il 24 marzo 2017 e la Società ha potuto fruire di un tempo congruo rispetto all’adeguamento delle proprie offerte», cionondimeno, essa ha ignorato la delibera in predicato (continuando, come detto, a praticare la fatturazione a 28 giorni) e «a seguito dell’avvio del procedimento sanzionatorio, non ha adottato alcuna misura correttiva e si è limitata a ribadire la correttezza del proprio operato». Dunque è chiaro che se l’operatore si ostina a rimanere inerte e a non computare le somme da restituire, le stesse fisiologicamente aumentano e rimangono indeterminate

Davvero eccentrica, poi, è l’argomentazione secondo cui la società in questione avrebbe difficoltà a recuperare le somme restituite ai clienti nel caso in cui fosse successivamente accolto il suo ricorso. A parte il dato per cui l’obbligo restitutorio deriva direttamente dal provvedimento del marzo 2017 (da ultimo, confermato nella sua legittimità dal TAR) e non dall’ordinanza-ingiunzione di dicembre 2017, che è provvedimento (sanzionatorio) a sé stante, non si comprende per quale motivo una società di telecomunicazioni, che è indubbiamente parte contrattuale forte nel rapporto con i suoi clienti, avrebbe difficoltà a recuperare da questi importi, peraltro individualmente non particolarmente elevati.

Allo stato, comunque, l’effetto pratico della decisione in questione è che i rimborsi restano sospesi fino all’udienza di trattazione del merito del ricorso, fissata per il 31 ottobre 2018. L’epopea della fatturazione a 28 giorni, quindi, continua.

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